Epoche. Beat, come una Messa


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chiesa santa maria del fiore forlìTrovo ancora oggi difficile descrivere i sentimenti che provavo quando da bambino entravo in una chiesa. Lievissimo timore o balbettante soggezione? Pacifico abbandono o gelida ostilità? Sensazioni contrastanti, come del resto contrastanti saranno nell’aspetto e nei nomi le chiese della mia vita: un fiore, una regina di pace; la maestà, il fuoco [1]. Dovevano trascorre anni ancora affinché imparassi a godere di quelle oscurità e di quei solenni silenzi che solo certe chiese offrono. D’altronde, è quasi sempre vero, spesso noi viviamo un luogo condizionati dal primissimo, forte ricordo che esso ci ha lasciato.

E allora ecco una fila ordinata di bambinetti, grembiuli bianchi le femminucce, neri i maschietti, fiocchi rosa e azzurri, percorrere la via del mare una mattina di ottobre (San Remigio?). Alla testa un severo Maestro. Ricordo ancora la mia classe. Ampia. I banchi di legno col foro per il calamaio e la scanalatura per lo stilo. Le sedie scricchiolanti. Dai pennini dorati scendeva l’inchiostro nero (infido) a comporre sequenze di lettere ed aste sui nostri quadernetti a righe. Al muro la foto del Presidente: Giuseppe Saragat. Una cartina fisica dell’Italia (monti, laghi, fiumi) e poi la croce dietro la cattedra. Sempre la croce, in alto e al centro: In hoc signo.

Così, alla ripresa dell’anno scolastico, regolarmente si andava in chiesa per la benedizione.

Quella mattina il severo Maestro, prima di partire incolonnati verso la chiesa, ci disse che al ritorno avrebbe controllato le unghie di tutti e se fossero state sporche, la bacchetta che teneva sempre con sé sarebbe entrata inesorabile in funzione.

E allora fu il panico. Tracce di perfida terra infatti, s’annidavano sotto le mie unghiette, residui malinconici di un pomeriggio in cortile, ahimè ora così lontano nella sua inarrivabile, serena tranquillità. Il terrore mi impediva di pensare alle cose più semplici e ovvie, come ad esempio cercare un legnetto e nettare quelle minuscole manine. Sarebbero bastati pochi minuti appena. Per strada o anche in chiesa. Due minuti scarsi di fugace, scaltra destrezza e tutto sarebbe tornato a posto. Il severo Maestro nemmeno se ne sarebbe accorto. Invece nulla. Il panico aveva annullato completamente ogni mia capacità razionale. Col cuore in tumulto e gli occhi lucidi dunque percorrevo rassegnato, insieme ai miei compagni, la via del mare, insolitamente grigia.

Quando del tutto inaspettata, da una merceria, spuntò la mamma. La mia mamma. Un magone soffocante mi attanagliò la gola impedendomi di precipitare in un pianto dirotto. La mia mamma era lì. Proprio lei. Sorridente, alta e forte come sempre, proprio lì, ad un passo da me. In quel momento vidi in lei la mia cucina calda, il mio cortile sicuro, la mia nonna. Ma un dovere superiore, una regola crudele mi impediva di correre al sicuro tra le sue braccia. Un sorriso forzato, fugace e composto, e continuai a camminare mantenendo il passo del compagno che avevo accanto, mentre mia madre sorrideva solare e salutava con la mano. Continuai a camminare verso la chiesa, col severo Maestro rigidamente alla testa del plotone ordinato, lasciandomi alle spalle il volto caldo e inconsapevole di mia mamma, ignara del mio destino.

