Il 20/7/2014 nell’ambito del Napoli Teatro Festival al Teatro Nuovo è andato in scena lo spettacolo ”Istruzioni per minuta servitù” con la regia di Enzo Moscato. Un testo basato sull’ipocrisia della vita, sul racconto del vissuto e sul vissuto che diventa fantasia, sull’ambivalenza di emozioni e pensieri che si contraddicono a vicenda, ma essenzialmente su due sentimenti, l’amore e l’odio, che s’intersecano vicendevolmente nei rapporti umani e specialmente tra il ricco e il povero, tra il servo e il padrone. B. Breckt diceva che il povero odierà sempre il suo benefattore perché con la sua opera benefattrice lo fissa in un ruolo di dipendenza; e a sua volta il benefattore odierà sempre il povero perché lo costringe in un ruolo di magnanimità che non gli appartiene, essendo la natura umana egocentrica. Un azzardo coraggioso quello del regista Moscato: intrecciare parlate e modi nobili ed eruditi di ambientazione nordeuropea con volgari e plebee cantilene popolari in vernacolo napoletano, forse per indicare che la servitù è nel meridione del mondo; ma la cosa più accattivante è stato il concepire il doppio dei personaggi: sono, ma vorrei essere così. Una lotta continua tra l’essere e il non essere: il desiderio per entrambi le caste di lasciarsi andare al più eclatante istinto compresso dalla forma. Riferimenti letterari della tradizione classica europea e della cultura napoletana si intrecciano naturalmente e si materializzano nelle parole tratte da “Le serve” di Genet, che Claire e Solange, interpretate magistralmente da Cristina Donadio e Lalla Esposito, cameriere-modello al servizio di una ricca signora che imitano di nascosto, ma amano, ammirano, e insieme invidiano e odiano. Nella loro quotidiana, delirante performance mostrano una femminilità cattiva, erotica e malata. Sottomesse a sentimenti di adorazione e di odio per la loro padrona, attraverso il gioco delle parti, sfogano tutto il loro rancore fino a simularne l’omicidio che fallirà e porterà alla morte di una delle due mentre l’altra, ebbra di gloria, si prepara consapevolmente, incatenandosi, nell’attesa dei gendarmi.
E’ presente la “La signorina Julie” di Strindberg, per pochi attimi preda dei suoi istinti, ma che mostra tutta la sua nobiltà di antico guerriero nell’atto finale del suicidio, perché ella non potrebbe vivere senza onore; mentre Jean, il servo può continuare placidamente la sua esistenza non avendo mai conosciuto l’onore della casta. Ancora, riconosciamo “Una modesta proposta” di Swift: ingrassare i bambini denutriti, figli dei servi, da vendere in un mercato della carne all’età di un anno, e darli da mangiare ai ricchi proprietari per combattere la sovrappopolazione e la disoccupazione. C’è molto altro ancora, ma va sottolineata le ritorsione dei servi nella rivalsa del nascondimento fatta di urine nei cibi dei padroni, di accidentali premeditate cadute di vassoi vivandiere, etc.. Piccole cose in confronto ad una delle frasi più orrende e più volte sottolineata nella rappresentazione: “I servi sono necessari, però puzzano e disturbano”. Ancora, alla battuta di uno dei Decani, tra questi bisogna ricordare l’interpretazione di un ottimo Salvatore Cantalupo, “i servi non hanno albero genealogico”, ci viene spontaneo un parallelo e una risposta in relazione al mondo contemporaneo: inutile continuare a soffocarli nelle stive di una nave e a nasconderli nelle acque di un oceano perché ci sarà sempre un Kunta Kinte che riuscirà a risalire alle sue origini e forse, un giorno, chiederà il conto.
Anna D’Ambra









