Educazione e pubblicità alimentare: mala tempora currunt


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Il 36% dei nostri bambini e oltre il 46% degli adulti sono sovrappeso od obesi. L’Italia alimentare è sempre più alla deriva. Intanto 4 mamme e papà (parenti inclusi) su 10 con bambini in sovrappeso non ritengono che il proprio figlio o nipote abbia un problema di questo tipo e sottovalutano la quantità di cibo che consumano i loro pargoli. Ogni anno queste percentuali peggiorano dell’1% l’anno, ma tutto questo sembra preoccupare molto poco. Gli italiani affermano di sapere per grosse linee cosa fare ma passare dalla teoria alla pratica è praticamente impossibile. Scegliere, come spesso avviene, cosa mettere nel piatto lasciandosi guidare solo dagli spot  televisivi significa adottare una dieta molto squilibrata rispetto alle linee guida messe a punto dagli esperti di nutrizione e sintetizzate nella “Piramide alimentare” e dalle indicazioni della dieta mediterranea. Ad esempio, una dieta da 2000 calorie basata solo sui cibi reclamizzati dalle principali tv in fasce orarie importanti come la prima serata o durante i cartoni animati conterrebbe 25 volte le razioni giornaliere raccomandate di zucchero e 20 volte di grasso. Ma meno della metà delle porzioni di verdura, frutta e latticini.