Il buio fresco delle navate e l’odore delle candele all’ingresso in chiesa, mi dovettero sembrare l’inaccettabile preludio ad una inevitabile dolorosa e umiliante punizione. Punizione che poi, di fatto, nemmeno ci fu. E dire che proprio in quei giorni le chiese meno austere cominciarono a vibrare di nuova e fresca energia. Non ho mai veramente capito del tutto perché in alcune espressioni della Chiesa abbiano prevalso toni cupi e tenebrosi. Sia nella liturgia come nei luoghi di culto, quando invece il messaggio del Cristo è gioia pura, luce abbagliante, vitalità incontenibile.

barritasSarà per questo che in un momento storico speciale, come la fine di un decennio frizzante e spregiudicato, quali sono stati gli anni Sessanta, qualcuno abbia voluto provare a iniettare qualche dose di colore anche in chiesa. Uno di questi fu il compositore Marcello Giombini (1928-2003) che realizzò la Messa dei Giovani o quella che è meglio conosciuta come la Messa beat [2]. Alla prima pubblica rappresentazione a Roma, organizzata dai sacerdoti dell’Oratorio di san Filippo Neri con grande dispiegamento di media, fu vero scandalo. Basta sfogliare i giornali di quei giorni per rendersene conto. messa bit

 

 

«Ragazze con le gonne sopra le ginocchia accolgono gridando i loro beniamini che cantano l’Introito in stile beat […] Zazzeruti e capelloni si sono dati appuntamento oggi pomeriggio nella sala borrominiana della Vallicella annessa alla chiesa di San Filippo Neri […] Il chiasso è stato cosi la nota dominante di questo audace esperimento di musica religiosa» [3].

 

piper«Alle 18,30 i santi degli affreschi assistevano ai primi accordi di shake e al martellare implacabile della batteria, interrotto solo di tanto in tanto da una rapida cascata di note sull’organo elettrico […] Alle 19 si era in pieno Piper [4], con i primi tentativi di ballo […] [padre Belli direttore dell’Agostiniana:] E io dico ai giovani: badate, essere cristiani non è come succhiare una caramella. Questa vostra musica non invita al raccoglimento, alla meditazione, ma stuzzica l’epidermide e non scava dentro […] [persino il commentatore dell’organo del Partito Comunista Italiano concludeva sconsolato e scettico:] Certo, l’idea di trasformare le centinaia di chiese romane in altrettanti Piper non è una prospettiva entusiasmante» [5].unita1966_

Prima di tornare all’interno delle chiese nella vivace turbolenza di quei giorni, è bene ricordare cosa rappresentò nell’Italia di quel tempo il Piper Club, ripetutamente citato negli articoli che abbiamo appena sbirciato. Il locale romano venne inaugurato il 17 febbraio 1965 e divenne subito un vero e proprio luogo di “culto”: «”La futura mecca dei teen-agers della capitale”; “il tempio dello Ye-ye”; convegno ogni sera di millecinquecento scatenati, e il sabato il doppio, piuttosto sotto che sopra i diciott’anni, con camicie da cow-boys e chiome da uomini delle caverne, celebranti frenetici riti in avvolgimenti vorticosi, in piroette acrobatiche. […] il “tempio dei giovanissimi”, che chiamano altare il palco dei musicanti e tabernacolo l’ingresso del sotterraneo; di una generazione che definisce mature le persone dai ventidue ai trent’anni, decrepiti e vecchioni quelle dai trenta ai quaranta, antenati o defunti gli altri» [6].

Divenuto pressoché immediatamente simbolo della rivoluzione giovanile, culturale e dei costumi, che stava nascendo, il Piper non poteva non suscitare reazioni nei “benpensanti”. Il 20 dicembre 1966, ad esempio, «il Questore di Roma accertato che la sala da ballo “Piper Club” sita in via Tagliamento 9, era diventato locale di ritrovo di giovani che nelle ore pomeridiane trascuravano lo studio e le occupazioni, motivo per cui molti genitori avevano fatto pervenire alla Questura lamentele e proteste, ha disposto con effetto immediato che il suddetto locale venga aperto al pubblico non prima delle ore 20.30» [7].

