Marzia e Giovanni, due giovani che convivono con una malattia rara


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Vogliamo parlarvi delle patologie mitocondriali, malattie rare ma nel loro insieme sono le malattie genetiche più diffuse nell’uomo. In Europa si stima che 1 su 5000 persone ne sono colpite, molti dei quali bambini nei primi anni di vita, ma i sintomi di queste patologie possono insorgere all’inizio della giovinezza o nell’età adulta con impatti significativi sulla propria vita e quella della propria famiglia.

Le malattie mitocondriali sono un gruppo molto eterogeneo di malattie ereditarie causate da alterazioni nel funzionamento dei mitocondri, gli organelli delle cellule che provvedono alla produzione dell’energia utilizzata dal nostro organismo. Le mutazioni genetiche che colpiscono i mitocondri riducono drasticamente la produzione dell’energia, così l’organismo si ammala in modo progressivo.
I sistemi e gli organi più frequentemente colpiti sono quelli che richiedono un maggior fabbisogno energetico, cioè il sistema nervoso, il cuore, i muscoli, ma possono essere interessati, in diverse combinazioni ed entità, anche la vista, l’udito e altri organi e apparati.
Una caratteristica di questo gruppo di patologie, che ne ha reso molto difficile lo studio nel corso degli anni, è la grande variabilità delle manifestazioni cliniche. La ripercussione a carico degli organi, la velocità di progressione e l’età di insorgenza è variabile da malattia a malattia e da paziente a paziente, anche all’interno della stessa famiglia.

UNA TRASMISSIONE PER LO PIÙ PER VIA MATERNA
I mitocondri provengono esclusivamente dalla cellula uovo e sono, quindi, di origine materna e contengono al loro interno il proprio DNA, che serve alla sintesi di una parte delle proteine necessarie per la produzione dell’energia cellulare. Le informazioni per la sintesi delle altre proteine che servono alla catena energetica della cellula sono contenute nel DNA nucleare, cioè quello della cellula.
L’origine genetica delle malattie mitocondriali può risalire sia ad una mutazione del DNA nucleare (come tutte le altre malattie genetiche umane) che a mutazioni del DNA mitocondriale, quello contenuto nei mitocondri.
Nel primo caso la trasmissione delle malattie mitocondriali segue le regole dell’eredità mendeliana, cioè la mutazione patogena viene ereditata dal figlio se entrambi i genitori sono portatori di mutazione nucleare con una probabilità del 25%.
Invece, nel caso di mutazione del DNA mitocondriale si parla di eredità mitocondriale. In questo caso, i mitocondri “malati” possono essere trasmessi ai figli solo dalla madre. Gli spermatozoi infatti non forniscono alcun mitocondrio all’atto della fecondazione.
Il DNA mitocondriale infine presenta qualche differenza rispetto al DNA nucleare, ad esempio è più sensibile alle mutazioni perché non possiede efficienti sistemi di riparo, soprattutto contro i danni causati dai radicali liberi. Ogni eventuale mutazione presente sul DNA mitocondriale sarà a sua volta trasmessa direttamente ed esclusivamente per via materna.

AD OGGI, LA METÀ DEI PAZIENTI NON HA UNA DIAGNOSI GENETICA, CIOÈ ANCORA NON SI CONOSCONO LE CAUSE GENETICHE DELLA METÀ DELLE PATOLOGIE MITOCONDRIALI OSSERVATE.
La ripercussione a carico degli organi, la velocità di progressione e l’età di insorgenza della patologia, che può manifestarsi sia nel bambino che nell’adulto, variano notevolmente da malattia a malattia, ma anche da paziente a paziente, e rende difficile il percorso diagnostico.
Quando si identifica la causa genetica si può arrivare a una diagnosi definitiva, ma non sempre è possibile per tutti i pazienti. Le mutazioni genetiche alla base delle singole patologie sono purtroppo estremamente rare e molte ancora non scoperte.

