I luoghi dello spirito


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«Il sogno bizantino ai tempi del Medioevo. Un itinerario esclusivo – e insolito – fra antichi monasteri, buona cucina e bellezze naturalistiche» La Val Dèmone, ovvero Messina e la sua provincia ai tempi del Medioevo, tra la conquista degli Arabi, la cacciata dei greci-bizantini e la rinascita culturale Normanna. La terra, a cavallo tra i Nebrodi ed i Peloritani, ha un passato poco conosciuto di gloria culturale di indiscusso interesse. Di tale periodo fiorente restano oggi alcuni esempi architettonici di rara bellezza La presenza greco-bizantina nella Sicilia orientale è stata un elemento fondamentale alla riuscita della conquista Normanna dell’isola. L’occupazione della Sicilia da parte del popolo del Nord comincia proprio dall’estremo nord-est dell’isola, da Messina, nel 1061, e riporta in auge la cultura greco-bizantina. Dopo soli quattro anni Ruggero, fratello di Roberto il Guiscardo e figlio di Tancredi d’Altavilla, occupa tutta la Val Dèmone, mentre per occupare la Val di Mazara (a ovest) e la Val di Noto (sud est) gli occorreranno altri 26 anni.

La facilità della conquista è da spiegarsi con l’origine della popolazione della Val Dèmone, greco-bizantina appunto,a cui Ruggero offrì, consentendo il rifiorire dei vecchi conventi e costruirne nuovi. A questi ultimi appartengono i conventi basiliani di cui, ancora oggi, è possibile trovare traccia, tra gli insediamenti della provincia messinese. Alla morte di Ruggero furono Adelaide, sua vedova, e il figlio Ruggero II a continuare la sua politica di tolleranza, e testimonianza di un simile clima favorevole all’elemento greco, furono i molti conventi basiliani, con le relative chiese, che continuarono a sorgere sulla costa, tra i Nebrodi e i Peloritani, nel cosiddetto retroterra montuoso della Val Dèmone.

 

Insediamenti Basiliani a Messina

Le cosiddette perle bizantine che si possono ammirare nel capoluogo della provincia si trovano in posti differenti della città. La Chiesa di Santa Maria della Valle.“, risale al 1123, all’epoca di Ruggero II, quando in questa area sembra fosse operante un complesso monastico retto da suore benedettine; in ogni caso l’epoca più propriamente riconducibile all’architettura è il periodo Svevo, sotto Federico II che la riedifica all’inizio del XIII secolo conferendole un nuovo assetto che comprende la ricostruzione del prospetto e il restauro delle absidi. Successivamente la Chiesa viene danneggiata da un incendio e sarà Federico II d’Aragona a restaurarla. Il Monastero rimarrà attivo fino al 1347 quando una terribile pestilenza contribuisce all’abbandono progressivo del sito che diverrà totale verso la fine del 1500. I successivi terremoti infliggeranno al Monumento ferite sempre più profonde fino al crollo della cupola e ad un interramento parziale della struttura. L’impianto architettonico è composto da due corpi: il santuario con le absidi e il corpo delle navate. Vi sono quattro arcate asimmetriche con uno spazio centrale a cupola circondato da quattro corridoi simmetrici. Le arcate si appoggiano alle pareti esterne e al corpo delle navate per mezzo di archi ogivali. Alte monofore sono nelle pareti esterne mentre nella facciata principale come nelle absidi si osservano finestre circolari; il  presbiterio, ornato di merli, con le finestre armonicamente distribuite, risulta assai elegante e la struttura dà l’impressione all’esterno di un nobile palazzo. L’Annunziata dei Catalani, gioiello d’arte arabo-normanna con componenti bizantini, è invece uno dei pochi grandi monumenti che hanno resistito alle devastazioni dei terremoti e alla furia delle bombe incendiarie dell’ultimo conflitto mondiale e testimonia la grande arte araba, normanna e bizantina in Sicilia. Dell’originario impianto della Chiesa SS. Annunziata dei Catalani, si ammira tutta la parte absidale, col transetto sormontato da una cupoletta dal tamburo cilindrico ad arcate cieche su piccole colonne e strette finestre, dai vivaci ed armonici motivi geometrici. La chiesa, priva dell’originario patrimonio di opere d’arte, come del resto tutti i monumenti antichi di Messina, è una basilica a croce latina con tre navate che si trovano innestate su un transetto preceduto da archi. La facciata è composta di tre porte, sopra quella centrale si trova uno stemma catalano a forma di rombo, le due porte laterali, diverse da quella centrale, sono architravate. Nel sottosuolo vi è la cripta che si snoda sotto il transetto ed è costituita da più locali di cui il principale ha forma rettangolare con volta in muratura ed altare rustico. La Chiesa, restaurata nel corso dei secoli, giace a una quota più bassa dell’odierno livello stradale evidenziando come, per l’ammasso delle macerie del 1908, la città fu ricostruita a una quota di qualche metro più elevata. Collocata in pieno centro cittadino, nei pressi del Duomo, è facilmente raggiungibile e visitabile.