A difesa dei giovanissimi che il 23 dicembre manifestarono pacificamente in Piazza del Popolo, scesero i “matusa di buonsenso” e qualche giornale di sinistra: «Perché i poliziotti non vietano allora la TV dei ragazzi? Perché non impongono la chiusura dei cinema? Ma la verità è un’altra: spinti dai soliti benpensanti — ma in questo caso, esistono veramente? — i questurini hanno concluso un altro atto della ridicola “guerra ai capelloni”» [8].

Il Piper, ancora oggi in funzione, ha ospitato il meglio della musica italiana ed internazionale;  addirittura il 18 e il 19 aprile 1968 si esibirono nientemeno che i Pink Floyd, allora da noi semisconosciuti.

Tornando alle nostre Messe beat va detto che, come ogni fenomeno che in quegli anni scardinava consuetudini secolari, suscitarono perplessità negli ambiti più vari, da quelli più conservatori e tradizionalisti, a quelli più laici e progressisti.

Al dilagare delle Messe beat anche nelle parrocchie più periferiche, la Chiesa prese posizione ufficialmente per voce del cardinale arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro, presidente del Consilium per l’applicazione della Costituzione sulla sacra liturgia, e del cardinale Arcadio María Larraona Saralegui, prefetto della Congregazione dei riti. In un documento datato 4 gennaio 1967 essi scrivevano: «Cerimonie liturgiche, soprattutto celebrazioni eucaristiche aliene dal culto cattolico, quasi inverosimili come “cene eucaristiche familiari” celebrate in case private e seguite da pranzi; messe con riti, vesti e formulari insoliti ed arbitrari, talora accompagnate da musiche di carattere del tutto profano e mondano, non degno di un’azione sacra. Tutte queste manifestazioni culturali dovute ad iniziative private, tendono fatalmente a dissacrare la liturgia».

La disputa proseguì negli anni. Alcuni movimenti guidati da giovani sacerdoti affascinati dalla “rivolta permanente” [9] che scoppiava nelle strade, nelle piazze, nelle scuole e nelle fabbriche, o forse solo animanti dal desiderio di riavvicinare le nuove generazioni al messaggio di liberazione del Cristo, continuarono a sfidare le gerarchie ecclesiastiche.

«Sono intervenuti i “tradizionalisti” durante una “Messa beat”. Nella basilica di San Paolo – Il celebrante ha abbandonato l’altare. Scontri sono avvenuti nella Basilica di S. Paolo Fuori le Mura tra un piccolo gruppo di giovani cattolici “tradizionalisti” e alcuni sostenitori delle “Messe per i giovani”, le cosiddette Messe “beat”. Nel momento in cui il celebrante, l’abate Franzoni, stava indossando i paramenti sacri all’altare maggiore e le chitarre incominciavano a suonare, i giovani “tradizionalisti”, che già nelle scorse settimane avevano protestato con le competenti autorità ecclesiastiche, si sono avvicinati ai suonatori. Con fare perentorio hanno imposto di sospendere le musiche per rispetto al luogo sacro e in omaggio anche alle recenti disposizioni della Conferenza episcopale italiana, che vietano l’uso di strumenti “profani” durante la celebrazione della Messa. L’esortazione non è stata accolta e ciò ha provocato un tafferuglio con numerosi scambi di colpi, mentre l’abate abbandonava l’altare. I contendenti sono quindi usciti dalla basilica. Sul sagrato sono intervenuti nella mischia anche alcuni tranvieri del vicino deposito dell’Atac. Gli scontri hanno avuto termine con l’arrivo della polizia. Alcuni dei contendenti sono stati condotti al commissariato di pubblica sicurezza di Porta S. Paolo e identificati. Indagini sono in corso “per accertare tutte le responsabilità”» [10]

 

messa-beat2La Chiesa in realtà si stava muovendo – magari coi suoi tempi, normalmente lenti per la percezione umana – ma grandi cambiamenti erano all’orizzonte. Il Papa Paolo VI infatti, con la costituzione apostolica Missale Romanum, aveva promulgato il 3 aprile 1969 una nuova editio typica del messale (Novus Ordo Missae) estendendone l’uso a tutta la Chiesa latina in sostituzione di quello tridentino e il 30 novembre 1969 nelle chiese di tutta Italia si celebrarono le prime messe in lingua italiana.

