Storie di vita. Alla scoperta delle Filippine


Add to Flipboard Magazine.

filippineAvevo in programma di recarmi nelle Filippine più avanti nel tempo, per avere un’idea di quello che era il mercato, ma un giorno alla Fiera di Dusseldorf si presentò una persona molto gentile, che s’informò sulla tecnica per produrre gli specchi, era il direttore della fabbrica più importante delle Filippine che m’invitò a visitare il suo stabilimento. Accettai e dopo un paio di settimane m’imbarcai per Manila.

Eravamo nel 1983, alcuni mesi prima avevano ucciso all’aeroporto il Presidente Ninoy Aquino e nel Paese c’era ancora tensione anche a causa dei due movimenti rivoluzionari: comunista e musulmano, nati come reazione alla dittatura di Marcos. Anche nella città principale e capitale Manila, l’atmosfera era tesa a causa della presenza di una base americana a un centinaio di chilometri a nord: Subic Bay. La sinistra faceva pressioni per scacciare gli americani mentre i conservatori volevano tenerli perché portavano del commercio e del lavoro.

Arrivato a Manila, una macchina mi aspettava con il vicedirettore della fabbrica che mi condusse direttamente a vedere gli impianti.

Era un grande stabilimento che occupava una vasta area in riva al fiume in una zona industriale. Il direttore mi attendeva nel suo ufficio, mi offrì un ottimo caffè, più tardi mi disse che era il più grande coltivatore di caffè del Paese e mi mise nelle mani del direttore tecnico per una visita agli impianti.

La fabbrica era enorme, mi presentarono tutti i dirigenti e i capireparto, finalmente tornammo nell’ufficio del direttore e lo trovai che stava suonando un violoncello, mi disse che amava la musica e che suonare era l’unico modo per rilassarsi.

Mi offrì un altro delizioso caffè e mi spiegò che, dato che avremmo dovuto parlare a lungo, aveva pensato che era meglio che io dormissi a casa sua, naturalmente libero di muovermi come volevo.

La macchina del direttore era blindata, l’autista era armato e ci muovemmo scortati da due Range Rovers stracolme di guardie armate. Mi spiegò la situazione politica del momento e anche il fatto che lui era stato Ministro con Ferdinand Marcos, quando il dittatore venne esiliato, lui venne processato e assolto. Decise di non fare più politica e di dedicarsi alla fabbrica ma, essendo di famiglia molto ricca, aveva molti nemici e doveva vivere blindato.

La villa in cui abitava, nel quartiere più signorile di Manila in cui potevi accedere solo presentando i documenti ai posti di blocco, era in stile californiano tipo Hollywood, a sezione rettangolare, con una sola porta carraia per ingresso, come un forte, su cui stazionavano delle sentinelle armate.

L’atrio si affacciava su uno splendido patio, con al centro una piscina lunga 50 metri, contornata da piante e fiori, il tutto circondato da un colonnato che ti permetteva di passeggiare anche se pioveva.

Era una casa enorme, il direttore aveva un certo numero di figli, ormai grandi, e tutti avevano la stanza da letto privata con annessa scrivania per studiare. Mi colpì all’ingresso la sala di musica, dove tutte le settimane, con un’orchestra di amici, suonavano per qualche ora brani di musica classica.

Conobbi la moglie del direttore, una bella signora molto gentile che mi disse subito che amava l’Italia e mi accompagnarono alla stanza degli ospiti, enorme. Lo studio del padrone di casa, aveva le pareti coperte da libri, e una scrivania tipo fratino su cui troneggiava la fotografia di Amintore Fanfani! Mi spiegò che durante una visita ufficiale a Roma, fu accolto dal Presidente Fanfani e che diventarono amici.

Dopo quel primo viaggio, tornai spesso nelle Filippine, la trattativa era lunga e laboriosa, per cui tornavo molto volentieri, ero affascinato dalle “jeepneys”, gli autobus sempre affollati ricavati da un telaio di jeep e dipinti come i carretti siciliani, mi piaceva la folla variopinta e rumorosa come in Italia, adoravo la cucina, il “lechon de leche” ossia la porchetta, un cibo squisito, senza dimenticare i prodotti del mare e la frutta tropicale!

Nelle visite successive, fui ospite solo a cena nella villa, sempre preceduto da un bel mazzo di rose per la padrona di casa e seguito da un baciamano. Una volta successe un episodio particolare: quando arrivai, i miei ospiti erano nella sala di musica, entrai e in una fila in fondo, quasi al buio, c’era la signora che ascoltava la musica e mi fece segno di sedere vicino a lei senza parlare.

