Milano sfida la crisi. Milan l’è sempre on gran Milan


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Milano, quadrilatero della moda. Tra via Montenapoleone e via della Spiga i migliori clienti degli stilisti, da Armani a Krizia, sono i nuovi magnati russi e i neoricchi cinesi. Mentre da poco più di un anno la Rinascente è in mano a una società thailandese. Non so se sia normale: è così. Tutto si mescola nella metropoli globale, la città europea più alla moda, capitale mondiale dello shopping dopo New York e Londra ma prima di Parigi e Tokyo. Non parliamo del design: dove, secondo Le Monde e il Wall Street Journal, Milano può sempre vantare un assoluto primato planetario.

Sotto Natale, certo, un po’ di crisi si sente: rispetto allo scorso anno, la Confesercenti avrebbe stimato per dicembre un -3% a livello nazionale. La città accusa moderatamente il colpo. Sempre produttiva e aperta, frenetica comunque di attivismo diurno e notturno, fra tecnologia, commercio, arte, finanza, editoria e altro ancora.

Negli anni Ottanta questa era la metropoli dell’ edonismo, tra costose top model, Borsa esuberante, ore piccole in discoteca e socialisti molto avidi. Milano da bere, si diceva. Nei Settanta dominava piuttosto una turbolenta babele di eskimo di sinistra, sanbabilini di destra, fioruccini, paninari e fighetti vari.
Alle prime della Scala, uova marce contro pellicce. Prima ancora, quelli della mia generazione ricorderanno la capitale morale felicemente operosa della grande ricostruzione, tra Motta, Alemagna e commendatori che si erano fatti da sé. La Milano del Corrierone, dei Rizzoli, poi degli Strehler, del cabaret, della finanza. Ma oggi? Oggi, dicembre 2012, tra Imu, sobrietà targata Monti e apocalisse Maya manca la tensione ideologica dei Sessanta come l’ostentata lussuria degli Ottanta. Anzi, c’è il sindaco Pisapia che con vezzo francescano si presenta alla Scala senza cravatta. Ma la milanesità non demorde quanto a vitalità, ricerca del bello e proiezione al futuro: qui si produce, si consuma, soprattutto si progetta.

Fino a ieri sulla linea dell’orizzonte – meglio: skyline – si stagliavano soprattutto il Pirellone, la Torre Velasca e le guglie del Duomo. Oggi proliferano i grattacieli in vetro-cemento della nuova Regione Lombardia, del progettato Centro Feltrinelli e della futura Città della Moda: centri espositivi, ampi spazi residenziali, culturali e commerciali, tra fashion e tecnologia. Una grandiosa rivoluzione urbanistica. C’è voluta tutta un’équipe internazionale di nuovi architetti, tra cui spicca quel Cesar Pelli – americano, d’origine argentina e naturalizzato in Italia – responsabile tra l’altro delle esotiche e monumentali Petronas Towers di Kuala Lampur (Malesia), per la verità non proprio un modello di sobrietà.

Il clima natalizio favorisce un cauto consumismo. Si accendono il grande albero di piazza Duomo e la cupola della galleria Vittorio Emanuele, mentre raffinati fiocchi di luci firmati Tiffany tempestano via della Spiga. Ma ecco l’enorme e festosa Cometa, 200 metri per 140, del MiCo, il nuovissimo centro congressi più grande d’ Europa, sorto lo scorso anno nell’area dell’ ex Fiera Campionaria. Brillante, intricata e spettacolare struttura aerea, ideata dall’architetto Mario Bellini.

E’ vero che molti esercizi chiudono: alcuni definitivamente, altri per spostarsi e ristrutturarsi. I negozianti non si direbbero euforici ma nemmeno troppo preoccupati. I tassisti non brontolano più del solito. Alla Camera di Commercio prevale un discreto clima di non sfiducia. Alessandro Prisco, presidente dell’Ascoduom dichiara: “C’è una leggera flessione, non certo un tracollo. In centro va meglio che in periferia, in compenso c’è un apprezzabile afflusso dall’hinterland. Prevalgono i consumi di livello alto e altissimo.” Ma vanno molto anche l’outlet (articoli già invenduti o fuori catalogo) e il vintage (modernariato).

