Conoscere il mondo. Luoghi, libri, ricette..da non perdere


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summe_puddingLuoghi, libri, ricette.  Un legame unisce esperienze forti: visive, olfattive e insieme di gusto. Non c’è luogo in cui non si decida di andare senza un buon libro. E non c’è luogo di cui non si sperimentino sapori. Proviamo a percorrerlo questo percorso incrociato di sensi e ad abbozzarne forme e contenuti.

Anche se l’Italia è il Paese in cui cibo e luoghi sono legati da una cultura millenaria, e le ricette sono affari che si tramandano nelle famiglie, sarebbe troppo facile cominciare dalla ricchezza del patrimonio italiano del gusto.

Più curioso e intrigante cominciare il viaggio da un Paese che si direbbe poco avvezzo alla buona tavola. Chiunque sia stato nel Regno Unito non ricorda questo grande Paese per il suo buon mangiare. Però, superata la diffidenza iniziale anche le terre al di là della Manica riservano sorprese inimmaginabili. È quello che lascia intravedere un curioso libro sulla cucina britannica, e non solo, “La lingua nel piatto”. Sottotitolo: le ricette per imparare a capire l’inglese (e gli inglesi).

“Se per apprendere la lingua ci vogliono corsi e cassette, perché non fare anche un po’ di pratica attraverso il cibo?”, si domandano le autrici, le italiane Renata Beltrami e Silvia Mazzola. Il volume è tutto un rimandare a proverbi, modi di dire e brevi lezioni sulla lingua che hanno il cibo come filo conduttore. In fondo, cosa c’è di più invogliante che imparare termini del vocabolario a bocca piena, gustando sapori nuovi, sbocconcellando bacon smoked o unsmoked, o scrambled eggs a colazione, scoprendo così che il termine scrambled significa confuso se riferito a una persona, distorto se usato per una comunicazione telefonica, e strapazzato in cucina.  Minestre, dolcetti per l’afternoon tea o il tradizionale roast beef del pranzo domenicale, nel libro hanno ognuno un capitoletto a sé, con i consigli sulla pronuncia, le storie legate alla pietanza, e ovviamente la ricetta vera e propria.

Esemplare il capitolo sui pudding, dallo yorkshire pudding, dorato insieme al roast beef, ai pudding salati, a quelli dolci. Il termine hot puddings tradizionalmente indicava una serie di pietanze salate servite come portata principale. Dal Settecento i pudding diventano anche dolci, con alcune ricette ormai delle istituzioni: The Qeen of pudding, The Butter pudding, The Baked rice pudding, The Summer pudding, serviti con la hot custard, la crema pasticciera, o con la panna per le versioni estive. Questa sorta di “budini”, che poi budini non sono, in un’economia ben più povera dell’attuale hanno avuto il ruolo di rimpinzare le pance degli inglesi e risparmiare sul consumo di ingredienti più nobili (carne o pesce). A base di pastella di burro, uova e farina, una volta venivano cotti a bagnomaria con un procedimento da slow food. Ora esistono bacinelle speciali per cuocerli anche nel microonde. Un paio d’ore dopo la cottura basta capovolgere i recipienti per avere il caratteristico effetto “cupola del Brunelleschi”. Sono così popolari che non poche città hanno il loro pudding. Vale la pena ricordare il Canterbury pudding (con salsa al vino calda), il pudding di Chichester (con latte, uova e pangrattato), e quello di Exeter (con uvetta, rum, zucchero e suet, un grasso di rognone al posto del burro).

Altro capitolo per la birra, ale come la chiamano da secoli nel Regno Unito, quando era solo artigianale e ogni pub (ale houses) aveva la propria ricetta. Addette alla preparazione della birra erano le donne  di casa (ale wives) e per far sapere che la birra era pronta appendevano sulle porte delle ale houses un mazzetto d’orzo (alestake). Sono nate così le insegne caratteristiche dei pub, che ancora oggi si possono acquistare a buon mercato a Portobello. I pub sono i luoghi di socializzazione per eccellenza. Nessuno può dire di aver assaporato l’atmosfera britannica se almeno non è entrato in un pub. Nel Regno Unito se ne contano oltre 60mila, e qualcuno è lì da quasi mille anni. Per gli inglesi il pub è il luogo in cui ci si rilassa, dopo il lavoro, e si va per chiacchierare con gli amici, per mangiare e bere birra. Dalla bitter, la tipica birra inglese scura e servita a temperatura ambiente, alla lager, oggi più di tendenza, leggera, servita invece fresca, alla stout, scura e cremosa. Nei pub si mangia cibo tipico (pub food), economico e semplice (il Ploughman’s lungh, ovvero il pranzo del contadino: formaggio Cheddar, prosciutto, sottaceti, cipolline, insalata e pane; il Cottage pie, un pasticcio di carne di manzo; le Jacket potatoes, patate con la buccia cotte al forno, tagliate a metà e farcite in mille modi diversi, dal formaggio alla carne piccante). La birra fa così parte della cultura anglosassone che ci sono modi di dire come “Life is not all cakes and ale”, che sta a significare che la vita non è solo piaceri.  Con la birra, immancabile nella pastella dei fish and chips, nelle Isole britanniche si fanno anche i dolci. Provare per credere. E degustare. Bevanda consigliata: una Indian Pale Ale di Samuel Smith per esaltare il contrasto dolce – amaro.

 

 

Torta alla birra – Ingredienti

220 gr. di burro – 300 grammi di zucchero di canna . 220 grammi di farina – 4 uova – 400 millilitri di birra stout (tipo guinness) – 100 grammi di cacao amaro – 1 cucchiaino di lievito – 1 cucchiaino di bicarbonato

Cominciare lavorando il burro ammorbidito con lo zucchero. Aggiungere le 4 uova, la farina, un cucchiaino di lievito e un cucchiaino di bicarbonato. A parte versare la guinness in una terrina con il cacao, anche con pezzetti di cioccolato se si vuole. Lavorare il composto e aggiungere il resto degli ingredienti. Versare il composto in una teglia imburrata e infarinata e infornare in forno già caldo a 180° per circa un’ora (ci si può regolare dal profumo). Si può servire insieme a una crema di formaggio al brandy (philadelphia montata con lo zucchero e un cucchiaio di brandy).

 

PS: la pastella della frittura di pesce si prepara mescolando 150 gr di farina con 400 ml di birra chiara e unendo poi 3 chiare d’uovo montate a neve con un pizzico di sale. I filetti di pesce vanno prima infarinati e poi passati nella pastella per essere poi fritti nell’olio.

Maria Grazia Pecchioli

 



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