Il potere utile della Remington


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Esiste una guerra tra informazione faziosa in Italia, che tende a influenzare o a condurre il gioco politico? La domanda, che dovrebbe essere puramente retorica, diventa interrogativo concreto che contiene, però, solo un semplice invito all’esercizio di un’auto immersione democratica: togliersi le bende dagli occhi, sganciarsi dalle truppe guelfe e ghibelline, avere a cuore la democrazia e metterla di fronte a tanti giornali e programmi televisivi per capire con limpidezza quale sia la risposta. Non sembra un esercizio difficile. I colpi bassi e le vere carognate per distruggere l’avversario (o, per meglio dire, il nemico) sono la specialità di quell’ampia parte di stampa, cosiddetta “d’informazione”, deviata verso gli alti scopi della partigianeria più smaccata . Lo stesso accade davanti al pollaio televisivo nei talk show politici; dove un gallo nell’aia se la ride e se la canta: ora esasperando la provocazione giornalistica ad personam e ad hoc, ora mirando a cancellare i piani di volo dell’ospite che osa svolazzare verso direzioni contrarie alla “linea” tracciata e collaudata.

E’ questo il terreno che Giampaolo Pansa ha deciso di arare, setacciandolo e rivoltandolo, con il suo ultimo libro “Carta straccia” – Il potere inutile dei giornalisti italiani – (Rizzoli – Euro 19,90).

Un’esperienza di cinquant’anni nella carta stampata, lavorando con i grandi gruppi dell’editoria italiana, costituisce il patrimonio che Pansa ci rende disponibile con il suo stile di scrittura incisivo e corrosivo.

Pansa, come spesso fa nei suoi libri, parte dalla propria infanzia. Stavolta i ricordi cominciano con la sua prima macchina per scrivere, una Remington regalata dal padre quando Giampaolo non aveva ancora tredici anni.

Una passione per la scrittura che, unita agli ottimi voti in italiano alle medie, meritava un premio. E il ragazzino iniziò con lo scrivere le cronache della squadra sua città: i “Nero stellati” del Casale.

Poi venne la politica, la sua vera passione, con la convinzione che il mestiere di giornalista potesse cambiare le cose in Italia.

Al ritiro del suo primo premio giornalistico, Pansa seppe rifiutare la “medaglia” dell’obiettività. Perché, scrive: “E’ impossibile mettere tutto e tutti sullo stesso piano, i buoni e i cattivi, i princìpi che aiutano a migliorare l’uomo e la negazione di questi princìpi”.

Occorre invece l’onesta: “Per esempio cercare di capire i fatti che accadono e riferirli in modo completo al lettore. Tenere conto del punto di vista di chi non la pensa come noi, coltivare sempre il dubbio e non credere a scatola chiusa a nessuna tesi”.

Pansa morde con denti aguzzi i direttori delle grandi testate. Distrugge l’editore Carlo De Benedetti. Si scaglia contro i postriboli in Tv, condotti da sultani e prime dame della Rai e de La7 che hanno in comune il colore rosso e una militanza anti Cavaliere votata all’ultimo sangue e al pieno di audience.

Riserva un ritratto che sa di pietoso e spietato al tramonto del Cavaliere; “vittima” anche delle escort e screditato dai bordelli, veri o similari che siano, perché diventare ridicoli, è un guaio imperdonabile che uccide più della spada.

Il potere dei giornalisti italiani, in realtà, non conta quasi nulla; perché non cambia le cose in questo Paese, anzi, le complica con le sue faziosità da guerriglia permanente e quindi con la mancanza di onestà verso i lettori e gli spettatori.

Il caso del presidente del consiglio è il più illuminante: non è stata la gran parte della carta stampata e della Tv schierati contro a metterlo in crisi seriamente e ad avviarlo al crepuscolo, ma soprattutto il suo protagonismo smisurato finito in letali frequentazioni a luci rosse.

Tante carognate per nulla, è la tesi di Pansa.

Sembra di udire l’eco del potere utile della Remington.

 

Danilo Stefani



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