Insediamenti Basiliani Nella Val Demone

Dopo la stessa città di Messina è l’intera Val Dèmone che nasconde un patrimonio storico, artistico e culturale di grande importanza, e il territorio dei Nebrodi è forse quello che rivela maggiormente alcuni dei tesori di questo patrimonio. La dominazione greco-bizantina lasciò infatti profonde tracce nel linguaggio e nei toponimi, sui Nebrodi più che altrove, nel cosiddetto “triangolo greco” che congiunge lo Jonio al Tirreno, anche per merito di una organizzazione monastica sopravvissuta in questa regione al dominio musulmano. Tuttavia poche sono le testimonianze edilizie di quest’epoca, giacché le chiese basiliane sopravvissute alla conquista araba vennero ricostruite in età normanna.

Accanto alle grandi cattedrali di Troina, – prima diocesi normanna – di Mazara e di Catania, ancora in parte conservate nell’edizione originale, comunque, ed al distrutto duomo di Messina, i normanni permisero la costruzione in Val Dèmone, o la ricostruzione, di piccole chiese conventuali basiliane. L’espansione di questi conventi si estese così lungo il corso delle fiumare, dal versante ionico del messinese, attraverso i valichi, diramandosi nel versante tirrenico. E di questi insediamenti, ventisette sono documentabili. L’opera basiliana nella sua creazione adattò l’impervio territorio nebroideo e peloritano, con i suoi pendii scoscesi, introducendo essenze arboree ancora esistenti, tanto che, molti villaggi, frazioni e casali della regione, conservano tuttora, nel toponimo, nella organizzazione planimetrica ed urbanistica, un chiaro assetto monastico-rurale, con chiesa, frantoi, stalle e mandria, stesso appellativo usato per la casa madre di rito greco.

 

