Il signore della neve. La storia delle neviere in Sicilia


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Tutto quello che nessuno avrebbe mai immaginato lo potrete vedere Venerdi, 11 novembre ore 16.00 Sala Bianca al Centro Sperimentale di Cinematografia a Palermo

locandina-invitoSino al secolo scorso si commerciava la neve da Trapani a Tunisi su navi a vela e le neviere che rifornivano Palermo erano sui monti dietro Monreale ed una, della “Busambra”, presso Corleone. Dall’altipiano degli Iblei e dall’Etna, invece, la neve veniva inviata alle città sulla costa ionica e mediterranea, fino a raggiungere l’isola di Malta.

La Sicilia, la terra del sole, del mare , del sale e del grano ha prodotto il ghiaccio per tutto il Mediterraneo e ne ha mantenuto il monopolio del commercio  per circa due secoli.

Attraversando i luoghi interessati  ricostruiremo un percorso guidati dal principe Francesco Alliata di Villafranca   ” l’ultimo signore della neve” ,oggi ultranovantenne,  che  dalle pendici del vulcano che domina il Mediterraneo ci condurrà a  Buccheri, a Monterosso ,a Palermo, ai Nebrodi e racconteremo di coloro che hanno fatto della “coltivazione” della neve una attività che è resistita per secoli  innestandosi nella  cultura popolare siciliana.

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Obiettivo di questo Film/documentario è dare una nuova e più sistematica interpretazione antropologica alle fonti utilizzate per la ricostruzione dell’attività dei nevaioli siciliani. Raccontare attraverso un racconto di immagini, suoni e parole la storia avvincente della neve e la sua lavorazione. L’uso del ghiaccio e le moderne strutture in cui oggi viene prodotto in uno scenario particolare come quello del Mediterraneo e soprattutto in Sicilia. Il film documentario sarà realizzato con il sostegno della Regione Sicilia, in formato full HD e avrà la durata di 52’ ed è stato già richiesto da molte televisioni sia italiane che straniere.

L’importanza attribuita nel passato alla neve e alle neviere è testimoniata, ancora oggi, dalla presenza nei centri abitati di numerose chiesette consacrate alla Madonna della Neve. Infatti era molto diffusa l’usanza, e non solo nel meridione, d’invocare la protezione divina sulle neviere.

immagine2Si guarda a quest’attività in una scala più ampia, quella del Mediterraneo, descrivendo la raccolta, la produzione e la conseguente costituzione delle Società per la vendita della neve, prendiamo in considerazione sia le diverse tipologie costruttive con cui sono state edificate le neviere siciliane che i materiali da costruzione impiegati e i diversi tipi di consumo del prodotto ricavato dalla lavorazione della neve. Una panoramica sulle forme di trasporto e di commercializzazione della neve, compiuti da abili mulattieri e carrettieri dopo, lungo le trazzere che portavano alla marina dove sorgeranno le prime botteghe del ghiaccio.

“La neve per secoli è stata un bene prezioso non solo in campo alimentare, ma soprattutto in quello medico per l’azione benefica che la “cura del freddo” aveva specialmente nei casi di emorragia e febbre alta. L’uomo dunque cercò di potere godere di questo privilegio, anche durante i mesi torridi,   utilizzando ciò che la natura gli metteva a disposizione. Per secoli, dunque, la raccolta e la conservazione della neve coinvolsero un gran numero di persone alimentando una fiorente attività commerciale, che negli anni ’50  del ‘900 lasciò il passo allo sviluppo tecnologico. Oggi sembra quasi una favola, nessuno si occupa di questo commercio; sono rimasti solo i luoghi dove veniva ammassata la neve. Eppure un tempo, durante i mesi estivi di notte, lunghe file di muli scendevano dalle alte falde della “Montagna”, provenienti proprio dalle zone della tacche, con sulla groppa due grossi blocchi di neve che poi per mezzo di carretti venivano trasportati giù per il refrigerio della popolazioni. La “campagna” di raccolta della neve offriva non poco lavoro agli abitanti delle pendici dell’Etna. L’impiego di uomini, animali e mezzi era alquanto consistente: un migliaio circa di persone avevano la possibilità di lavorare e altrettanti animali venivano utilizzati per il trasporto.

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Oggi inghiottite dal paesaggio montano, le neviere, esaurita la loro funzione, sembrano rientrate nel grembo della terra per testimoniare con voce sommessa un’antica arte e un’attiva industria, ma soprattutto un uso intelligente ed accorto delle risorse naturali.

