Seguo un corso di meditazione occidentale. Un tentativo piuttosto riuscito di coniugare l’oriente religioso e l’occidente razionale. Lo tiene un emerito personaggio, capace di analisi raffinate e profonde sul mondo delle emozioni e quello della scienza e sul loro contaminarsi alla luce di tradizioni sapienziali di non facile comprensione e di arduo esercizio pratico. Ora, non è ancora tempo di esprimere le mie valutazioni del complesso intrecciarsi di teorie estremamente affascinanti e coinvolgenti, prospettate con chiarezza esemplare dal curatore del seminario. Dirò soltanto che, specialmente ove si consideri la ormai diffusa crisi delle religioni positive tradizionali, se non proprio dello spirito religioso, queste passeggiate intellettuali posseggono una carica attrattiva notevole e indicano percorsi assolutamente originali, rispetto al nostro comune modo di pensare. Quello che mi è capitato durante l’ultima seduta è invece un evento fuor dell’ordinario, concretizzatosi all’improvviso davanti alla mia mente, mentre si faceva un esercizio di “vigilanza consapevole”. Si affrontava il tema indicato da una via del tantra, la 112, per assaporare una concezione di beatitudine, legata all’unione con l’assoluto attraverso l’eros. Idea non polverizzabile in pillole di saggezza preconfezionate o secondo le balordaggini delle tecniche yoga, costruite ad usum delphini da qualche guru di periferia.
Il docente c’invita a ricordare.
Rammemorare un’ incontro erotico con l’emozione che ne è derivata, amando una donna.
Orbene, non so come, ma facendo una rapidissima panoramica dei miei ricordi, non mi venne alla memoria nessuna delle ragazze, conosciute in vari periodi della mia esistenza. Per quanti sforzi facessi, neppure una delle deliziose donzelle, che mi donarono le loro gioie stupende, mi si presentò dinanzi agli occhi. Per quanto sconcertato, dovetti insistere con me stesso a più riprese.
E così, quasi inconsapevolmente, si materializzò una figura mai frequentata in senso biblico, lasciandomi stupefatto ed incredulo.
La meravigliosa fanciulla, con cui mi parve di aver ottenuto il massimo della beatitudine dei sensi, era rappresentata da una pittrice di acquerelli delicati e fantasiosi, con tocchi di colore leggeri ma penetranti, immersi in un’aura senza tempo, a cui si aggiungevano note musicali rarefatte e dolcissime.
Isabella, esclamai. Sei tu?
Finalmente.
Non aspettavo che te, le sussurrai, astraendola di colpo dalla sala dell’esposizione, dove il giorno prima avevo apprezzato gli ultimi suoi quadri, ritraendone impressioni inedite ed indimenticabili.
Lei mi sorrideva soavemente, annuendo e spargendo intorno a sé mille petali profumati, mentre si avvicinava, allargando le sue bianche braccia, avvolgendomi nel velo azzurrino della sua veste, muovendo graziosamente la lunga e morbida capigliatura, per accogliermi teneramente nell’infinito.
Piero Sampiero








