La grande bella Vittoria di Sorrentino


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 “La grande bellezza” premiata come miglior film straniero. Oscar all’opera di Sorrentino che narra e immortala lo splendore e i miasmi di Roma.

 

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«Viva Sorrentino, viva il cinema italiano! Quando il nostro Paese crede nei suoi talenti e nella sua creatività, torna finalmente a vincere». Con questo tweet il neoministro dei Beni culturali Dario Franceschini ha salutato l’Oscar  riscosso stanotte ad Hollywood da La grande bellezza come miglior film straniero.

«Grazie alle mie fonti di ispirazione: Federico Fellini, Martin Scorsese, Diego Armando Maradona, a Roma, a Napoli e alla mia più grande bellezza personale, Daniela, Anna e Carlo», ha commentato emozionato il suo autore Paolo Sorrentino, ricordando sua moglie ed i figli.

Così, se i francesi furono i padrini de La dolce vita, che nel 1960 premiarono a Cannes con la Palma d’oro, nell’omettere l’anno scorso di pagare con lo stesso tributo La grande bellezza, che ha compiuto lo stesso itinerario internazionale da Roma a Cannes per approdare a Los Angeles, hanno ceduto il passo agli americani, che viceversa al celebre, precursore ed ispiratore film di Fellini avevano riconosciuto solo l’Oscar per i costumi.

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Su queste colonne, avevo già definito un capolavoro l’ultimo film di Sorrentino (http://www.bonvivre.ch/?p=12486), che all’uscita era stato trattato con sufficienza dai critici italiani, e addirittura il più bel film che avessi visto, per il modo magistrale in cui riesce a fondere le immagini, la musica e la trama dei personaggi che ruotano intorno a Toni Servillo nelle vesti dello scrittore Jep Gambardella in una Roma ancor splendida visivamente ma ormai più che decadente, putrescente, quanto a costumi, e sono contento di aver chiuso la mia recensione concludendo che questo capolavoro non onorava solo quella italiana, ma tutta la cinematografia mondiale.

L’augurio a Paolo Sorrentino, che, come il Jep nel quale si è rispecchiato ed autoritratto, è riuscito ad evitare di soccombere nel marasma italiano,  è quello di non lasciarsi incantare nemmeno dagli stessi lusinghieri lustrini di Hollywood, che luccicano nella lunghissima e tenebrosa notte della dittatura, onnivora e globalizzante, del relativismo culturale fondato sul pensiero debole e sull’immoralità e votato al nichilismo, oggi così totalitaria e potente da riuscire a ridurre al silenzio chi, come Papa Benedetto, ha avuto l’eroico e solitario coraggio di denunciarla, allo stesso modo in cui non se ne lasciò catturare il suo Maestro Fellini, e di affermarsi come una delle grandi coscienze critiche che, dai versi immortali di Dante agli scritti corsari del povero Pier Paolo Pasolini, non sono mai mancate, come sprone continuo, alla nostra contraddittoria, gloriosa e al tempo stesso colpevole Patria.

Giancarlo De Palo

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