Dante, quando il viaggio nella Commedia è nel contemporaneo


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dante“L’esperienza di Dante nella sua Divina Commedia, raccontata come un viaggio sciamanico, è una esperienza che tocca a tutti; confrontarsi con il peggio di sé, per acquisire una dimensione umana che sia dignitosa ed aspirare ad una realizzazione più alta della propria identità a prescindere da qualsiasi orizzonte religioso predefinito”.

Così descrive il suo percorso Marta Scelli, al termine dell’incontro teatrale con il pubblico romano nello scenario del Teatro in Cripta del quartiere Prati, dopo aver imparato a memoria, otto anni fa, i 14233 versi contenuti nei cantici,  ma soprattutto dopo averli studiati ed elaborati per restituirli alla platea.

Dopo aver sceso alcuni gradini che fanno accedere allo spettacolo, se così lo si può chiamare, la dimensione atemporale e ageografica viene avvolta dalla voce recitante intervallata dalla narrazione delle anime che affollano l’universo del Sommo Poeta.
“L’Italia descritta da Dante sembra quella di adesso – sottolinea la Scelli –   serva, non donna di provincia ma bordello. E certi mali che il Paese oggi sta vivendo sono il risultato di situazioni che già esistevano settecento anni fa. Leggere l’ opera  è anche un’azione di recupero di chi siamo”.

L’attrice inizia nel 2006 a familiarizzare, a memorizzare e  a studiare  i canti e lo fa perché sente che nel libro, il  libro per antonomasia della nostra letteratura, c’era qualcosa che la riguardava. L’esercizio di memoria è un allenamento quotidiano, che definisce ” non matto e disperatissimo”, che le ha occupato  dalle due alle tre al giorno. Ma non è stato faticoso perché l’opera  si percepisce scritta a misura di memoria umana e la sua particolare natura è di depositarsi  dentro chi la legge.

Così, in un anno e mezzo, i versi, le anime, le storie, le emozioni e la storia entrano definitivamente nella sua vita e nel suo archivio mnemonico per tornare patrimonio di tutti a partire dal 2009 nel corso di maratone dantesche in Italia e all’estero, riscaldando persino la gelida Mosca al Festival “The garden of Geniuses:The Magnificent Seven”.
“La commedia è un grande monologo che mette a disposizione tanto materiale con il quale poter cimentarsi e per un attore – aggiunge Scelli –portarla in scena è una sfida che ha un senso in relazione al mestiere che  si fa. Al suo interno, chi parla sta vivendo delle situazioni, le ricorda, le rivive e sa di avere davanti gente che lo ascolta. All’ inferno ci sono dei canti, sopratutto il XXIX che, dal punto di vista dell’effetto fonetico sono straordinari; ma la lingua più stupefacente è quella utilizzata nel Paradiso, dove diventa  pura musica. Qui il tempo e lo spazio non esistono, come fare dunque a raccontarli in una lingua che ha bisogno della dimensione temporale per vivere? Dante si deve inventare parole e modi di raccontare ma che in realtà non lo fanno veramente e che cercano di esprimere una esperienza che non sta più all’interno dei parametri di tempo e di spazio, che sono nostri, e che nei quali si può in qualche modo concepire sia il purgatorio sia l’inferno.
Difficile dire quale è il preferito tra tutti i personaggi: Guido da Montefeltro, un personaggio sul quale la Scelli ha lavorato tanto, carico di implicazioni contemporanee, ma anche Piccarda, che racconta il Paradiso come un mondo dove vigono regole che sono il contrario di quelle sulla terra.

Uscito il pubblico, spente le luci, la Cripta rimane silente e vuota per tornare ad essere, di giorno, un luogo di culto. Il viaggio nel Purgatorio dantesco insieme a Marta Scelli  è appena finito. Risaliamo i gradini e ritorniamo in quell’Inferno descritto da Italo Calvino, quello che viviamo ogni giorno, insieme, sperando di avere la fortuna di incontrare chi inferno non è,  e  sforzandoci “di dargli spazio, e di farlo durare”.

Lavinia Macchiarini



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