Stavano suonando un pezzo di musica da camera, che non conoscevo: il padrone di casa al violoncello, una signora dal viso conosciuto al piano e un signore anziano al violino. Finirono il pezzo e noi due spettatori applaudimmo; mi avvicinai ai musicisti e il direttore mi presentò la pianista, come un’amica d’infanzia e il violinista come il direttore della Scuola Musicale. Quest’ultimo ci lasciò perché aveva un appuntamento e noi ci dirigemmo nella sala per la cena. Quella sera i figli erano fuori casa per cui a cenare fummo solo in quattro, la signora che non conoscevo, era seduta di fronte a me e mi tempestò di domande sull’Italia, che conosceva bene, soprattutto l’arte. Parlava un inglese perfetto ma conosceva anche un poco d’italiano. La conversazione procedeva piacevolmente e la signora volle che la chiamassi per nome. I padroni di casa seguivano e a volte entravano nella conversazione, ma continuavano a ridacchiare in modo un poco strano; a un certo punto mi chiesero se il viso della signora non mi era familiare, risposi in modo affermativo, lo era, da tempo in verità mi stavo chiedevo dove avevo visto quel viso, ridevano tutti, mi sentii quasi uno scemo. La cena ormai era finita, la pianista si avviò verso la porta, accompagnata da tutti. Ci furono abbracci e baci e lei volle abbracciare e baciare anche me, ringraziandomi per la compagnia. Era una donna di gran classe, sicuramente.

Quando uscì, ci accomodammo di nuovo al tavolo per prendere un altro caffè, mentre gli amici continuavano a ridermi in faccia. Quasi mi seccai e domandai chi era alla fine quella signora tanto gentile, mi risposero che era la moglie del Presidente della Repubblica! Non dico come ci restai.

In quei mesi passavo molto del mio tempo in Estremo Oriente e avevo sviluppato a Hong Kong un’affettuosa amicizia con una bellissima ragazza filippina, di nome Maria, che lavorava, vestita da “Bunny”, al “Playboy Club” di Manila ed era in trasferta in un bar del mio albergo con una collega: ogni volta che andavo a Manila lei mi dava una busta contenente dei soldi da portare alla madre, tramite una sua collega del Club che era situato a Makati sul lungomare di Manila, in un bell’edificio in cui c’era anche un albergo di lusso.

L’amica di Maria del Club mi prenotava una bella suite panoramica all’albergo e mi faceva concedere anche un bello sconto. Inoltre, il ristorante del “Playboy Club” aveva la fama di essere uno dei migliori ristoranti della città, mi sentivo un papa laggiù.

Quando avevo tempo, attraversavo la strada e andavo a passeggiare sul mare, mi ricordava moltissimo Corso Italia a Genova o la “moutoniere” di Algeri.

La domenica era affollata, c’erano anche i soldati della base americana di Subic Bay. Un giorno c’erano dei marinai dall’altra parte della strada, arrivò una veloce macchina e dal finestrino spararono una raffica di mitra, uccidendo un sergente dei marines…. Non dico come restai….

Spesso, di domenica, il direttore mi portava a visitare dei posti bellissimi, eravamo proprio diventati amici, ricordo ancora un lago in un cratere di vulcano con al centro un vulcano in miniatura..

Ritornò una volta a Genova e mi chiese di aiutarlo a cercare una barca, non trovò quella che cercava al Salone Nautico, per cui lo accompagnai nei porticcioli in Liguria; finalmente la trovammo, usata, a Lavagna. Una gran bella barca, con i rubinetti d’oro, costruita per uno sceicco che non l’aveva ritirata; uscimmo in mare a provarla e ho visto recentemente una mia foto scattata mentre la pilotavo nel Golfo del Tigullio. L’amico si mise d’accordo per l’acquisto e ci trasferimmo a Genova da uno spedizioniere che l’avrebbe imbarcata per Hong Kong. Il direttore mi chiese la gentilezza di andare a Hong Kong per trasferire la barca a Manila via mare con il figlio maggiore, ma purtroppo nella mia azienda non mi concessero il permesso di andare.

In queste visite a Genova, il direttore s’innamorò della pasta con il pesto: alla prima spedizione di macchine, gli inviai un mortaio di marmo, un centinaio di piantine di basilico e una forma di parmigiano, sapevo che i pinoli li avrei trovati nelle Filippine. Le piantine vennero trapiantate da un giardiniere di fianco della piscina, in modo da ottenere una temperatura simile a quella di Prà. Ogni volta che arrivavo a Manila dovevo preparare trenette con il pesto!

Quando firmammo il contratto, molto importante, mi raggiunse dall’Italia il figlio del Principale, mi disse che, una volta firmato il contratto, avrebbe voluto cenare nel miglio ristorante di Manila e mangiarsi una grande aragosta. Lo feci alloggiare come me nell’albergo e la sera, finito il lavoro, lo portai a cena al “Playboy Club”.

Già all’entrata spalancò gli occhi quando vide che tutte le ragazze mi venivano a salutare calorosamente, ma non disse niente. Si mangiò da solo un’aragosta enorme e alla fine della cena, due “bunnies” s’inginocchiarono davanti a noi e ci accesero un ottimo sigaro filippino ciascuno, con una mimica immaginabile.

A quel punto il figlio del Principale si sbottonò:”Mi sto chiedendo da una vita come farà lei che viaggia sempre solo a trascorrere le serate, ora l’ho capito!”

Per ragioni che non voglio elencare qui, manco da 15 anni dalle Filippine, vorrei vedere ancora una volta il vulcano dentro il lago e gustarmi ancora una volta del “lechon de leche” e la rapida cadenza del “tagalog”, la lingua parlata.

Rimpiango anche la gentilezza delle persone e la loro cultura sposata con quella spagnola. Ma soprattutto mi manca lei…Maria.

Sandro Emanuelli



Devi essere registrato per inviare un commento Entra o registrati