Il Centro Storico di Genova, angusto e splendido


Add to Flipboard Magazine.

via del Campo

Gli odori sono quelli forti del mare e del porto. Pesce fresco, navi, umanità varia. Dalle chiglie delle petroliere quelle inconfondibili esalazioni oleose e stagnanti. Ma anche i fumi delle trattorie e delle cucine, tra fritture, arrosti, minestroni, farinate, erbe aromatiche, spezie. Splendidi palazzi barocchi e viuzze senza sole. Fulgidi scorci romanici e cupi androni. Prostituzione e fasto. Come scindere l’ Orrido dal Sublime? La contaminazione è ineluttabile, in questa aria di oriente e di suk. Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, tra scirocco, foschie, banchetti e piccoli mercanteggiamenti. Genuensis ergo mercator. Mentre l’amalgama multietnica, in questa movida incessante di africani, arabi, cinesi e indiani, che da qualche decennio hanno preso il posto di calabresi e siciliani, fa pensare piuttosto alla cosmoplita folla di New York.

 

E’ il centro storico di Genova, “dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”, diceva Fabrizio De André, che tanto amava “quell’aria spessa, carica di sale, gonfia di odori”. Un dedalo intricato, umido e scuro, concepito per disorientare gli invasori barbari, ma che da quella barbarie ha finito per assorbire il clima, lo stile e forse quella certa mentalità un po’ sfuggente e magrebina, funzionale a ogni trattativa.

 

Gino Paoli definiva Genova una “città intestinale”. Così capita di uscire dall’ombra equivoca di un viottolo per trovarsi bruscamente in qualche perfetta piazzetta ben tenuta, dalle proporzioni eleganti e precise. Ed ecco le meraviglie antiche di Palazzo Spinola, Palazzo Bianco e Palazzo Rosso. Maestosi, opulenti, con opere di Rubens e Van Dyck. E chiese come San Donato, SS. Cosma e Damiano, S. Matteo, lo stesso Duomo di San Lorenzo. Così, a pochi passi dal vecchio bordello, trovi vetrine preziose e antichi caffè come salottini. C’è Klainguti, tutto oro, velluto e specchi. E la pasticceria Romanengo, dai pregiati banconi barocchi.

 

La città vecchia di Genova, tra le più estese in Europa, è un mondo a sé. Va vissuto, più che giudicato. Molto è stato ripristinato, moltissimo resta da risanare. Ma non aiuta il moralismo, e nemmeno il folklore facile. Ogni (est)etica piccolo-borghese impedirebbe di metterci piede. Piuttosto sarà utile qualche nozione storica, perché in questi angusti spazi medievali sono nati i mestieri e le corporazioni, di bottega in bottega, di vicolo in vicolo.

Come confermano i toponimi: via Orefici, vico Indoratori, piazza della Pellicceria, via Macelli di Soziglia, salita Pollaioli. Gli odori e i sapori, si diceva: ovvero piazza delle Erbe, vico del Pepe, del Sale, del Fieno, dell’Oliva. E le grandi famiglie nobiliari: vico Doria, via dei Giustiniani, Spinola, Durazzo, Boccanegra. Quanta arte e quanta storia.

Magnifico il Palazzo Ducale, che frontalmente dà su De Ferrari, pieno centro. Splendida la rinascimentale via Aurea, ora intitolata a Garibaldi. Ma per partecipare pienamente di tanta bellezza devi saperti calare tra le ombre di via Del Campo e via Prè. Anche perché lo stesso De André ci ricorda che solo “dal letame nasconi i fior”.

Gian Luca Caffarena



Devi essere registrato per inviare un commento Entra o registrati