«Una cosa che ho trovato degna di plauso è che il sacerdote è rivolto verso il popolo. Trovo apprezzabile lo sforzo di una più intensa comunione tra il celebrante e i fedeli, positiva anche la lettura di brani del vecchio testamento, pur non nascondendomi che in massima parte sono di difficile comprensione per le persone di minor cultura». Così si esprimeva il professor Giuseppe Olivero dell’Università di Torino, mentre lo studente sedicenne Luca Negro affermava: «Il nuovo rito risponde di più alle esigenze del culto essendo stato liberato da una certa enfasi. Ora sono messi in maggior risalto l momenti essenziali, come ad esempio quello della lettura del testi sacri. Noi cattolici, tra i cristiani, siamo quelli che conoscono meno le Scritture» [11].

Dunque la Chiesa stava modernizzandosi ma, nonostante ciò, per quanto riguardava le Messe beat, mantenne una posizione di rigidità, tanto che nel novembre 1970 fu il Santo Padre in persona a intervenire per cercare di mettere una parola finale: «Istruzioni ai vescovi. Vietati gli esperimenti liturgici – Le donne non potranno leggere pubblicamente il Vangelo. Città del Vaticano, 5 novembre. Basta con gli esperimenti liturgici: la raccomandazione, formulata in termini perentori, che viene oggi rivolta ai vescovi e al clero di tutto il mondo cattolico, è contenuta in una “istruzione” della Congregazione per il Culto divino, approvata da Paolo VI. Da sette anni la liturgia cattolica, sotto la spinta dell’aggiornamento iniziato dal Concilio Vaticano II, era stata campo aperto alle innovazioni, nel tentativo di ristabilire un contatto con le masse dei fedeli. Le facoltà concesse ai vescovi di autorizzare esperimenti vengono ritirate, Roma riprende nelle sue mani l’autorità di approvare e disapprovare gli eventuali mutamenti in materia liturgica. Oggi i calendari ecclesiasti ci segnano la ricorrenza delle “sacre reliquie conservate a Roma” e la data viene sottolineata da un prete tradizionalista di Curia come la più adatta alla pubblicazione dell’”istruzione”: ─ Per commemorare quel che resta dell’antica liturgia  ─ dice.  I tredici articoli di cui consta il documento sono una “elencazione dei mali” che la Santa Sede ravvisa, nel campo liturgico, in questo momento: iniziative personali, soluzioni affrettate, ambiguità, desacralizzazione, secolarizzazione, individualismo, personalismo. Espressioni come “non è lecito”, “non si può” tornano ad ogni passo come altrettante proibizioni, affidate direttamente alla “responsabilità dei vescovi, posti dallo Spirito Santo a reggere le chiese locali”. Ad essi è affidato il compito di assicurare l’obbedienza dei sacerdoti “chiesta in ordine ad una più perfetta espressione del culto e alla santificazione delle anime”. Non si può sostituire la Sacra Scrittura durante la celebrazione della Messa con altre letture tratte da scrittori sacri o profani dell’antichità o di tempi più recenti; a nessuno è permesso cambiare, sostituire, togliere o aggiungere qualcosa ai testi liturgici composti dalla Chiesa; gli strumenti musicali siano ridotti di numero e non siano rumorosi; il celebrante non può introdurre didascalie durante la liturgia eucaristica. Inoltre: la preghiera eucaristica non può essere detta da altri che non sia il sacerdote; “non si può approvare” che i fedeli, nei casi in cui venga concessa la Comunione sotto le due specie, si passino il calice l’un l’altro; non è lecito servirsi per la Messa di suppellettili destinate ad usi profani; è da riprovare “l’abuso” di celebrare la Messa indossando la stola sopra la veste clericale ordinaria ed è “assolutamente proibito” ai preti di compiere l’azione sacra indossando la stola “sopra l’abito civile”; infine, nei casi in cui la Messa sia celebrata fuori della chiesa, per concessione del vescovo, si deve evitare di compiere il rito sacro “in refettori o sopra una tavola ove si consumano i pasti”. Per le donne viene ripetuto il principio che vieta loro di servire all’altare, anche se il rito si svolge in conventi e istituti femminili. Quasi come premio di consolazione, l’istruzione della Congregazione per il culto divino riconosce però il loro diritto a proclamare le letture (ad eccezione del Vangelo), servendosi di microfoni, in un “posto adatto” dell’assemblea, a proporre le “intenzioni” della preghiera comune dei fedeli, a guidare il canto, suonare l’organo e altri strumenti permessi» [12].