Intervistiamo Marzia che a 37 anni si è trovata a confrontarsi con una patologia rara e ci spiega “Tutto è iniziato il 17 dicembre del 2011, quando sono stata ricoverata d’urgenza per un’emergenza grave, il disseccamento della carotide. Sono stata in ospedale per tre mesi senza che però sia emerso il sospetto della mia malattia.
Sono una biologa e altri segnali di allarme che avevo avuto in precedenza, ad esempio il fatto che avessi il diabete, soffrissi di maculopatia e di emicrania, mi hanno fatto pensare che tutto dipendesse da un problema nelle cellule. Quindi mi sono rivolta all’Istituto neurologico Besta di Milano ed esattamente un anno dopo, il 17 dicembre del 2012 ho avuto la diagnosi: sindrome di Melas. Una malattia rara, mitocondriale. Viene definita una malattia invisibile – ci racconta Marzia –  perché ovunque tu venga ricoverata non ne conoscono l’esistenza e ogni volta ho con me la mia cartella clinica in vista di una crisi che potrei avere e che nessuno saprebbe riconoscere.
Ma è una malattia invisibile perché il mio aspetto, tutta la grinta che cerco di tirare fuori per mantenere la normalità, mascherano le mie difficoltà e le mie paure.
Il lavoro ad esempio è stato lo scoglio principale. Quando mi è stata diagnosticata la malattia avevo un lavoro da dipendente e facevo molta fatica a far comprendere le mie continue assenze, le emicranie, il dolore alle braccia. La fatica di una giornata intera al lavoro era insostenibile e, come biologa nutrizionista, ho dovuto scegliere la strada della libera professione. I miei pazienti mi conoscono, mi capiscono e sono la mia forza.  Mi sono sposata due mesi fa. E’ stata una gioia infinita.  In diverse occasioni – continua Marzia – ho dovuto piantare in asso marito e invitati, con l’assistenza di mio padre, per una crisi o per un bisogno urgente di riposo, ma è stata la giornata più bella della mia vita. Poi ho incontrato Mitocon, una Onlus diventata nel corso del tempo uno dei più importanti punti di riferimento in Italia sulle malattie mitocondriali,  infatti per me è stata una manna dal cielo. I medici non ti sanno dire se vivrai, quanto vivrai e come vivrai. Non ti sanno dire se ci sarà una cura e i particolari. Nel momento in cui ho scoperto Mitocon non ho avuto le risposte che speravo di avere, ma ho trovato una famiglia. Tante persone con la mia problematica, che sapevano cosa stessi vivendo e di cosa parlassi, non mi sono più sentita sola.
Per il viaggio di nozze io a Paolo avevamo il sogno di andare negli Stati Uniti. Sapevo di poterlo fare perché avevo tutti con me. Paula, madrelingua inglese, disponibile giorno e notte ad essere chiamata se avessi avuto bisogno di un interprete, nel caso mi fossi ritrovata in un pronto soccorso americano. Piero, che aveva allertato i suoi contatti all’United Mitochondrial Diseased Foundation – UMDF, la corrispondente di Mitocon americana, per farmi sentire sicura che se avessi avuto bisogno avrei sicuramente ricevuto supporto. Ecco – conclude Marzia –  Mitocon è una famiglia che non ha confini, un grande abbraccio che ci unisce in tutto il mondo, insieme per darci supporto e inseguire la speranza di una cura”.

 

