Un umile di qualità


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E’ un tranquillo signore tedesco di 42 anni che vive nel sud – ovest della Germania, vicino a Ulm. La sua è una nuova e imponente voce nel panorama europeo dello psychothriller: si chiama Wulf Dorn ed è l’autore de “La psichiatra” e “Il superstite”. Ho il piacere d’incontrarlo per un’intervista, dove mostra doti di cordialità e disponibilità non certo comuni.

Dopo il travolgente successo del tuo primo romanzo La psichiatra, sei di nuovo in libreria con Il superstite che sembra bissare se non superare l’affermazione precedente.  Come vivevi prima della notorietà e come vivi adesso?

La grande svolta sta nell’aver iniziato a rendermi conto che così tante persone in diversi paesi stiano leggendo i miei libri proprio in questo momento. È davvero fantastico! Qualche anno fa non avrei nemmeno osato immaginare tutto ciò. Ma tuttavia resto sempre lo stesso. Vivo in campagna con mia moglie e il mio gatto, porto fuori la spazzatura ogni settimana e mi diverto con il giardinaggio.

Il tuo scenario principale è stato anche questa volta quello della clinica psichiatrica immaginaria di Waldklinik a Fahlenberg. Mi risulta che tu continui a lavorare in una clinica come logopedista. Com’è nata l’idea di applicare il tuo talento partendo dall’ambito psichiatrico?

La Psicologia è sempre stata un interesse forte per me. Perciò era ovvio per me scriverne. Nei miei racconti provo ad esplorare paure e angoli bui della mente umana e mi sembrava che una clinica psichiatrica fosse l’ambientazione più adatta per poterlo fare.

 

Nell’infanzia dei tuoi protagonisti accadono cose terribili che fanno da base“urlante” nei due romanzi. Quella fase della vita, così delicata, ha un’attrattiva particolare su di te?

Sì, sono davvero affascinato da questo tema Freudiano. Mi piace tornare alle radici dei miei protagonisti per scovare cosa gli abbia fatti divenire ciò che sono oggi. Vestendo i panni di un bambino si può vedere il mondo attraverso occhi diversi, con innocenza e ingenuità. E poi inizi a imparare e le esperienze che fai modellano ulteriormente la tua vita e il tuo comportamento. Questo è particolarmente interessante in casi di ragazzi «problematici» perché nessuno nasce cattivo, c’è sempre una ragione precisa. E il più delle volte la si trova scavando nell’infanzia.

Vedo che nei tuoi libri l’amore e il sesso sono solo sfiorati o inseriti solo come eventi drammatici. E’ una preferenza o una scelta funzionale?

Wow, questa è proprio una bella domanda (ride). Mettiamola così, rispetto la privacy dei miei personaggi. Hanno sicuramente rapporti intimi ma non li metterei mai in mostra se non in caso di vera necessità. E come qualsiasi altra cosa, amore e sesso hanno il loro lato tragico e oscuro. Il mio terzo libro tratterà proprio questo tema. Fondamentalmente sarà una storia d’amore ma del tipo “dark”.

Ne Il superstite succedono molte cose e si verificano diverse tragedie. Mi ha colpito il fatto che non descrivi mai scene troppo cruente; in un genere come lo psychothriller con tratti di horror, questo è un vero evento. Sembra quasi un atto di sensibilità verso il lettore, è così?

Beh, dal mio punto di vista, un buon horror o un thriller possono sussistere senza necessariamente sangue e violenza. Sicuramente è shockante quando scrivi di un uomo che tortura le sue vittime con una motosega, ma per me il vero orrore scaturisce in profondità, da dentro. Un buon thriller opera con tensione e suspense. Spaventa con cose che non puoi vedere. Quel qualcosa che trama contro di noi in agguato da qualche parte nel buio e che va a toccare le nostre paure più profonde. Ciò detto è un gran bel complimento per me quando qualcuno mi dice che non ha avuto il coraggio di spegnere la luce dopo aver letto le mie storie. Comunque non sono del tutto sicuro che ciò possa essere definito un «atto di sensibilità» perché, di fatto, è abbastanza meschino ciò che sto facendo ai miei lettori (grande risata).