 

Chiusura totale dunque, si direbbe. Ma, usando per restare in tema, un’immagine musicale: «come può uno scoglio arginare il mare»? [13].

E in effetti anche nella sperduta chiesetta del mio paesello, arrivarono le musiche di Giombini, ma soprattutto quelle di un Maestro locale.

A me, cittadino che salivo al paese solo di tanto in tanto nei fine settimana, nel complessino beat che animò le Messe domenicali delle ore 9 (quelle dedicate ai giovani), venne assegnato il nobile strumento del triangolo e di tanto in tanto la clavietta (solo per eseguire però “Sei il mio pastore”). Ogni altro tentativo del nostro tastierista e leader (diplomato al Conservatorio), di farmi imparare qualche altro pezzo, risultò miseramente vano.

 

Per la cronaca va ricordato che il Maestro Giombini, tra il 1961 e il 1985, compose anche musiche per numerosi film (almeno 82), utilizzando spesso gli pseudonimi di Pluto Kennedy o di Marcus Griffin. Nulla di strano se non che moltissimi di questi film erano di carattere erotico. Tra tutti vanno ricordati:  Sexi al neon (1962), Sexi service (1970), L’ossessa (1974), Mandinga (1976), Il compromesso… erotico (1976), Tomboy, i misteri del sesso (1977) e Clitò petalo del sesso (1980).

Gabriele Paradisi

 

 

Note

[1] Santa Maria del Fiore, Via Ravegnana – Forlì ; Regina Pacis, Viale J.F. Kennedy – Forlì ; Beata Verginedella Maestà, Piazza Cavour – Predappio Alta ; Madonna del Fuoco, cappella nel Duomo di Forlì .

[2] Le musiche del maestro Marcello Giombini (1928-2003) furono interpretate da diversi complessi tra cui i Barrittas, i Bumpers e gli Angels and the brain.

[3] Urla e fischi in una chiesa di Roma per la Messa dei cantanti capelloni, La Stampa, 28 aprile 1966.

[4] Il Piper Club di Roma si trova tutt’oggi al numero 9 di via Tagliamento, nel quartiere Trieste e più precisamente a ridosso del complesso di edifici denominato “quartiere Coppedè” dal nome dell’architetto che lo progettò.

[5] Ye ye in delirio e sacerdoti in polemica, l’Unità, 28 aprile 1966.

[6] Paolo Monelli, Notti romane, La Stampa, 16 marzo 1965.

[7] Per la chiusura del Piper protestano i giovanissimi, l’Unità, 22 dicembre 1966.

[8] Il Piper chiuso: ordine del Questore, l’Unità, 21 dicembre 1966.

[9] Antonello Venditti, Compagno di scuola, 1976.

[10] n.e., Scontri in chiesa a Roma durante una “Messa beat”, La Stampa, 14 settembre 1970.

[11] Edilio Antonelli e Pier Michele Girola, Favorevoli alla nuova Messa. Qualcuno rimpiange il latino, Stampa Sera, 2 dicembre 1969.

[12] Filippo Pucci, No del Papa alla Messa beat, La Stampa, 6 Novembre 1970.

[13] Lucio Battisti, Io Vorrei… Non Vorrei… Ma Se Vuoi…, 1972.

 

 



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