“Nella città in decrescita gli abitanti ritroveranno il piacere della flânerie, caro a Charles Baudelaire e a Walter Benjamin”. L’obiettivo di ‘elevare’ tutti gli esseri umani al tenore di vita occidentale è materialmente irrealizzabile: non c’è abbastanza terra, risorse, energia, aria, non basterebbe il pianeta Terra
(ce ne vorrebbero già ora 5). Eppure…Eppure, i sacerdoti di questa fede, gli ‘esperti’ di turno, ci spiegano che ogni fallimento in questa direzione (finanziario, nucleare, ambientale…) è solo l’occasione di nuove dilazioni. All’infinito. Dobbiamo avere fede, credere, e fare ‘come se’. No, sostiene Latouche: “Non possiamo più riprodurre all’infinito il nostro modello di consumo e di produzione ‘facendo come se’ l’inquinamento di ogni genere non fosse che una proiezione mentale e lo sconvolgimento climatico uno spot elettorale. Non possiamo continuare a produrre aerei, automobili, centrali nucleari, ‘facendo come se’ le riserve di petrolio e di uranio fossero inesauribili. Non possiamo credere ciecamente nella tecnoscienza, ‘facendo come se’ i ricercatori potessero prima o poi a trovare, al riparo dai giochi politici ed economici, soluzioni miracolose e senza rischi davanti a problemi sempre più complessi.
Non possiamo più venerare la santa crescita ‘facendo come se’ grazie a lei scomparissero una volta per tutte la disoccupazione, la precarietà, le disuguaglianze. Non possiamo più continuare ad arricchirci, noi, popoli del Nord, ‘facendo come se’ i popoli del Sud riuscissero a seguire le nostre orme mentre si allarga il gap tra noi e loro e il Nord si arricchisce a spese del Sud, approfittando soprattutto del rimborso del debito”. Intanto, scompaiono centinaia di specie vegetali e animali al giorno, mangiamo pesticidi e antibiotici, le città sono pentole a pressione gassosa, siamo sempre più sterili, il produttivismo agricolo e artificioso strema le risorse naturali, l’impronta ecologica è per lo più insopportabile…
E se la crescita fosse il problema, non la soluzione? Latouche indaga, commenta e riporta teorie e fatti, spiegazioni e soluzioni: biodistretti, bioregioni, comunità di città e città di villaggi che hanno scelto di ritrovare il senso della misura e una impronta ecologica sostenibile, la scelta di una de-crescita pilotata e non subita (destino fatale alle porte, altrimenti), l’educazione alimentare slow, bio e a km. 0, l’affrancarsi dalla società dell’orologio e del consumo per abbracciare quella del tempo di qualità e della qualità della vita, decolonizzare l’immaginario collettivo e personale dall’economicismo e dal consumismo, recuperare il senso del locale, il legame profondo con la terra e i luoghi, coltivare il futuro, non dimenticare mai i limiti fisici, il valore dell’acqua, della terra, del clima, delle api, della biodiversità…
Si può fare, e senza tornare all’età della pietra.
Si deve fare, per evitare i 3 gradini verso il collasso: 2020, crisi delle risorse non rinnovabili; 2040, crisi dell’inquinamento; 2070, crisi alimentare.
“Si può essere preoccupati per la profondità degli sconvolgimenti preannunciati dalla decrescita, perché essa comporta una rottura con le nostre abitudini e i nostri comportamenti. Grazie alle pratiche innovatrici che propone, però, noi possiamo costruire il progetto di una vera solidarietà con le generazioni future e prospettare per l’umanità un futuro più sereno”.
Dalla fine di Maggio in libreria