La spettacolarizzazione dell’infanzia


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foto: © Lai Betty“Le famiglie disfunzionali si assomigliano tutte”. Con questo incipit Joyce Carol Oates, autrice statunitense capace di raccontare, attraverso le sue storie disincantate e realistiche, la decadenza della società americana, sembra voler tendere una mano ad Anna Karenina. Il destino di Anna, tuttavia, tocca alla protagonista del romanzo della Oates con una drammaticità prematura, che toglie addirittura la possibilità di raccontarne la vita.

Il testo, dal titolo (la traduzione in italiano è incredibilmente brutta) “Sorella, mio unico amore” racconta, attraverso la voce del fratello maggiore Skyler, la storia della piccola Edna, giovanissima regina di bellezza trovata morta nello scantinato di casa, a soli sei anni, dopo essere stata ripetutamente violentata. La storia si basa su uno dei fatti di cronaca più inquietanti degli ultimi anni, non fosse altro che per la sua, ancora mancata, risoluzione. La vera protagonista della vicenda, Jonbenet Ramsey, vantava una bellezza precocemente superba e per questo la madre non mancò di esporla ovunque ne avesse la possibilità. Attraverso il racconto del giovane Skyler, la Oates mostra come una famiglia e più ancora la società di cui fa parte, possa diventare schiava del bisogno di notorietà a tutti i costi, a costo della vita stessa. Il ricordo di un caso ormai purtroppo dimenticato e tristemente risvegliato da questo best seller della stagione estiva, trova “sponda” su Sky ogni mercoledì sera. Si, perché tutti quelli che in questo momento si staranno chiedendo come un genitore possa permettere che la propria bambina venga privata della bellezza dell’infanzia, agghindata come una sedicente quarantenne, spronata a mostrare la femminilità in un’ età in cui l’unico vezzo dovrebbe essere il “panierino” per l’asilo, trova risposta in “Little miss America”. Il programma mostra decine e decine di concorsi, tutti rigorosamente e democraticamente americani, con partecipanti da sei mesi a dodici anni, ovviamente divise per categorie. A valle di questa tendenza verso la “spettacolarizzazione” dell’infanzia, ancora e fortunatamente considerabile “estrema”, si trova l’incredibile crescita del mercato della moda per bambini, con annessi e connessi. Lontani i tempi in cui i bimbi avevano due sole paia di scarpe, uno per andare a scuola e l’altro, quello “buono”, per i giorni di festa, oggi proliferano marchi che vestono i bambini alla maniera dei grandi, maschi e femmine che siano. E’ un mercato che non conosce crisi: basta fare un giro nelle sempre più deserte vie del quadrilatero della moda milanese per vedere nei negozi di abbigliamento da bambino gli unici agglomerati di genitori e tate. Negli Stati Uniti, nonostante il momento di recessione, si è verificato un balzo in avanti del segmento “childrenswear”. Sembra quasi che l’ostentazione di un “figlio firmato” sia un nuovo mezzo per la dimostrazione di uno status sociale elevato. Così le bambine, a soli dodici anni, parlano di grandi griffes e i bambini non sognano più di andare sulla Luna ma di guadagnare milioni di euro. Molti i marchi del pret a porter che (mica “scemi”) hanno dato vita a linee “baby”: Armani Junior, Alberta Ferretti Girls, Missoni Bimbo o Juicy Couture, solo per citare alcuni esempi. Così, se può sembrare troppo “arcaico” ricamare a mano le vesti dei neonati come le nostre nonne usavano fare e se non può che essere una grande soddisfazione comprare qualcosa di bello ai propri figli, viene da pensare che nemmeno l’infanzia è ormai esente dal vortice del mercato della moda. D’altra parte i primi a dare “l’esempio” da seguire sono stati, ovviamente, i vip: mamme famose pronte, in men che non si dica, a sfoggiare figlioletti griffati. Antesignana, come sempre, Madonna: sua figlia, Lourdes, ne è stata “clone” fin dai primissimi mesi di vita, vestita con abiti fatti apposta per lei dai designer più importanti del mondo. E che dire della piccola Suri, “figlia modella” del perennemente giovane Tom Cruise? Le sue mise sono tenute a modello dalle mamme di tutto il mondo. Viene da pensare che fare figli e soprattutto vestirli firmati non sia mai stato così di moda.

 

Claudia Rossi



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