La Costa Jonica e i  Peloritani

L’itinerario lungo la sponda orientale consente di ammirare scorci panoramici di rara bellezza e di addentrarsi in un mondo artistico scandito dai numerosi monasteri e chiese, prevalentemente basiliani, che costellano il territorio fino alla Valle d’Agrò. Salendo da Mili Marina (8 km da Messina) verso Mili S. Pietro, posta a 199 m sulle falde dei Peloritani, si trova la chiesa basiliana di S. Maria. La costruzione, voluta dal conte Ruggero, risale all’XI secolo, lo si può dedurre dalle iscrizioni riportate sulla lapide del figlio di Ruggero morto a Siracusa e seppellito in questa chiesa nel 1092. Le caratteristiche dell’architettura sono tipiche delle chiese basiliane costruite in quel periodo in questa area del messinese. La chiesa è ad una sola navata, con transetto a piano rialzato e tre arcate delimitanti il presbiterio. Tre sono le absidi come appaiono all’interno, all’esterno sola quella centrale è visibile, le altre due sono comprese nello spessore del muro. Tre sono le cupolette del transetto, si notano archi in mattoni nell’abside e ai lati la tipica decorazione in lesene ad archi incrociati. La chiesa è circondata da casette racchiuse da un muro di cinta il che fa ritenere che si tratti dei resti dell’antico monastero dei monaci di San Basilio cui era affidata la chiesa. Procedendo lungo la SS 114, alla volta di Catania, si giunge a Itala (a m 210 sopra Itala Marina) e si incontra la chiesa basiliana di S. Pietro, dell’XI secolo, che conserva perfettamente i prospetti esterni con caratteristiche stilistiche arabo-normanne. Continuando alla volta di Taormina si attraversa la Val D’Agrò con l’arroccata Forza d’Agrò. La più antica citazione di questa cittadina è quella che ricorre nel documento di donazione fatto da Ruggero II, nel 1116, al Monastero Basiliano dei SS. Pietro e Paolo D’Agrò. In questo documento veniva chiamata Vicum Agryllae, e donata con tutti i suoi abitanti al monastero. Il Tempio, il monumento più importante dell’intera vallata, rappresenta anche l’elemento più caratterizzante dei Comuni della Val D’Agrò. Venne totalmente distrutto dagli Arabi per poi “risorgere” grazie alla magnanimità dei Normanni nel 1172. Qui tre stili si fondono in perfetta sintonia: quello bizantino, nella decorazione della facciata; quello arabo, nell’archeggiatura, nei merli e nella cupola; quello normanno, nelle navate, nelle torri e nel portico. Per la policromia delle pietre bianche arenarie e nere laviche e per il suo pregio artistico, viene considerato fra i più interessanti monumenti della Sicilia. L’itinerario basiliano della costa jonica si conclude qui. Ma proseguendo verso Giardini, salendo verso i Peloritani ci si addentra nel cosiddetto “triangolo greco” che porta ai territori dei Nebrodi, con altri resti dell’epoca da visitare.

 

