SplashTv. Universo parallelo o era del vitello d’oro?


Add to Flipboard Magazine.

Impossibile dimenticare o rinunciare oggigiorno alla Rete, al regno delle immagini e delle stimolazioni visive, alle fantasmagorie e ai moduli della tv che trovano domicilio fra il nostro sentire e la realtà. Siamo di fronte ormai a un iper-media, a un setaccio variabile di animato e inanimato, di emozioni e forme tecnologiche, di narrazioni e pure astrazioni dove la vita cede sempre più il passo – ma non del tutto – alla sua trasposizione iconografica e fiabesca. Chi pensa che ci troviamo di fronte a un flusso indistinto di comunicazione da cui non è più giusto separare alcun elemento biologico, esistenziale, e sul quale non possiamo esercitare nessuna forma di libertà e critica, o semplice disappunto, probabilmente deve rivedersi meglio The Millionaire, film plurivincitore in una delle ultime edizioni degli Oscar . L’intuizione vincente del gioiello cinematografico indiano (con tutte le suggestioni bollywoodiane che ne derivano) è che, dietro il cinico e  scolastico pressapochismo dei quiz di un giochino televisivo che promette la vincita della svolta, resti ineluttabilmente sospeso tutto un coacervo di esperienze vissute, sventure personali, piaghe sociali, lutti familiari, soprassalti del cuore e della ragione. Un destino di invisibilità di cui lo Schermo si fa cavaliere oscuro ma che non nega – anzi esalta e concentra – il registro più squisitamente palpitante e portatore di verità della vita del concorrente, soprattutto quando la precisione con la quale risponde alle domande del conduttore crea una pericolosa deriva poliziesca all’interno del rassicurante bacino della “cultura generale” da cittadino medio. Se il ragazzino di una bidonville asiatica ostenta tanto enciclopedico sapere, minimo deve avere in platea qualche compare che gli suggerisce cosa va “acceso”; invece tutto è già scritto sulla sua pelle e nelle sue lacrime di giovane emarginato.

L’antidoto alla Fiction Totale sembra essere, insomma – nel film come nel nostro quotidiano -, il sottotraccia di una soggettività che si dà per strappi, imprevisti, “buchi neri”, per una sorta di carnalità collaterale sulla quale, però, dovremmo insistere di più per cercare una qualche forma di salvezza dall’impero dell’Indifferenza, dal fascino del Tele-inganno.

Come quello che accade, ad esempio, nell’ultima pubblicità dell’amaretto Di Saronno e in tutti gli spot che inneggiano ancora all’esotismo socializzante dei cocktail superalcolici dove la realtà vera è nella minuscola sovrimpressione che appare in fugaci fotogrammi e che avverte: “bere con responsabilità”. Che equivale a dire: la scena principale deve essere assorbita dall’incantesimo di una aggregazione fra giovani e belli garantita da bevande commerciali tendenzialmente pericolose, mentre nel rigo piccolissimo il warning, esplicito e niente affatto subliminale, richiama i canoni “nascosti” della volontà e del giudizio, diluendo così il senso di colpa di chi fa business sul bisogno di felicità della gente. E che dire, allora, del sottotraccia per antonomasia, ovvero il “fuorionda” che in pochi istanti fatali di disattenzione svela mondi inattesi, retropensieri indicibili, parole e intenti come lame che brillano nel buio di alleanze già fragili? Basta un microfono aperto, una telecamera che indugia un po’ troppo, una tempistica sbagliata nel corso di una diretta e la cortina del fasullo, del politichese, le strategie del buonismo e della temperanza di facciata colano come cera sciolta di una maschera, lasciando affiorare i miasmi di ciò che si pensa davvero del corpo di una collega, di un sodale di partito, di un finto nemico alle prossime elezioni, di un vicino di scranno che si vorrebbe pugnalare “amabilmente” se solo non si fosse costretti a tacere i peggiori segreti dell’uno o dell’altro come merce da piazzare alla bisogna. Il sistema neuro-mediatico ha un piccolo collasso, un attacco di bradicardìa, rallenta i suoi battiti, lascia trasparire “qualcosa” dietro siparietti e ambiguità, si curva sulla realtà, la accoglie, non la stropiccia come sempre, come se la Videocrazia tornasse in pochi secondi al lampo al magnesio della Belle Epoque con il gruppo folgorato in una posa oggettiva, senza scampo. Dimensione elettronica e naturale delle cose, infosfera e linguaggio comune, artificiale e viscerale devono poter interagire in un nuovo sistema di domande e risposte, sinaptico, relato, utile anche, perché no.

Un intero movimento si conosce su Facebook fra chat, mouse e tastiere ma si vede in piazza per gridare diritti e opinioni alternative. Le nefandezze di due insegnanti di asilo vengono vivisezionate e inchiodate nell’alone cinereo di piccole spycam piazzate dalla Polizia. Gli inviati-cartoon di Striscia fanno tintinnare le manette ai polsi dei truffatori dopo gustosi servizi ai limiti del comico.

La televisione come organismo è l’unica via di fuga. Viverla (e subirla) come universo parallelo o come uno tsunami che annienta ogni differenza è precipitare all’epoca del vitello d’oro ma con un parallelepipedo luminoso davanti agli occhi.

Carmine Castoro

 

 



Devi essere registrato per inviare un commento Entra o registrati