L’Eco della notte… La miniserie “Il Nome della Rosa” e il dilemma se Gesù abbia mai riso


Add to Flipboard Magazine.

Stanotte, disinformati sul precipitare dell’escalation della guerra della Stella di David ai terroristi di Hamas, che ieri mattina hanno colpito con uno dei loro missili, un edificio a Nord di Tel Aviv, ferendo sette persone, gli italiani sono rimasti incollati alla TV per godersi l’ultima, memorabile puntata de “Il Nome della Rosa“, fedele e felice trasposizione cinematografica del capolavoro di Umberto Eco, pubblicato nel 1980 da Bompiani, il suo editore di riferimento.
In questa miniserie, anche l’andamento del thrilling medievale ha seguito quello del romanzo stesso, che, come molti grandi capolavori moderni era inaugurato, invece che dal propiziatorio inno alle Muse, da prove di iniziazione per fidelizzare l’ignaro lettore: si pensi al “mattone” dei passi in latino.
Infatti, al di là della perfezione formale di tutta la miniserie, il fine della prima puntata era quasi esclusivamente quello di risvegliare le conoscenze generiche di uno spettatore medio del mondo medievale: per il resto, il fiore che meglio le si addiceva, non era la Rosa, ma il soporifero Papavero.

Come scrivere un saggio sul Secondo libro della Poetica del sommo Aristotele, senza che lo leggesse solo la ristretta cerchia dei suoi studenti e quello di esperti di filosofia e semiotica?
Fu così che il Genio di Eco, semiologo e massmediologo, ex funzionario RAI, fu folgorato dall’idea di scrivere il thriller “Il Nome della Rosa”. Il Secondo libro della Poetica di Aristotele è dedicato al tema della Commedia, cioè all’Arte del Riso.
La disputa tra i monaci dell’Abbazia benedettina e l’inquisitore francescano, un Guglielmo d’Occam magistralmente interpretato da John Turturro, è tutta qui: Nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, rideva o non rideva?
Ai nostri lettori l’ardua risposta.

Giancarlo De Palo



Devi essere registrato per inviare un commento Entra o registrati