Roma – La diagnosi di sindrome metabolica sulla base della misura del giro vita è importante per predire le malattie cardiovascolari” – spiega Leonardo Bolognese – Direttore Cardiologia ospedale di Arezzo – “allo stesso tempo la pressione sanguigna è associata ad una maggiore massa ventricolare sinistra che predice in maniera indipendente i disturbi di cuore”.
“Lo studio giapponese presentato all’ESC dal Dipartimento di Cardiologia del Women Medical University” – aggiunge Franco Romeo – Direttore Cardiologia Policlinico Tor Vergata di Roma – “aveva lo scopo di indentificare danni d’organo maggiori come predittori dell’ipertrofia ventricolare in soggetti sani. Sono stati quindi arruolati 1056 partecipanti sani (senza diabete, malattie renali croniche od altre condizioni cardiache) e sottoposti ad una serie di esami tra cui una ecocardiografia transtoracica.
Un indice maggiore di 51g/m2.7 era valutato come indicatore di alterazione del ventricolo sinistro (LVM) e le analisi di regressione statistica che hanno preso in esame la massa del ventricolo con sei fattori di rischio cardiovascolare tra cui la presenza o meno di obesità (Waist circumference >85 negli uomini e >90 nelle donne)”.
Su un totale di 1010 adulti di età media 62.8 anni (621 maschi) è stata riscontrata una ipertrofia ventricolare nel 20,7% dei soggetti sani e nel 33% degli obesi. L’aumento della massa del ventricolo è stata poi correlata ad età, pressione sistolica e diastolica e WC, risultati predittori indipendenti di sofferenza del muscolo cardiaco. I soggetti obesi in particolare presentano un rischio 3.3 volte superiore rispetto ai soggetti normopeso.
“Un problema se pensiamo che il 10% della popolazione è sovrappeso e che l’ipertrofia del ventricolo sinistro è una condizione in cui il muscolo diventa meno elastico. Condizione che inizialmente non dà sintomi ma può manifestarsi con difficoltà respiratorie, dolore toracico, vertigini e capogiri: effetti della difficoltà che il ha il cuore a pompare il sangue” spiega Michele Gulizia – Direttore Cardiologia Ospedale Garibaldi di Catania – “questa condizione è presente in una percentuale variabile tra il 15 e il 55% (a seconda degli studi) degli ipertesi e determina una mortalità a dieci anni di circa il 24%. Questo significa che uno su 4 non ha una prospettiva di sopravvivenza a lungo termine. Si tratta di quell’ampio range di morti definite evitabili che possono essere contrastate con azioni di screening, prevenzione e monitoraggio”.
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