Il superstite è anche un libro dove sono contenuti molti temi scottanti: la pedofilia, il senso di colpa, una vita rovinata dal sospetto, l’ipnosi, le coincidenze, il sovrannaturale. Quale di questi ti ha impegnato di più e a quale ti senti più legato?

Sicuramente tutte queste tematiche rappresentano una grande attrazione per uno scrittore di thriller. La sfida per me è stata di metterle tutte insieme in una storia sola e combinarle l’una con l’altra. A cosa sono più legato? Beh, mi piace giocare con le coincidenze e con ciò che chiamiamo “il soprannaturale” e mi piace come siano entrambi aspetti legati alla nostra vita di tutti i giorni. Un paio di settimane fa pensavo a qualcuno che non sentivo da anni. Solo un semplice pensiero, non mutuato da una valida ragione. Qualche giorno dopo ho incontrato quella persona ad una mostra. Quindi, cosa pensate? E’ stata una coincidenza o una premonizione? Non lo sapremo mai. Ma potrebbe essere interessante inserire questa vicenda in una storia e vedere poi cosa accade.

 

In questo secondo libro, la caratterizzazione che fai dei personaggi cosiddetti “minori” è più ricercata e incisiva. Cito ad esempio l’archivista Liebwerk. E’ una svolta del tuo modo di scrivere oppure ne sentivi la necessità per lo sviluppo della storia?

Beh, era richiesto dalla storia stessa. Narra di diverse tragedie umane causate da casi irrisolti di rapimenti di bambini nel passato. Crimine questo che ha un impatto su tante vite. Ho provato a mostrare che ci sono molte persone coinvolte in casi come questo, che siano vittime o delinquenti. E sicuramente ho voluto creare molti sospetti per rendere incomprensibile al lettore il “chi ha fatto cosa”.

 

Leggendo i tuoi libri si ha sempre l’impressione di stare sul filo del rasoio: il confine tra lucidità e follia sembra davvero sottile. Quanto c’è di reale e quindi di allarmante nella nostra vita?

Questa è una domanda molto filosofica. Nel mio lavoro con i pazienti in cura psichiatrica ho incontrato persone che sentivano voci che nessun altro poteva sentire. Qualcuno che annusava fumo quando di fuoco non c’era nemmeno l’ombra o vedeva strane cose. Per essi queste impressioni erano reali, mentre chiunque direbbe «pazze» queste persone. Perciò penso che dipenda dal singolo cosa si possa definire “realtà”.

 

Quanto tempo dedichi alla scrittura, e cosa ti piace di più e di meno in quest’attività?

Quando lavoro ad un racconto scrivo ogni giorno dal mattino presto fino al pomeriggio. Ma nei tempi tra un libro e l’altro ci sono anche giorni, talvolta settimane intere, in cui non scrivo una singola parola. Per me scrivere è come viaggiare. Mi piace esplorare altri mondi nella menta. Non piace invece scrivere sotto pressione. Per me è molto stressante se il termine della consegna del romanzo si avvicina inesorabile ed io ho ancora nuove idee. A quel punto per me diventa difficile consacrare la parola «fine».

 

Il mondo degli aspiranti scrittori è molto esteso e pochi raggiungono il successo; puoi dargli qualche consiglio specifico e irrinunciabile?

 

Scrivere è un lavoro duro ma anche divertente. E può farti sentire realizzato. Se te ne rendi conto, il tuo obiettivo sarà istintivamente la storia che vuoi narrare in sé e non solo la «pubblicazione». È molto importante perché il percorso che porta alla prima pubblicazione può essere lungo e pieno di «no» e di porte chiuse. Perciò crediate in voi stessi, scrivete, leggete il più possibile e non mollate mai.

L’intervista con lo scrittore che “porta fuori la spazzatura ogni settimana”, e intanto sforna best seller, termina qui. Il suo modo di vivere “sempre uguale” è anch’esso un bell’esempio e monito per tutti gli scrittori che un giorno raggiungeranno il successo: grazie Wulf.

Danilo Stefani

 

 

 

 

 



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