Epoche. Un giorno come un altro alla Tv


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Ho avuto una pubertà precoce. Forse è per questo che non raggiungo il metro e settanta di altezza e… ho una miopia pronunciata…

1_ Gruppo di famiglia TVL’amico Cesare Borrometi, pubblicista e studioso della “Tv degli anni d’oro”, autore del prezioso “Lunario dei giorni di Tele” [1], nel suo blog ilfocolare-radiotv [2] è solito riportare per intero la programmazione televisiva e radiofonica di un giorno qualunque di qualche decennio fa, commentando poi le singole trasmissioni, arricchendo di particolari ed approfondimenti e, quando possibile, inserendo anche contributi filmati. In pratica leggere un suo post è come fare un vero e proprio viaggio nel tempo.

Da quando ho avuto il piacere di incrociare Cesare, non manco di visitare il suo blog ogniqualvolta pubblica un nuovo articolo. È così che l’altro giorno ho potuto leggere il palinsesto di un mercoledì d’inverno del lontano 1969 e precisamente la programmazione del 19 febbraio. Inaspettatamente, ci ho ritrovato un piccolo ricordo personale e caro.

 

 

rosanna vaudettiNella bulimia odierna di canali e programmi, impressiona la sobrietà essenziale di quella televisione. Nella mattinata la RAI-Radiotelevisione Italiana, in collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione, si rivolgeva ai giovani studenti e ai loro professori delle scuole medie e delle medie superiori, trasmettendo lezioni di italiano, di matematica, di storia. Poiché in quelle ore la stragrande maggioranza dei ragazzi era impegnata nelle aule, la programmazione veniva replicata nel primissimo pomeriggio. Si percepiva ancora appieno quell’intento educativo e didascalico che aveva caratterizzato la Tv di quel decennio: la «paleotelevisione pedagogica» di Ettore Bernabei che fu direttore generale della Rai dal 1960 al 1974.

 

giocagioGli adulti, tranne le madri casalinghe e le nonne, tornavano a casa solo a sera e dunque anche il resto del pomeriggio era dedicato per intero ai giovani. Dalle 17 alle 17.30 toccava ai più piccini – quello era il giorno di Giocagiò [3] – quindi, dalle 17.45, era la volta dei più grandicelli con la mitica Tv dei Ragazzi. Quel mercoledì di febbraio del 1969, andò in onda una puntata (la sesta di quattordici) de I Ragazzi di Padre Tobia, e precisamente l’episodio “Giacinto nei guai”. Quei telefilm interpretati da Silvano Tranquilli (Padre Tobia), da Franco Angrisano (il sacrestano Giacinto) e da una mezza dozzina di ragazzetti, sono, insieme all’altra indimenticabile serie Gianni e il magico Alverman [4], uno dei ricordi condivisi più cari alla mia generazione. Oggi con poche decine di euro è possibile acquistare i cofanetti [5] con tutti gli episodi in dvd di entrambe le raccolte e, disponendosi con l’animo giusto e la necessaria ritualità, goderseli e stupirsi, ogni volta che in noi improvvisa e inaspettata rispunta un’emozione. Ribadisco come sia essenziale affrontare la visione con lo spirito giusto per non rovinare la dolcezza del ricordo perché si sa, occorre  «guardare due volte per veder giusto, ma guardare una volta sola per veder bello» [6]. Forse quei filmetti, belli come li percepimmo allora, non riusciremo mai più a vederli. Troppa polvere s’è posata su di noi; troppo vento, spesso cattivo, ha scompigliato i nostri pensieri, allora così leggeri.

mercoledi-19-febbraio-1969-L-YLnXfcMa le scene di Tobia e dei suoi ragazzi, di Gianni e di Alverman, benché in bianco e nero, difficilmente sbiadiranno nei nostri cuori. Avrò comunque modo di parlarne ancora e più diffusamente, per cercare di capirne l’essenza, per cercare di cogliere ciò che tanto impressionò la sensibilità di migliaia e migliaia di bimbi, ovviamente me compreso.  Ma continuiamo a scorrere i programmi di quel mercoledì 19 febbraio 1969. Sul Secondo canale, alle 21.10, era previsto l’incontro di calcio in Eurovisione Milan-Celtic Glasgow, incontro di andata dei quarti di finale della Coppa dei Campioni, con la telecronaca di Nicolò Carosio [7], mentre sul Nazionale, nella fascia detta “Ribalta accesa”, dopo il Telegiornale delle 20.30 e l’immancabile Carosello [8], andava in onda, per la serie Incontro con Luciano Emmer,  il film del 1954 “Terza Liceo” [9].