I gentilissimi commessi di Dolce & Gabbana confermano che la selettiva prudenza dei milanesi è compensata da un pubblico multietnico e ricco di russi, cinesi e arabi, al punto che tutti i principali negozi si sono dotati di interpreti: “La città nel suo insieme si difende bene”. E la milanese bella e modaiola che fa, insegue l’ultimo grido? No, piuttosto cerca di precederlo per bruciare sul tempo la concorrenza delle altre, orientandosi sulle collezioni di stilisti non ancora troppo noti, ma probabilmente famosi già dall’ anno prossimo. Come MSGM, che cura il look delle maggiori star televisive, o quel Fausto Puglisi che tra le altre ha vestito Belen Rodriguez. Frivolezza, vanità, denaro. E profumo di donna.

Ma moda significa anche gusti, costumi, modi d’essere e apparire. E poi locali, quartieri, linguaggi, forme mentali più o meno spontanee o costruite. Se le divisioni ideologiche si sono sfumate, restano rigide quelle culturali e stilistiche. Con il tradizionale fighetto bocconiano – jeans firmati, mocassini con stemma dorato, giacchetta brillante e attillata – che predilige locali trendy come le Biciclette, l’ Hollywood, l’Armani Café (ristorante, dopocena e discoteca). Ma il top del top è dato dalle raffinate e antiche enoteche di Brera, dominate da un’aristrocazia sociale brillante, spesso esagerata, comunque molto intenta a farsi vedere.

Non mancano i radical variamente chic e alternativi di Porta Ticinese, che si buttano molto sul riscaldamento globale, l’equo&solidale, lo slow food e le canne. La fascia più critica comprende i tamarri “cheap” della cintura industriale, spesso tifosi ultrà, ragazzotti rapati a zero che esprimono il disagio sociale ostentando tatuaggi, bicipiti, jeans sdruciti e atteggiamenti aggressivi.

Altri locali trendy? Il Pavé di via Casati (bar, pasticceria, caffetteria), arredato con materiale di recupero: ottimi gli aperitivi. Peccato chiuda presto. Il Rita, al Naviglio grande. Il Ragù di viale Monza, vicino allo Zelig: piccolo, rockettaro, trasversale: nel senso che trovi in po’ di tutto.Very friendly. Infine, il mondo a sé dei locali gay: come il Plastic, club-discoteca elegante, dal variopinto pubblico di designer e architetti snob, ironici e creativi, che per l’occasione non disdegnano vivaci canottiere arancione e bizzarre piume di struzzo.

Ma quanto può influire l’andamento dell’economia sui ritmi mentali e produttivi della città? Lo chiedo a Lina Sotis, l’indiscussa maestra del Bon Ton. Risposta: “I milanesi sono un popolo straordinario, di forte tempra morale, che riesce ad adattarsi con stile. Si sono adeguati, non vedo stridori. Anzi, direi che certe difficoltà possono rivelarsi salutari anche sul piano estetico.” Come dire: ci stiamo riscattando dagli eccessi pacchiani di un recente passato”.

Ma intanto, come si sarà intuito, il linguaggio della moda, o fashion semiology, ha favorito l’invadenza di un buffo lessico di neologismi inglesi. Più ironico, forse, che imbarazzante. Tutto è glamour, cool, trendy, smart, up to to date. Marrone è banale: meglio chocolate. Casual è superato: meglio daily wear, ovvero gli indumenti comuni, di tutti i giorni. Lo stilistà è il fashion designer, mentre il suo speciale tocco creativo è detto mood. Una festa scintillante è un glam party, un abbigliamento brillante un glam look. Se poi la contaminazione si esaspera e la spinta al consumo si fa riflesso condizionato e compulsivo, ecco che si diventa fashion victim. Succede anche questo: è la globalizzazione, bellezza. Tutto circola incessante, senza frontiere: banconote, merci e parole. Milano non si ferma mai, è sempre moderna.

Gian Luca Caffarena

 



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