Non ci credo, non voglio nemmeno pensare che “L’ origine del mondo” di Courbet abbia un volto. Il quadro-icona della Vagina, conservato al Quai d’ Orsay di Parigi e oggetto di tanta comprensibile attenzione, sarebbe in realtà solo la parte asportata di una più grande tela raffigurante un comunissimo nudo. Secondo lo scoop di Paris-Match l’altra metà, quella superiore, sarebbe stata trovata in questi giorni: ritrae un’anonima modella di mezza età, dai tratti un po’ segnati e molto comuni. No. Quel pube folto, quella semplice fessura – senza volto eppure mai anonima – deve restare ciò che da sempre rappresenta, esponendosi in perfetta naturalezza allo sguardo turbato e avido dell’osservatore, tra intimità profanata e quieta impudicizia: lì è il mistero grandioso della Donna, il simbolo puro della femminilità più intima, dell’erotismo, della riproduzione, della generosa fecondità di Madre Terra: insomma, del ciclo umano. Nascita, amore e morte. Storicamente oggetto di astruse teorie freudiane e di sublimi calembur danteschi, come quel <<Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio>>. Diabolicamente involuto e ambiguamente incestuoso: tra sacro, profano e basfemo.
Qualunque altro dipinto – una scena di caccia, uno scontro tra armigeri a cavallo, un qualunque soggetto biblico o mitologico – avrebbe richiesto un certo corredo critico o discalico: dal medico di Van Gogh a Giuditta che decapita Oloferne, dalla battaglia di Anghiari al crocifisso di Cimabue. L’origine del mondo, no: è lì. Regale e perfetta. Rappresenta l’Essere, non ha contesto. Storicizzarla è impoverirla, definirla è ridurla: è Colei che è. Suprema sineddoche, quale Parte di un Tutto che conviene resti indefinito.
Quanti conflitti e scaramucce attorno a quell’ oggetto di un desiderio atavico, anzi supremo e assoluto. Parapiglia, gare, contese militari. Quanta arte, quanta (troppa?) letteratura. Patrimoni sperperati, faide di famiglia, congiure di palazzo, manovre ereditarie e dinastiche, fallimentari operazioni finanziarie. Si nasce, si ama, si muore, spesso si uccide. Lei è lì. Rispettiamone il Mistero ora sommesso ora gaudioso, celebriamola se volete – sarebbe anche giusto – in un liturgico, barocco, trionfale Magnificat. Ma per favore, non diamole nome né volto. Sarebbe come decidere che il Big Bang debba chiamarsi Arturo.
Gian Luca Caffarena