Alberto Giacometti: l’artista della solitudine regale


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Nell’ immaginario collettivo, forse, Giacometti rimarrà identificato con le sculture di  quell’uomo che cammina, una figura smilza e scarnificata che avanza dopo aver attraversato l’inferno…

Ed in effetti, sono stati  proprio questi suoi bronzi,  fragili, direi transitori, ad aver segnato la storia dell’arte del ‘900 insieme alla bellezza dei suoi disegni, celeberrimi quelli fatti su carta stampata per le riviste “Les temps modernes” oppure per “ Nouvelle Revue Francais”.

Ma la vera svolta creativa ed esistenziale di Alberto Giacometti avviene intorno al 1935, dopo l’estromissione dal gruppo surrealista.

Giacometti reagisce isolandosi ed intraprendendo un’estenuante attraversata nel deserto e con ben dieci anni di silenzio espositivo, con una sola eccezione: la realizzazione di un’opera fondamentale come “L’oggetto invisibile”, ora esposto al Museum of Modern Art di New York.  Con questo bronzo l’artista va oltre la materia, mettendo a nudo valenze simboliche e psicologiche e dando all’opera un’interpretazione tutta interiore.

Ed è proprio questa scultura  che preluderà i più svariati tentativi della scultura moderna di attraversare il limite della materia addentrandosi nell’essenza, in un incessante bisogno di osare l’inosabile.

Da qui nasce la conseguente insistenza da parte dell’artista di realizzare figure umane, alle volte moltiplicandole, figure che si incontrano e camminano insieme nelle piazze e nelle strade dell’amata Parigi notturna, uomini leggeri come fili, immortali come alberi piantati tra cielo e terra. Nascono così opere come: “Piazza” del 1950, “Quattro donne su basamento” sempre del 1950, “Uomo che cammina sotto la pioggia” del 1948 o ancora “Donna a Venezia” del 1956. Insomma, a ben esaminare, Giacometti risulta essere uno dei pochi artisti che ha saputo vedere e farci vedere l’essere umano tra la ferita dell’essere e la grandezza della solitudine.

E, forse, nessun altro artista ha colto con tanta precisa determinazione la fragilità umana e la sua transitorietà ingaggiando per tutta la vita un corpo a corpo con la materia e lo spazio.

Vorrei chiudere questo breve nota sul lavoro di questo colosso della scultura internazionale con una frase scritta Jean Genet, l’immenso scrittore, drammaturgo e poeta francese e grande amico dello scultore, tratto da un libro proprio a lui dedicato “L’atelier di Alberto Giacometti”: “ La solitudine nelle opere di Giacometti non vuol dire affatto una condizione miserevole, ma piuttosto una  segreta regalità, una profonda incomunicabilità e, senso più o meno oscuro di  un’invisibile singolarità”.

Daniela Berti



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