L’utile idiota


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Dotati di repliche infinite, certi aggettivi ossessionano il vivere quotidiano. Il tipo che ha il “phisique du role” dell’idiota è sfacciato, snervante, infingardo e, insomma, multi formato. Nei nostri micro cosmi, l’idiota gongola e si alimenta mentre arranchiamo per trovare uno spazio di saggezza o un’oasi di sobrietà al riparo dalle sirene malefiche che gettano l’amo nel comune senso di vanità che ci attornia. Ma, dico, una forma di pensiero utile quest’idiota deve pure evocarla?! La troviamo in natura, in quella legge degli opposti che discriminando fa emergere l’essenziale e mirabile antitesi. E anche in letteratura (quanta grazia) si trova una forma di pensiero “purificante”. Fedor Michajlovič Dostoevskij ha espresso con il romanzo “L’idiota” (portato alla luce, dopo un travaglio dolorosissimo, a Firenze nel 1869) l’incarnato letterario di “uno splendore di uomo” utile al prossimo. Un uomo che si avvicinasse al Cristo attraverso la compassione per il dolore altrui assumendosene il peso. Il principe Myškin impersonerà quel ruolo.  In un umido e freddo mattino di novembre, il principe Lev Nikolaevič Myškin arriva in treno a Pietroburgo; torna dalla Svizzera, dove ha vissuto per curarsi da “un’idiozia” (l’epilessia). Incurante delle difese erette dai suoi interlocutori, il principe cercherà di scoprire il fondamento dei loro dolori per sottoporli alla Legge della compassione (una legge “sovversiva” che si aggiunge a quelle del bene e del male). E’ una pretesa velleitaria perché il principe non tiene conto del suo vivere fuori dalla Storia e dal tempo, è insensibile alle influenze delle convenzioni sociali e, infatti, sarà il protagonista “amorevole” di un’impresa destinata al fallimento. E’ utopistico credere che l’estrazione della radice del dolore dal prossimo, per assumerla in sé senza esitare, trovi comprensione. L’uomo non accetta di veder sviscerare il proprio dolore, preferisce rifugiarsi nella “più confortevole” sofferenza mascherata.

Myškin sarà accettato ma mai capito.

L’unica figura del romanzo che riconosce lo splendore del principe è la bella Nastas’ja Filippovna che, tuttavia, seguirà il proprio tragico destino accanto al brutale mercante Rogozin. Nastas’ja ha scelto di seguire la via della passione, quella via che secondo Myškin non può che portare al dramma perché lontana dai “suoi” buoni e compassionevoli principi. In questo romanzo l’azione è minima. E’ un’opera sull’immutabilità, perché immutabile è il corso degli eventi. I personaggi, ribellandosi all’ideale di Myškin, continuano a vivere dentro le loro comode e collaudate difese convenzionali.  Il flusso dei dialoghi è intenso e passa attraverso l’interesse del principe per i volti, fino a raggiungere quel luogo supremo dell’anima dove il Myškin – Dostoevskij vuole far pesare la sua influenza.  Definito da Thomas Mann proprio come “il romanzo dell’anima”, quest’opera (pur complessa) non può lasciare indifferenti: il rivoluzionario elemento portato – al di là e al di sopra del bene e del male – giunge con le sue forme di compassionevole bontà ad arricchire il territorio dell’anima, colpendo per la potenza innovatrice del messaggio. Per i meno “impegnati”, in ultima analisi, può essere un romanzo da leggere a piccole dosi e come antidoto contro il logorio indefesso operato dall’idiota moderno. Un utile idiota, finalmente.

Danilo Stefani



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