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SplashTv. La massa e l’abrogazione dei principi morali

SplashTv.  La massa e l’abrogazione dei principi morali
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La Televisione, rispetto ai valori e alla profondità dell’essere umano, è la più efficiente macchina dell’inefficienza, una fenomenologia dell’illusione organizzata e generalizzata. Essa attiva una permanente, immanente opera di riciclaggio e compostaggio della realtà, per cui la eccede e le si concede, poi, in maniera quieta e sovraccarica, la penetra e la effonde dall’interno, ristrutturandola in maniera silenziosa, sostituendole chiodi, architravi, borchie, collanti, ruotandola e mutandola, lavorandola a blocchi, a fasi, a colpi di cesello, lamandola come una superficie di legno, spostando un po’ più in là le coordinate della sua planimetria, scartavetrando le asperità, rimodellando le esposizioni, riabbellendo i dettagli, ammodernando il design. Con una sorta di bio-meccanica che ricorda alcuni appartamenti costruiti su piattaforme mobili che seguono l’andamento dei punti cardinali. E’ così che crea mondi nuovi, flemmaticamente, in modo indolore, con fusioni progressive, aggiunte e soppalcature che restano tali senza più controllo.

E’ la Realtà che condona la Televisione.  In trasmissioni come Uomini e Donne, Amici, Italia’s Got Talent appannaggio della nota conduttrice-guru Maria De Filippi, ma anche nel disastro etico-estetico dei più comuni reality come il Grande Fratello, non ci sono valori ufficialmente trasmessi, condizioni imposte, o forme di pensiero etichettate e sostituite da quelle della conduttrice o dei suoi partner in video. Ci sono soglie superate, bordi tagliati, scivolamenti, attracchi, circumnavigazioni del sentire, affondi, adeguamenti, sottigliezze, cornici, apparizioni date per scontate, contesti linguistici, ipertestualità suffragate, aurore di modalità relazionali, dissensi liquefatti, simmetrie studiate, criteri di giudizio calmierati. E’ così che entrano nell’anima, nella mente, determinati contenuti, per molecolarità che si sommano in molarità, e associamo all’amore, al talento o all’arte, – ci abituiamo ad associarvi – comportamenti, espressioni, grammatiche, estetiche che non ci dis-apparterranno più. Così cambia la vita e il suo registro assiologico e mentale. Tutto questo diventa conformismo, uniformità, socievolezza spuria, forma vuota dell’agire e dell’interagire rispetto all’onestà e all’integrità che il “misantropo” – colui che sceglie di non partecipare – pretende di incarnare.

Il misantropo non odia l’umanità in generale, ma quella asservita a norme e protocolli, sensibilità e luoghi comuni in cui la massa si ritrova senza battere ciglio, nella più completa abrogazione di principi morali che rendono l’uomo autentico, singolare, degno. La critica a una società disseminata e tele-coagulata scivola essa stessa perché il dissenso non è accolto, pena il risveglio dalle illusioni, e fa fatica a costituirsi intorno a cardini comportamentali ancora ritenuti credibili e praticabili. Figurarsi contestare e “infangare” l’onorabilità acquisita sul campo della “bontà” televisiva da tele-predicatori come la De Filippi. Ecco, dunque, il ritiro aristocratico dell’intellettuale che, per timore di essere frainteso e banalizzato, sprofonda nella cupa malinconia, nella fissazione ossessiva, nel rigetto cronico ed autoedificante di rappresentare l’ultimo baluardo di un’etica e di una logica ormai irrimediabilmente compromesse. Nel tessere una sorta di elogio dell’Alceste di Moliere e una piccola storia dei più grandi filosofi-misantropi-dandy-folli dell’800 e del ‘900, Alfonso Berardinelli così si esprime in Che intellettuale sei?: “Nei momenti in cui la società viene criticata radicalmente da un vasto e vario movimento culturale, la misantropia è riassorbita (e occultata) da una più legittima e storicamente fondata attività critica, esercitata da uomini armati di Ragione o dotati di Genio, da riformatori, da ribelli e da rivoluzionari. Allora il fuori della società diventa il suo oltre migliore, il suo superamento progressivo o utopico. Se le idee di Progresso e di Utopia vengono messe fuori gioco, ogni critica sociale torna alle sue radici misantropiche: vedere l’intera società come un complotto o come un Sistema (il termine lo usa già Kierkegaard con incisiva ambiguità) e vederla ‘da fuori’ diventa un tipo di speculazione maniacale, una lucida follia misantropica”. Senza più una dialettica razionale e discorsiva, ma abbacinati solo dallo stupore mediatico, cerchiamo di costruire un’ecologia dell’immaginario televisivo anche così: alternando piani di battaglia e strategiche ritirate, per pugnacia e sottrazione, per rivolte audaci ed elitarie osservazioni dall’alto. L’odio è questo. Evitare il contagio, aspettare, riflettere e poi contrattaccare in modo implacabile, per liberarci di tic e baratri che hanno solo un lontano, lontanissimo sentore di vita. Nei suoi articoli sul concetto di indifferenza, pubblicati or sono un secolo fa, all’epoca della prima Guerra Mondiale, Gramsci parlava di “intransigenza” contro tutti gli “imbottitori di crani” – immagine inquietante ma felicissima – che ci allontanano da idee certe, verità effettuali, nessi logici stratificati dal tempo e dalla storia e mentalmente ineludibili. Solo così l’odio rinuncia a quell’onta di discriminazione e violenza che sembra appartenergli per una distorta ontologia. L’odio come disintossicazione, rifiuto categorico, disinquinamento, separazione netta e decisa da tutto quanto è alienante, fiabesco, manipolatorio e retorico, si può e si deve. 

Carmine Castoro

redazioneBonVivre

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