Chiare testimonianze di archeologia industriale, spesso celate agli occhi dal rialzamento dei terreni, o sottoposte a mutamenti funzionali, queste strutture hanno portato alla realizzazione sul territorio di spazi che hanno connotato un modus vivendi, e definito mode e modi di vita. “

Coltivare la neve , questo era  l’attività dei nevaioli che cercheremo di far  vivere attraverso ricostruzioni storiche e fotografiche. Una attività  molto diffusa fino all’avvento della produzione industriale del” freddo”.

Due erano i metodi di raccolta della neve: o veniva raccolta in mucchi e caricata su delle barelle, oppure sì faceva una palla (bbadda) attorno ad un bastone che fungeva da perno, la si caricava sulle spalle fino alla bocca della neviera attraverso cui si precipitava dentro.

Quest’ultimo è il sistema più antico, poiché da sempre la paga era commisurata al numero di palle portato alla neviera da ciascun operaio. Quattro uomini, calatisi all’interno della neviera e chiamati pisaturi (battitori, calpestatori) avevano il compito di calpestare in continuazione la neve, pressandola e ricoprendo lo strato con paglia. La neve veniva in questo modo assularata. Ogni sulata, cioè ogni strato, misurava in spessore (quando era compatto) da 20 a 30 cm e determinava la grandezza della neviera: così la ‘Grotta Grande”, la più grande neviera del comune, conteneva 365 strati, uno per ogni giorno dell’anno (come ripetevano gli stessi operai).

Ma ai fini della vendita si misurava a carichi venduti “a bocca di nivera“, cioè appena uscita dalla porta e pesata sul posto. Ogni carico equivaleva a due palle e, poiché ogni palla pesava intorno da 50 a 60 kg, un carico oscillava da 100 a 120 kg.

La neve era compressa da esperti pestatori, pisaturi, che calzavano le scarpe di pelo (zampitti), le cui stringhe attorcigliavano alle caviglie, che a loro volta erano fasciate con pelli di capra. Appena la neve compressa raggiungeva su tutta la superficie lo spessore desiderato (da 20 a 30 cm) si spargeva su tale superficie uno strato (na sulata) di paglia, che separava questo dal suolo successivo, così da favorire il distacco nel periodo della tagliatura. Altra paglia separava la neve dalle pareti laterali. Ogni suolo era formato da un certo numero di carichi: il numero variava in base alla larghezza della neviera. Quando la neviera era al colmo, cessava il lavoro dei “pisaturi“, che provvedevano a collocare gli ultimi strati di paglia sulla superficie e sui lati della fossa. Il loro controllo continuava nel periodo estivo, quando dovevano verificare il “calo” della neve e il grado di distacco dalle pareti.

Per il taglio della neve venivano impiegati operai specializzati. Questi, scesi nella neviera, incidevano il ghiaccio col piccone fino a raggiungere lo strato di paglia; poi con una paletta staccavano il blocco che ne veniva fuori. Il blocco veniva infilato in un sacco di lona, riempito di paglia e tirato fuori per essere pesato: l’abilità del tagliatore stava nel tagliare i blocchi del peso di 60 kg, peso di una palla, poiché due di queste formavano un carico.

Anticamente le neve si trasportava a basto di mulo, portando ogni mulo un carico, cioè due blocchi. Successivamente con l’introduzione dei carretti si ricorse a questi mezzi di trasporto .

Ogni carro portava cinque carichi. Un carro di 5 carichi veniva pagato a Lentini 100 lire nel 1940, di cui 50 per il trasporto e 50 per il prezzo della neve. Come detto ogni neviera aveva un suo preciso territorio da cui raccogliere neve. Questo se i terreni erano privati.

Tra il 1500 e il 1900, dalle Madonie ai Nebrodi, dai monti Peloritani all’Etna per passare infine all’Altopiano degli Iblei crebbe una realtà legata al lavoro della raccolta della neve, che ha dato forma a una serie di costumi e usanze.

Per quanto conosciute e scarsamente valorizzate, le neviere siciliane rappresentano una traccia indelebile del territorio regionale. Abbandonate, alcune semi-distrutte, altre riadattate per diversi scopi, i nevai ancora esistenti nell’area iblea presentano una forma semplice e la loro struttura cristallina ne fa uno dei capolavori dell’architettura minore siciliana.

Ciò dimostra l’importanza che ha avuto il fenomeno dell’espansione dell’industria legata al commercio della neve. Le popolazioni che ebbero a che fare con il suo utilizzo acquisirono una maggiore consapevolezza della possibilità di investire parte del loro capitale umano e finanziario per la crescita dell’attività di raccolta.

Guarda il trailer

IL SIGNORE DELLE NEVI – trailer from Andrea Traina on Vimeo.

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