I Nebrodi e la Costa Tirrenica

I Nebrodi, compresi tra le province di Messina, Catania ed Enna, sono delimitati a sud da un tronco del Simeto e da piano della Guardiola che li separano dagli Erei e dall’Etna, ad ovest dal solco del Pollina e dalla sella di Gangi con cui iniziano le Madonie, ad est dalla fiumara di Novara Sicilia da dove si estendono i Peloritani. Il loro nome deriva forse da un’antica parola attica nebros (cerbiatto), che richiama la natura fondamentale di questi monti, coperti da vaste distese boschive. I paesi del comprensorio presentano notevole interesse dal punto di vista paesaggistico, artistico e delle tradizioni. Ne ricorderemo soltanto alcuni, quelli che portano ancora tracce di resti basiliani, sottolineando comunque che quasi ogni centro può vantare attrattive non secondarie. Procedendo da Giardini a cavallo tra le catene montuose dei Peloritani e dei Nebrodi, a circa 675 s.l.m., appoggiato ad un dirupo calcareo, si trova Novara di Sicilia. Il borgo di Novara è antichissimo. Alcuni ritrovamenti archeologici, infatti, ed i relativi studi, ne farebbero risalire il primo insediamento al mesolitico. Le prime case furono costruite accanto alla Rocca del Castello che fu il suo nucleo originario da cui si irradiò il paese. Le costruzioni del bellissimo Duomo e dell’Abbazia di S. Ugo risalgono al 1100 circa.Continuando alla volta di Palermo si incontrano numerosi paesi dell’entroterra montano tra questi, San Fratello (m 675), nei Nebrodi settentrionali, testimonia il retaggio greco bizantino nel Santuario basiliano dei Tre Santi, l’opera più impagabile, ubicato sull’altipiano Monte Vecchio, alla periferia del paese. La chiesetta conservava, nella cripta ancora visitabile, rivitalizzata da un recente restauro, le reliquie dei santi martiri Alfio, Filadelfio e Cirino, patroni di San Fratello, che proprio da essi assunse il nome. Attiguo alla Chiesa è un piccolo monastero di epoca più tarda, abitato fino allo scadere degli anni quaranta da un fraticello cercatore. Il complesso è dichiarato monumento nazionale, testimonianza delle rare preesistenze dei monaci basiliani del Valdemone, risalente al XII secolo, sorto, sui ruderi di un tempio greco, come “dipendenza” dell’abbazia di San Filippo di Fragalà a Frazzanò. Ed è appunto, sempre nei Nebrodi settentrionali, tra Frazzanò e Mirto, che si può ammirare il monastero di S. Filippo di Fragalà dell’XI secolo, il quale rivestì una grande importanza come primo centro di rinascita basiliana e bizantina nell’isola, diffusione di cultura teologica e spirituale nella quale si formarono San Cono di Naso, San Luca di Demenna ed i santi Lorenzo di Frazzanò e Silvestro di Troina. La costruzione si presenta ad unica navata, con accenno di transetto, absidiole laterali ed abside centrale e nicchie che si riallacciano a quelle del castello di Caronia. Una cupoletta all’incrocio del transetto con la navata raccordata al tamburo ottagono per mezzo di trombe d’angolo degradanti, come nei precedenti architettonici delle moschee di Susa e di Sfax in Tunisia. La diaframmazione reiterata per mezzo di arcate fra asse longitudinale e trasversale e la ripetizione modulare dei multipli geometrici dei cubi e delle calotte sferiche, di pura astrazione geometrica, fa di questa chiesetta uno dei monumenti più significativi del messinese. Altro importante esempio di architettura normanno-bizantina nel territorio settentrionale dei Nebrodi è rappresentato dal monastero del SS. Salvatore di San Marco d’Alunzio che presenta un impianto diverso dalle altre due chiese della regione, con una pianta basilicale a tre navate, prive di transetto sporgente ed absidi allineate e separate da archi a sesto acuto con ghiere a rincassi decorate da una dicromia strutturale nell’accostamento di mattoni laterizi a blocchi di pietra calcarea, secondo un gusto di origine bizantina reperibile anche in chiese delle contee più lontane, come i Santi Giovanni e Paolo ad Agrò. Nella stessa San Marco d’Alunzio in San Teodoro recenti restauri hanno rimesso in luce tre nicchie absidali di una chiesa bizantina incorporata nell’edificio più tardo con affreschi molto rovinati di un Pantocrator ed in basso quattro evangelisti o diaconi, mentre in quella laterale i quattro Dottori della chiesa orientale: Atanasio, Basilio, Gregorio Nazianzeno e Giovanni Crisostomo reggono filatteri recanti i propri scritti teologici in greco. Il linguaggio pittorico è parte integrante di quella cultura monastica popolare e stilizzata diffusa nei cenobi della periferia dell’impero d’oriente e che ha dato le maggiori espressioni italiane in Puglia e Basilicata. Tra le cittadine che conservano ancora esempi di monasteri brasiliani c’è Alcara Li Fusi con il monastero di Santa Maria del Rogato, dove è ancora possibile ammirare uno splendido affresco murario bizantino che raffigura la morte della Vergine. Deve invece la sua origine a questo periodo, all’anno 1091, la cittadina di Raccuja, da quando cioè il Gran Conte Ruggero la fondò nei pressi dell’Abbazia basiliana di S. Nicola del Fico edificata in una vallata ricca di gelsi ed alberi da frutta. Anche le origini di Sant’Angelo di Brolo risalgono all’epoca normanna, quando il conte Ruggero, in segno di riconoscenza verso S. Michele Arcangelo per la vittoria riportata sui Saraceni, fece edificare tra il 1070 e 1084 un grandioso Monastero Basiliano dedicato al Santo. S. Angelo si sviluppò successivamente presso il Monastero e rimase sotto la giurisdizione degli abati fino alla seconda metà del secolo XVIII. Da Sant’Angelo di Brolo, costeggiando la litoranea tirrenica possiamo trovare, infine, altri insediamenti normanno – bizantini  nella cittadina di Rometta con i resti del castello e la chiesa bizantina di S. Salvatore dei sec. VII-X. Da questa cittadina  il circolo si chiude con un ritorno ideale a Messina.

 



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