Quei gentili asceti che custodiscono il silenzio


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A quanti non riescono a emanciparsi da Facebook o Twitter, né estraniarsi almeno un poco dalla giungla del Villaggio Globale, segnalerei il bel libro di Francesco Antonioli: “Un eremo è il cuore del mondo” (Edizioni Piemme, 2011). E’ un inedito percorso spirituale e giornalistico, geograficamente molto impegnativo, alla ricerca degli ultimi asceti viventi.
Non si tratta, è ovvio, di emarginati misantropi o selvatici, magari costretti da circostanze avverse a una vita di stenti e isolamento. Nemmeno di eccentrici individualisti. No: parliamo di persone anche di media estrazione sociale e buona cultura, che spontaneamente hanno optato per una condizione di raccoglimento e solitudine totale, nella ricerca di una perfetta pace interiore e di una forte dimensione mistica. Ce ne sono tanti, di ogni confessione e latitudine, dalla Francia al Laos, fino allo stesso Piemonte. L’autore li chiama “custodi del silenzio”. Sono uomini e donne che vivono in strutture minime secondo regole rigidissime di frugalità e sacrifici, tra sublimazione e ritualità, riducendo all’essenziale i contatti reciproci e la comunicazione col mondo.


In antiche abbazie, covi silvestri o monacali capanne, l’anacoreta elabora una teologia ispirata e colta, sempre dialogando con Dio e con se stesso. Sa cogliere le voci del silenzio, e nella sua ricerca di Assoluto non teme di calarsi negli abissi della coscienza. La solitudine lo purifica, la povertà lo libera.
Francesco Antonioli, giornalista del Sole-24 Ore e saggista molto sensibile ai grandi temi della spiritualità e delle religioni, arriva all’intervista attraverso un approccio umano delicato di grande rispetto, quasi di pudore. L’asceta, per definizione, non è un estroverso loquace, tantomeno è uomo di pubbliche relazioni. L’invasiva informazione d’oggi, con la petulante babele di un certo giornalismo, gli darebbe valide conferme per le sue scelte solitarie e schive. Ma nella conversazione con l’autore affiorano presto spunti esistenziali e teologici che favoriscono l’incontro personale.. Scopri così che Svami Yoganda Giri – sandali, tunica arancione, lunghissima barba bianca – è genovese, si chiama Paolo Valle, e vive da anni nel suo eremo dell’entroterra di Savona. Se oggi evoca piuttosto l’immagine di un santone indù è per via di una lunga esperienza di paesi e filosofie orientali. Non mancano casi divertenti: come l’episodio dell’asceta visitato dai ladri, che gli portano via le poche cose che aveva. E lui, che nella povertà assoluta cerca la propria essenza, a rincorrere con affanno i malviventi con gli oggetti che hanno tralasciato: avete dimenticato questo e quest’altro! Prendete, prendete!
Non sappiamo di drammi intimi, traumi o peripezie che potrebbero essere alla base di certe scelte, comunque estreme. Di questo il libro, pur ricco di dati biografici, dice poco, privilegiando la prospettiva religiosa rispetto a quella antropologica. E’ comunque certo che questi custodi del silenzio hanno realmente saputo trovare la sapienza e la preziosa armonia che cercavano. Miti, mai esaltati, sempre sereni e all’occasione anche affabili. Sacralità senza fanatismo. Esistenza contemplativa ma ruvida, tutt’altro che sedentaria. Non so dire se ogni eremo sia davvero il cuore del mondo: certamente c’è di che riflettere.
Gian Luca Caffarena

 

 



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