Miseria e Nobiltá al Teatro Quirino di Roma


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miseriaenobiltaDal 26 dicembre al 20 gennaio, Teatro Quirino Roma. 

Miseria e nobiltá, cavallo di battaglia dei più grandi attori napoletani (e non) del secolo scorso, viene presentato integralmente in italiano, in una edizione ricchissima di grandi interpreti, scene e costumi. Lo spettacolo si avvale di una riduzione di Geppy Gleijeses che fa tesoro del testo originale di Eduardo Scarpetta, dell’adattamento di Eduardo De Filippo e della sceneggiatura del film di Mario Mattoli con Totò.

Geppy Gleijeses interpreta il ruolo di Felice Sciosciammocca, Lello Arena è Pasquale e Marianella Bargilli è Luisella. I tre sono reduci dal successo di Lo scarfalietto dello stesso autore  e di A Santa Lucia di Raffaele Viviani. Al loro fianco i migliori caratteristi del teatro napoletano: Gigi De Luca (nel ruolo di Semmolone), Gina Perna, Gino De Luca, Loredana Piedimonte, Antonio Ferrante e tanti altri.

La commedia ha come protagonista Felice Sciosciammocca, celebre maschera di Eduardo Scarpetta, e la trama gira attorno all’amore del giovane nobile Eugenio per Gemma, figlia di Gaetano, un cuoco arricchito. Il ragazzo ha però paura di non ottenere il consenso alle nozze da parte della sua nobile famiglia perchè Gemma è la figlia di un cuoco. Eugenio si rivolge quindi al salassatore Pasquale per trovare una soluzione. Pasquale e Felice, un altro spiantato, assieme alle rispettive famiglie, si introdurranno a casa del cuoco fingendosi i parenti nobili di Eugenio. La situazione si ingarbuglia poiché il padre di Eugenio, il vero Marchese Favetti, è innamorato della ragazza, al punto di frequentarne la casa sotto le mentite spoglie di Don Bebè. Il figlio,avendo scoperto il gioco del padre lo minaccia di rivelare la verità, e così lo costringerà a dare il suo consenso per le nozze.

NOTE DI REGIA

Miseria e nobiltà vede la luce nel 1888. È uno dei testi originali di Scarpetta. Certamente il più famoso e riuscito. Ho operato il mio adattamento lavorando su varie fonti disponibili: il testo originale, la versione di Eduardo De Filippo, il film di Mario Mattoli, il film con Vincenzo Scarpetta, lo spettacolo di Mario Scarpetta, ecc. È strano, ma comunque lo si legga dal riformatore della commedia napoletana, il “borghese”

Scarpetta, viene fuori una pièces e una condivisione delle ragioni dei miseri che lo avvicina più a Gor’kij che non a Wilde: più ai pezzenti che ai nobili. E infatti vedremo un primo atto (la miseria) esangue e affamato, popolato di morti viventi che si azzannano tra di loro e che hanno perso qualsiasi dignità. Si ride, ma si ride amaro. Il palcoscenico è nudo, una tavola, poche sedie e una grata sospesa nel vuoto illuminata in tralice sottolineano l’essenzialità ineluttabile di questo mondo di straccioni.

Nella seconda parte (la nobiltà) è tutto finto e luccicante, quinte di carta dipinta, fondalini d’antan, cuochi e salcicce ritratti ovunque, un padrone di casa “pezzente sagliuto” e tanti finti nobili travestitisi nella sartoria del San Carlo; ce n’è uno solo vero ed è un vecchio bavoso che tenta di concupire una ragazza. C’è un lieto fine ma la miseria resta miseria e la nobiltà non esiste. Felice dirà: “Il mondo dovrebbe essere popolato solo da gente ricca, danarosa … la miseria non doveva esistere!” Più chiaro di così.

Di  Miseria e nobiltà, come di tutti i capolavori, si crede di sapere tutto, ma oltre il gioco scenico che abbiamo rispettato fino in fondo, ci sono e si scoprono sempre nuove spigolature, angoli visivi insospettabili che fanno di un bel testo un classico eterno.

Geppy Gleijeses



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