La Belle Epoque e i nuovi sensuali scenari


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Tra la fine del XIX Secolo e la Prima Guerra mondiale si iniziò a respirare un’aria di sfavillante ottimismo, di attesa verso il nuovo Secolo. In questo periodo, noto come Belle Epoque, i cambiamenti nel vestiario femminile non si fecero certo attendere. Nell’opera “Alla ricerca del tempo perduto”, Marcel Proust, attento osservatore della realtà, racconta in modo dettagliato i cambiamenti che interessarono, in primis, la biancheria femminile.

Per la prima volta nel corso della storia della moda, infatti, la biancheria cominciò ad avere il ruolo di rendere le donne più sensuali, mettendone in risalto le curve. Gli abiti abbandonarono lo stile maestoso ed ingombrate degli anni precedenti per assumere la “forma ad S”, sinuosamente capace di sottolineare la silhouette, mettendo in risalto seno e punto vita. Questo non fu, d’altra parte, l’unico cambiamento di rilievo nell’abbigliamento femminile. Le donne cominciarono ad indossare abiti tagliati su misura, i cosiddetti (ed a noi più che noti) “tailleurs”: giacca, gonna e blusa. Intanto, l’industria tessile continuava a fare passi da gigante: le macchine da cucire perfezionate da Isaac Merrit Singer e l’invenzione del primo colorante artificiale, l’anilina, permisero di importare dall’America la produzione di abiti in serie. Tali abiti, detti “di confezione”, si vendevano a prezzi decisamente competitivi.

 

Allo sviluppo della produzione seriale si affiancò ben presto il mercato dell’alta moda, dando vita ad un dualismo che  non è stato più abbandonato dal mondo della moda. Parigi fu culla indimenticabile dell’haute couture: proprio nella capitale francese Charles Frederick Worth, il primo vero couturier della storia della moda, aprì il suo fastoso atelier nel 1857 dove, per la prima volta in assoluto, iniziò ad utilizzare mannequin per l’indosso delle sue creazioni. Il primo passo verso la delineazione della moda contemporanea trovò, così, il suo compimento.

Nella seconda metà del 1800, proprio grazie a Worth ed alle sue creazioni sontuosamente portabili, nacque il moderno sistema dell’Alta Moda, attraverso il quale più clienti potevano acquistare la stessa creazione da uno stesso sarto. Questo non fu l’unico tratto di modernità che caratterizzò il 1800 perché, accanto ad abiti haute couture, iniziarono a farsi strada anche abiti dedicati allo sport ed al tempo libero. Il tenore di vita di alcuni ceti sociali era abbastanza elevato da permettere di dedicare del tempo ad attività di svago. Lo sport diventò così molto popolare e quelli che possiamo considerare ancora oggi come tratti fondamentali dell’abbigliamento maschile nacquero proprio in questo periodo. Pensiamo, per esempio, alle giacche ed ai vestiti in tre pezzi con l’unica differenza che, al tempo, questo tipo di abbigliamento veniva riservato solo alle occasioni informali. Per le signore, invece, gli abiti “da tempo libero”, come quello all’amazzone o la tenuta da caccia, avevano inizialmente ben poche differenze con quelli usati in città e nonostante fare il bagno venisse considerato terapeutico, dalle donne ci si aspettava che si limitassero ad avvicinarsi alla riva e non certo che facessero il bagno per davvero: qualcosa di simile ad un costume contemporaneo, naturalmente intero, comparve verso la fine degli anni ’70 del XIX secolo. Ciò che sembrava, tuttavia, destinato a “costringere” per sempre le donne nella scomodità mostrò sul finire del secolo alcuni cenni di cambiamento: le lunghezze delle gonne si accorciarono per facilitare la pratica di alcuni sport ed i pullover fatti a mano fecero la loro comparsa nei guardaroba femminili. Non solo:  negli anni ’80 del secolo vennero ammessi i calzoni alla zuava, detti bloomers, per andare in bicicletta. Disegnati da Amelia Jenks Bloomer, ferma sostenitrice dei diritti femminili, furono da subito usati nelle primissime campagne a favore delle donne e dei loro diritti.

Claudia Rossi



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