 

11112-Luciano-EmmerLuciano Emmer (1918-2009) è stato regista e sceneggiatore, ma soprattutto è stato una delle anime di Carosello. Sua fu la regia di tantissimi spot pubblicitari (diresse tra gli altri Totò, Walter Chiari, Carlo Dapporto e il Quartetto Cetra, Mina e Alighiero Noschese, Paolo Panelli e Aldo Fabrizi). Sua fu anche l’idea e la prima realizzazione della sigla di Carosello. «Il giorno precedente la messa in onda [3 febbraio 1957], alla Sacis, la società della Rai responsabile del programma, si accorsero che mancava la sigla. Il dirigente, dottor Sinopoli, telefonò al regista Luciano Emmer, pregandolo di provvedere in tutta fretta. Il regista ricorda che gli venne l’idea di riprendere  una serie di siparietti che si aprivano in sequenza. Sui siparietti vennero eseguiti dei disegni dalla moglie dell’architetto Polidori; si approntò il set. La macchina da presa avanzava, in una carrellata; le tendine si aprivano, tirate manualmente con dei fili. Girarono fino alle cinque del mattino. Emmer recuperò la musica da un documentario Incom, sulla vita delle lumache. Era una tarantella del repertorio napoletano degli anni venti, Pagliacci, arrangiata dal maestro Raffaele Gervasio. La sigla rimarrà quasi invariata per parecchio tempo. Nel 58 fu solo modernizzata: i fondalini del teatrino con donnine e cavalieri ottocenteschi vennero sostituiti con altri in cui compaiono dei ragazzi che ballano il twist. È del 1963 quella definitiva, con le più celebri piazze italiane disegnate da Manfredo Manfredi, realizzata dalla Recta film. La stessa ditta cura, nel 1973, un arrangiamento della musica, affidato a Marcello De Martino. Rimarrà invariata fino alla fine di Carosello, nel 1977 [1° gennaio]» [10]

Quella sera dunque, che grazie a Cesare ho potuto collocare con precisione verso la fine di febbraio del 1969, in casa mia si guardò il film. Non avendo ancora una televisione che “prendeva” il secondo canale non c’era di fatto alternativa. La partita di calcio, che sicuramente sarebbe stata preferita da mio padre poiché prometteva di essere tutt’altro che noiosa, in realtà si rivelò tale, terminando con un modesto 0 a 0. “Terza Liceo”, invece, del tutto inaspettatamente, suscitò in me un turbinio di emozioni sconosciute. Un ricordo minimo ma tenace, ha resistito ben riposto oltre quarantanni in qualche minuscolo cassettino della mia mente ed è stato sufficiente l’involontario richiamo del blog di Cesare per ridargli vigore.

Non avevo allora ancora compiuto 10 anni, ma qualcosa evidentemente iniziava a muoversi dentro di me.

Il film di Emmer, non certo una pietra miliare nella storia del cinema italiano, racconta gli intrecci quotidiani tra compagni e tra studenti e professori, l’ultimo anno scolastico in una classe mista di un liceo classico romano: «una piccola, svagata, deliziosa descrizione di una gioventù uscita dalla guerra, e prima del boom». Ecco allora «le incomprensioni tra studenti e professori […] così come i sotterfugi per non essere interrogati. Naturalmente tra i compagni di classe nascono e finiscono gli amori […]. Un quadretto affettuoso, la più classica delle foto di classe che costituiscono il ricordo di un anno speso fra le quattro mura di un’aula a combattere contro Hegel e i professori, organizzando scherzi e tentando l’approccio con la compagna di qualche banco più in là».

showimg2Il 3 aprile 1954, dopo la prima del film, l’Unità lo recensì con queste parole: «Le storie di Emmer non sono davvero storie costruite con solidità romanzesca, con colpi di scena e spasmodici attimi di sospensione, esse si intrecciano in fili sottili talvolta deboli, in nodi rapidi e del resto, non v’è protagonista nei film di Emmer, e tanto meno in Terza Liceo. Qui programmaticamente il protagonista è una intera classe scolastica con i suoi diversissimi tipi umani, con le diverse personalità: il giovane intelligente ed avanzato, quasi un uomo, che già afferra il nesso di certi problemi, è accanto al ragazzo sentimentale, sprovveduto, spaurito; c’è la ragazza della alta borghesia che tenta sinceramente di rompere con il suo mondo e di avvicinarsi ad una realtà più viva, ma non ci riesce; c’è la giovane presa dall’angoscia dei problemi familiari, dibattuta tra la scuola  e la necessità di lavorare; c’è il preside conservatore e il giovane insegnante che cerca strade nuove ed è frenato in questo sforzo da una struttura arretrata e miope, la quale non vuole contatto e scambio di esperienze tra docenti ed allievi; c’è il giornale interno redatto dagli studenti, pietra dello scandalo per l’istituto, e ci sono tanti e tanti altri motivi accennati e ripresi dal perenne ronzio del motoscooter, alle gite in montagna, alle gare di pallacanestro e così via».

