Salis, quando il concerto “piano solo” diventa one man percussion band


Add to Flipboard Magazine.

foto 1 (2)Mentre sul palco sanremese del teatro Ariston  il festival della canzone italiana offriva il consueto rituale, a Roma, a metà strada tra la statua di Gioacchino Belli e lo struscio trasteverino, all’interno  della rassegna Jazz.Zone organizzata dal Collettivo  Agus negli spazi “Al Cantiere” di via Modena  solo un centinaio di persone potevano assistere al concerto del pianista fisarmonicista e compositore Antonello Salis. Strepitoso? Travolgente? Emozionante? Ogni aggettivo è riduttivo per descrivere l’imponente vitalità che come uno tsunami  è esploso nell’aria ed imploso tra  queste semplici  mura dall’acustica eccellente.

A niente è servita l’enorme sveglia posizionata all’interno del piano per contenere, almeno nel tempo, l’energia e la generosità del musicista. Così, nei primi cento minuti le sue mani hanno fatto uscire dai tasti e dalle corde suoni e note che abitualmente non appartengono a questo strumento, creando un’orchestra virtuale di percussioni. Al cuore e al cervello sono inaspettatamente arrivate le timbriche metalliche del clavicembalo, quelle rotonde ed ovattate del sitar, il fruscio delle spazzole sui piatti della batteria, le bacchette sul rullante, la dolcezza delle maracas. Invece, davanti al pubblico, c’era un uomo e un piano. Solo.

foto 2 (2)I brani eseguiti, scritti dallo stesso Salis con l’unica eccezione della beatleasiana  Lucy in the sky with diamonds, hanno trascinato l’ascolto come nel vortice di un temporale apocalittico fatto di fulmini, pioggia, fiumi in piena, visioni di arcobaleni e sprazzi di sole. Ed anche nella seconda parte

del concerto, sessanta incalzanti minuti di fisarmonica, il Grande di Villamar, come un sapiente comandante di vascello attaccato al pennone di una barca, ha traghettato il pubblico in una tempesta di note fatta di onde e correnti dall’odore e dal sapore di salmastro, percuotendo, accarezzando, sfiorando e circumnavigando la bottoniera e l’anima del pubblico.

Subito dopo il sound check e prima di questo straordinario “cataclisma” dal pentagramma, nel privilegio di una chiacchierata a due ha raccontato come la musica nella sua Sardegna fino agli anni Settanta fosse patrimonio quasi esclusivo delle sagre paesane, relegata ai momenti di ballo.

A Roma, dove si trasferì nel 1975 ha trovato sin da subito quello che sperava: gli stimoli, i grandi musicisti a cominciare da Massimo Urbani. Appena arrivato nella Capitale, al Music Inn non solo ci suonava ma, per un periodo, ci dormiva pure potendo vivere da vicino i grandi che arrivavano dall’estero come Charles Mingus, Ornette Coleman. Oggi, per lui, lo stimolo non è cercare unmodello strumentale ma fare musica che emoziona, sviluppando una preparazione tecnica.

Accennando ai suoi imminenti impegni fuori Roma, i  suoi occhi sorridono al pensiero dei prossimi concerti con colleghi che stima e con i quali si  diverte: con Michel Portal,Stefano Bollani, Baba Sissoko e Don Moye, Paolo Fresu e Furio di Castri, solo per citarne alcuni.

“Ho suonato in un sacco di posti differenti – dice Salis – dalle piazze alla cappella Paolina del Quirinale ai grandi teatri, ma non è importante dove si suona, anche se la bellezza stimola molto. L’obiettivo è un altro e sempre il solito: fare musica speciale. E per farlo il percorso di vita è

lungo, sì, e articolato. All’inizio non sai che cosa e chi  sei, poi mano a mano che vai avanti lo cominci a capire e quando lo hai capito ed afferrato vai oltre, fino a cercare di superare il limite di ripetere te stesso. Ogni giorno voglio provare a stupirmi, provare a sentirmi diverso. Questa ricerca magari è un’utopia che non raggiungerò mai ma è un buon stimolo per non rimanere “in pantofole” davanti allo strumento per essere nuovi a sé stessi e quindi anche al pubblico, cercando prestazioni che vadano oltre lo standard.  Il concerto termina all’una e trenta. Le luci si accendono, dopo gli applausi e i saluti Salis ripone i suoi personali strumenti tra cui anche una tortiera in alluminio. Il coperchio del vecchio pianoforte tedesco in legno costruito da F Geissler, Zeitz viene richiuso e, attaccato con nastro adesivo, spunta un foglio che recita: “ Il pianoforte è stato appena riparato ed accordato. Si prega di trattarlo con affetto, grazie!”.  E su come sia stato amato questa sera, nessuno ha dubbi.

Lavinia Macchiarini



Devi essere registrato per inviare un commento Entra o registrati