Giovanni ci racconta la sua storia difficile da digerire a 17 anni e assolutamente sorprendente.  Ci spiega ” E’ una cicatrice che mi porto dietro da quel giorno. Lo ricorderò per tutta la vita, era il 31 gennaio 1996. Mi ero alzato nella mia cameretta con mio fratello gemello, omozigote, in tutto e per tutto uguale a me. Ero andato in garage a prendere la bicicletta, come facevo tutti i giorni per andare a scuola. Mentre pedalavo, mi sentivo un po’ strano. Qualcosa non tornava nel mio corpo. Però, lui era davanti, io pedalavo dietro, e siamo arrivati a scuola. Ero in prima fila e avevo il compito di latino alla prima ora, ho tirato fuori il bigino, cercavo il Somnium Scipionis di Cicerone per ripassarlo, ma non lo trovavo. Ho chiesto al mio compagno di banco perché avesse strappato le pagine, ma lui le vedeva, io no. Quindi sono tornato a casa, mia madre affettava il salame. “Mamma, lo sai che non ci vedo più bene?”, “Sarai stanco, vai a letto, riposati un po’”. E da lì è iniziato tutto.
Piano piano la vista peggiorava. Mia mamma è stata molto forte, però mi portava continuamente da un dottore all’altro. A un certo punto abbiamo provato anche con l’agopuntura, per un anno ogni giovedì sono uscito di scuola e ho preso il treno da Milano per Padova, una tortura in tutti i sensi, ma non succedeva niente. Avevo 17 anni. A un certo punto è arrivata la diagnosi della Leber – LHON, una neuropatia ottica ereditaria. E’ causata da una mutazione del DNA mitocondriale, quello che si eredita per via materna. Sono forse l’unico caso al mondo in cui, con un gemello omozigote, in me si è manifestata la malattia mentre in lui no”. Cosa vedi adesso?  “Riesco a vedere la differenza tra il cielo e l’immobile che hai dietro le tue spalle. Dagli odori percepisco il pino marittimo sopra di noi anche se non riesco a vederne bene i dettagli”.  Cos’è che ti è salvato? “Sicuramente lo sport, il canottaggio. Era la mia passione. In coppia con Andrea, il mio gemello, praticavamo il 2- (due senza) a livello agonistico. Alla prima partecipazione al meeting nazionale di Piediluco, mi ricordo ancora: siamo partiti ultimi, a metà della gara eravamo nel gruppo e nei 500 metri finali abbiamo superato la canottieri Napoli e siamo arrivati primi. Un’emozione incredibile. Ma dopo quella gara sono stato male il corpo sembrava non recuperare più. Una delle tante conseguenze delle malattie mitocondriali è lo stress ossidativo, l’accumulo di acido lattico, che può riguardare anche chi soffre, come me, soffre di una neuropatia ottica e quindi, rispetto alle altre patologie, l’impatto è quasi interamente concentrato sul nervo ottico. Dopo quella gara ho provato a continuare con le competizioni agonistiche, ma non ce la facevo. Mi rendevo conto che lo sforzo era sempre più difficile da sopportare, i miei tempi di recupero erano troppo lunghi rispetto agli altri. Ma, anche se ho rinunciato all’agonismo, il canottaggio non l’ho abbandonato. La squadra, il gruppo, il senso di appartenenza, la natura, l’acqua, mi facevano star bene. Lo sport era la mia valvola di sfogo. Anche se non vedevo più bene, sentivo scorrere la barca sotto il mio carrello, sentivo le pale entrare in acqua all’unisono, era sempre un emozione”.  Cosa ti aspetti dal futuro?  In questo momento provo un cauto ottimismo. Penso che adesso ci sono degli strumenti tecnologici, una sete nel mondo della ricerca che non c’è mai stata in vent’anni, che riaccende in me una speranza che si stava un po’ spegnendo. Il vero messaggio, però, è che ognuno nella sua situazione deve trovare la sua serenità e il suo equilibrio, la vera ricerca per tutti.  Mitocon ha rappresentato molto per me,  è in assoluto un punto di riferimento per la mia vita, perché non è solo ricerca, non è solo speranza di guarire, ma è anche un’associazione che dà la possibilità di condivisione, dove si conoscono persone meravigliose, si raccontano le proprie storie. La vita è fatta di questo ed è un valore molto importante per me”.

Ci auguriamo che queste testimonianze possano servire a chi è affetto da queste malattie ed entrando in contatto con l’Associazione possa trovare l’abbraccio che l’aiuta a superare i momenti difficili, a raggiungere i propri sogni e a non spegnere mai le speranze.



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