1960_fitIl film era stato pensato e realizzato nei primissimi anni Cinquanta e dunque rifletteva lo spirito ed i valori di quel tempo. L’Italia del 1969, quella di quella sera di febbraio quando la Tv lo trasmise, era tutt’altra cosa. Da pochi giorni era terminato il 1968, un anno “formidabile” (in tutte le sue accezioni, compresa quella di “spaventoso”). Il 68, infatti, era stato l’anno della contestazione studentesca che, partita dall’Università californiana di Berkeley ed esplosa nella virulenza del maggio parigino, aveva contaminato tutte le università italiane, ma anche le scuole superiori. Il clima nelle aule e nei corridoi degli istituti era sicuramente diverso da quello, edulcorato, leggero descritto da Emmer.

luciano-emmer-le-ragazze-di-piazza-spagna-1952-rossella-farinotti-labrouge1Anche l’Unità che, come abbiamo visto, aveva trattato con indulgenza il film alla sua uscita, il 19 febbraio 1969 nel presentare i programmi Tv di quel giorno scrisse: «[il film di Luciano Emmer] svolge alcune osservazioni su una scolaresca liceale. Si tratta di osservazioni minute di costume, che non travalicano mai i limiti di quel bozzettismo che, forse, solo in “Le ragazze di Piazza di Spagna” [altro film di Emmer del 1952], trasmesso la settimana scorsa, Emmer è riuscito a rendere meno superficiale. Sarà facile, rivedendo oggi il film alla luce di quanto avviene anche nella scuola media, constatare come il regista non sia riuscito ad impostare nemmeno lontanamente i tratti più significativi del mondo in cui ambienta le sue vicende. È anche vero però che non si può proprio dire che sia stato il solo a non intuire ciò che sarebbe esploso in avvenire».

Un giudizio certamente eccessivo. Chi poteva al tempo, nel 1953, prevedere quanti e quali trasformazioni e cambiamenti sarebbero sopraggiunti in un lasso di tempo così lungo (ben 16 anni)?

Ma ad un bambinetto o poco più, quale ero io quella sera di febbraio del 1969, quello spaccato semplice, di vita quotidiana adolescenziale, mi provocò una sensazione nuova ed eccitante. Non colsi ovviamente la distanza di quelle scene leggere dalla realtà turbolenta che gli studenti stavano vivendo in quegli stessi giorni di contestazioni, di rivolte, di occupazioni e barricate. Di politica sentivo parlare ogni giorno in casa e ai telegiornali. Troppi eventi di portata epocale stavano avvenendo in quei mesi per non rimanerne coinvolto, anche a dieci anni. Ma sicuramente erano altre le cose che mi provocavano le emozioni più forti. E dunque, fu con trasporto e con una partecipazione tutta speciale, che seguì le vicende dei ragazzi di quella terza Liceo; i loro casti e fugaci amori; i loro sguardi sognanti; i loro baci leggeri.

Mi rendevo conto, certo, che anche le piccole passioni e simpatie che nascevano nella mia classe, in quarta elementare (!), si somigliavano un poco a quelle del film, ma soprattutto presi coscienza con estrema chiarezza che le storie che mi sarebbero capitate di lì a qualche anno, avrebbero avuto ben altro sapore e ben altra intensità. Tutto ciò mi dette una grande, straordinaria eccitazione. Era la gioia di aspettare, tutti infervorati, il futuro!

Brooklin-bozzetto-del-pacchetto-di-Daniele-OppiNon so cosa spinse quella sera i miei genitori a lasciarmi alzato, a guardare un film “per grandi”. All’epoca  di rado un bambinetto di dieci anni scarsi superava la deadline di Carosello. Ma di certo quella decisione dei miei fu benedetta, anche se, quella notte (la prima?), faticai più del solito a prender sonno.