I cibi degli spot forniscono un eccesso di sostanze correlate alle malattie croniche, come grassi saturi, colesterolo e sale, mentre sono carenti di nutrienti con effetto protettivo, come fibre, vitamine A, E e D, calcio e potassio.  Gli USA continuano a proporre vane linee guida sulla pubblicità, che le aziende alimentari dovrebbero seguire. La posta in gioco è la salute odierna e soprattutto futura di centinaia di milioni di piccoli e grandi abitanti della nostra cara Terra. Ormai anche in Italia, non c’è alimento per bambini che non inviti a visitare il suo sito e a giocare per continuare a comprare. Incentivare quindi la pubblicità ed il consumo di alimenti più salutari e ridurre l’apporto di zuccheri, grassi saturi e sale sembra proprio una battaglia persa. Un esempio? Lo zucchero aggiunto nei cereali non dovrebbe superare gli 8 grammi a porzione, ma una porzione media ne contiene 12 grammi (altri, come per esempio le palline al Nesquik vendute in Italia, arrivano a 15 grammi). Discorso analogo vale per il sale, considerato uno dei fattori più dannosi, anche perché porta a consumare bevande gassate e zuccherate.  L’assedio dei nuovi alimenti continua. Patatine che in pratica sono bastoncini croccanti di purea di patate, prefritti e surgelati: insomma, un impasto a base di patate tenuto insieme da un emulsionante (E471). Come al solito le informazioni nutrizionali sono poche e prive di indicazioni sui grassi saturi e sul contenuto di sodio. La grande industria propone, dopo i frullati una nuova versione di snack, la frutta al cucchiaio: si tratta di purea e pezzi di frutta in coppetta, con tanto di cucchiaino, senza zuccheri, coloranti o conservanti. L’unico arricchimento è costituito dall’aggiunta di vitamina C. I nutrizionisti consigliano 5 porzioni di frutta e/o verdura al giorno? Perfettamente sincronizzata con queste proposte, la grande industria dichiara che  una  coppetta è in grado di coprire 1,5 porzioni di vegetali rispetto al fabbisogno giornaliero. E’ da rilevare però che questi prodotti hanno uno scarso o assente contenuto di fibre alimentari rispetto al prodotto fresco. Altro tasto dolente è il prezzo: con 1,45 euro a coppetta, una merenda di questo tipo diventa piuttosto elitaria. Passiamo alle bevande. Del tutto recente è la censura dell’ultima campagna della Coca-Cola: non deve essere bevuta tutti i giorni! È questa la decisione presa dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria contro la campagna pubblicitaria apparsa su numerosi giornali pochi mesi fa e caratterizzata dallo slogan “La formula della felicità”. Questo legame tra alimento e sentimento (felicità) è oltremodo falso e offensivo per la normale intelligenza degli italiani. Nella pubblicità si invitavano i consumatori a bere Coca-Cola durante i pasti, lasciando intendere che si tratta di una vecchia tradizione italiana. Ma quando mai? Speriamo solo di non vedere più questo spot demenziale ed errato dal punto di vista nutrizionale. Il consumo di bibite dolci deve essere comunque occasionale, per non contrastare con i principi della corretta alimentazione e le campagne di educazione alimentare destinate ai ragazzi ed agli adulti. Concludiamo trattando di consigli per gli acquisti televisivi di cereali per la colazione. Se pensate che esista un divieto di reclamizzare prodotti alimentari durante le trasmissioni destinate ai bambini, non è così! Infatti, al momento in Italia non esistono divieti espliciti: non ve n’è traccia nelle leggi, come il Codice di Autoregolamentazione Tv e minori  e la legge n. 122 del 1998, né nella legge Gasparri, né nel Codice del Consumo. Neppure nel Codice sorvegliato dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria. L’unica eccezione riguarda gli spot di bevande alcoliche: il Codice di Autoregolamentazione Tv e minori infatti prevede che nella fascia oraria “dalle 16.00 alle 19.00 si dovrà evitare la pubblicità in favore di bevande superalcoliche e alcoliche, all’interno dei programmi direttamente rivolti ai minori e nelle interruzioni pubblicitarie immediatamente precedenti e successive”. Ora, le stesse industrie di croccanti fagottini di cereali hanno sottoscritto l“EU Pledge”. Un impegno volontario assunto da alcuni gruppi alimentari all’interno della Piattaforma europea per l’Azione sulla dieta, l’attività fisica e la salute, istituita nel 2005 dalla Direzione generale per la Salute e tutela del consumatore (DG Sanco) della Commissione europea, per incoraggiare iniziative sinergiche pubblico-private contro la crescente obesità in Europa. Tutte le aziende partecipanti si erano impegnate ad attuare entro il 31 dicembre 2008 una serie di azioni volontarie in materia di pubblicità di cibi e bevande rivolta ai bambini, che avrebbero dovuto soddisfare questi requisiti minimi: 1) nessuna pubblicità di alimenti e bevande destinata a bambini di età inferiore ai 12 anni su TV, stampa e Internet, fatta eccezione per quei prodotti che soddisfano precisi criteri nutrizionali basati su valutazioni scientifiche accreditate e/o direttive dietetiche nazionali e internazionali; 2)  nessuna partecipazione a comunicazioni promozionali correlate a prodotti alimentari e bevande nelle scuole elementari, salvo i casi in cui ciò avvenga a fini educativi su esplicita richiesta di o d’intesa con l’amministrazione scolastica; 3)  pubblicare ogni anno tutti gli impegni assunti dall’azienda su un sito Web dedicato www.eu-pledge.eu; 4)  commissionare a enti indipendenti apposite verifiche sul corretto adempimento degli impegni assunti in materia pubblicitaria su TV, stampa e Internet, a partire dal mese di gennaio 2009. Comunque si legge poi che le aziende che aderiscono a EU-Pledge hanno sviluppato le proprie guide nutrizionali. Insomma: ognuno decide da sé cosa soddisfi “precisi criteri nutrizionali basati su valutazioni scientifiche accreditate e/o direttive dietetiche nazionali e internazionali”. Risultato: in Italia, secondo una ricerca promossa dalla Coop nel 2007 e condotta dall’Università Roma Tre, qualsiasi bambino italiano che guarda la tv 3 ore al giorno – dalle 16 alle 19 – è costretto a subire uno spot alimentare ogni 5 minuti, per un totale di 32.850 pubblicità in un anno. Da noi gli spot che pubblicizzano alimenti ricchi di grassi, zuccheri e sali rappresentano il 36% del totale di pubblicità. E pochi avvertono di consumare i prodotti con moderazione. Il Codice di autodisciplina pubblicitaria sottolinea l’importanza di non sminuire il ruolo dei genitori nelle scelte alimentari. E allora, ancora una volta, dove sono i genitori? Sono purtroppo sempre più “volatili” ed incapaci di dare ai loro figli poche e semplici regole, anche alimentari. E le industrie non chiedono di meglio: pubblicità scorretta, aggressiva e via! Del peso di noi e dei nostri figli penseranno altre multinazionali, ad esempio quelle farmaceutiche!

 

Giorgio Pitzalis

Medico Pediatra Nutrizionista



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