Gabriele Paradisi

 

 

 

 

 

Note

[1] Cesare Borrometi, Lunario dei giorni di tele – La TV degli anni d’oro come non è mai stata narrata, MEF Firenze Libri, 2012, 327 pp.

 

[2] http://ilfocolare-radiotv.blogspot.it/

 

[3] Giocagiò era una rubrica realizzata in collaborazione con Play School della BBC. Il 19 febbraio 1969 fu presentata da Elisabetta Bonino e Saverio Moriones. La regia era di Marcella Curti Gialdino. La prima puntata di Giocagiò, che  andò in onda alle 17 del 21 novembre 1966 sul Programma Nazionale Rai, era condotta da Nino Fuscagni e Lucia Scalera. Nelle 3 stagioni, dal 1966 al 1969, si alternarono altri presentatori tra cui Stefanella Giovannini, Cecilia Sacchi e Enrico Campoleoni. «Per tre volte nel corso della settimana (i canonici lunedì, mercoledì e sabato), tengono banco le attività più diverse: lavoretti manuali e pratici, nozioni di giardinaggio, geografia e scienze, cura degli animali domestici, etc., il tutto cucito con disegni, filastrocche, storielle e canzoncine pertinenti» (Borrometi, cit.)

 

[4] La serie Gianni e il magico Alverman, venne prodotta nel 1965 in Belgio. In tutto furono realizzati 16 episodi di 30 minuti ciascuno. In Italia il primo episodio fu trasmesso il 5 gennaio 1970.

 

[5] Le serie complete dei telefilm sono distribuite da Elleu Multimedia (http://www.elleu.com).

 

[6] L’aforisma è tratto dal Diario Intimo del filosofo svizzero Henri-Frédéric Amiel (1821 – 1881)

 

[7] L’incontro Milan-Celtic, giocato a San Siro su un terreno al limite della praticabilità per la neve (le linee del campo vennero colorate di scuro), finì 0 a 0. La partita di ritorno a Glasgow, giocata il 12 marzo, vide la vittoria del Milan per 1 a 0, con gol di Pierino Prati. Il Milan quell’anno vinse la Coppa dei Campioni battendo 4 a 1 in finale, il 28 maggio, l’Ajax, squadra olandese che gli anni successivi dominerà il panorama calcistico europeo. Il Milan quell’anno vinse anche la Coppa Intercontinentale battendo la squadra argentina dell’Estudientes in una doppia sfida. La partita di ritorno a Buenos Aires, giocata il 22 ottobre e persa dal Milan per 2 a 1 (ma a San Siro il Milan si era imposto, l’8 ottobre, per 3 a 0), sarà ricordata per le violenze in campo che sfociarono addirittura in arresti e squalifiche memorabili.

 

[8] Le réclame quella sera prevedevano i cortometraggi  (1) Venus Cosmetici (realizzato da Audiovision); (2) Brooklyn Perfetti (General Film); (3) Digestivo Antonetto (Arno Film); (4) Articoli elastici dr. Gibaud (Paul Film); (5) Brandy Vecchia Romagna (Gamma Film).

 

[9] La lavorazione del film “Terza Liceo” iniziò il 10 gennaio 1953, mentre nelle sale uscì nella primavera del 1954. Ricordiamo gli interpreti principali del film: Isabella Redi, Anna Maria Sandri (Teresa), Roberta Primavera, Giulia Rubini (Camilla), Giovanna Turi, Bartolomeo Rossetti, Giampiero Littera, Turi Pandolfini (il professore di Storia), Rita Livesi. Piccole parti furono recitate anche da Paola Borboni, Eriprando Visconti (fratello di Luchino) e da Giuliano Montaldo, che diventerà un regista di fama mondiale. La sceneggiatura era firmata, tra gli altri, da Vasco Pratolini, mentre la fotografia era di Mario Bava.

 

[10] Il momento subito prima di un grande successo, Carosello un mito intramontabile, Speciali Gazzetta N.1. Una curiosità: Luciano Emmer, in occasione della morte di  “Giuseppe” Stalin, avvenuta il 5 marzo 1953, rilasciò all’Unità questa dichiarazione (che oggi forse suonerebbe un poco imbarazzante): «Sono rimasto profondamente commosso per la morte di Giuseppe Stalin. Come per la scomparsa di una persona cara che ci lascia improvvisamente più soli di fronte alle responsabilità che ci pone la vita» (Tributo di omaggi a Stalin di uomini della politica e della cultura, l’Unità, 8 marzo 1953).

 

 



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