“Maria De Filippi ti odio” e la menopausa del sogno


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Il Dolore, la Fama, il Talento, l’Amore, l’Amicizia, sono alcuni dei valori su cui Maria De Filippi ha fondato il successo di trasmissioni come C’è Posta per te, Amici, Uomini e Donne, Italia’s Got Talent. Ma su quale principio di “realtà” si fondano? A quale modello di individuo parlano? Quali effetti provocano su un pubblico anagraficamente sempre più trasversale? Nessun pregiudizio personale, meschinità o moralismo contro la carriera e i format della famosa conduttrice. Maria De Filippi ti odio (Caratteri Mobili, euro 15) di Carmine Castoro è il tentativo di scardinare, con il grimaldello della filosofia, la grammatica di certi programmi di grande audience, visti come epicentro di un immaginario televisivo ormai anacronistico, devastante, da sostituire con un nuovo modo «ecologico» di pensare l’uso e l’impatto dei media sulle nostre vite già fin troppo spettacolarizzate.

Carmine Castoro, giornalista professionista, è stato collaboratore e inviato per quotidiani e magazine nazionali e come autore televisivo ha firmato numerosi programmi per il palinsesto notturno della RAI e per canali Sky. Studioso ed esperto di “fenomeni estremi”, ha dedicato molti reportage a: trasgressione, prostituzione, manicomi, droga, malasanità, psicosette, devianze giovanili, pedofilia, logica della comunicazione televisiva. È inoltre autore delle monografie Roma erotica (Castelvecchi, 1997) e Crash Tv. Filosofia dell’odio televisivo (Coniglio 2009). Attualmente si occupa di filosofia e media per quotidiani nazionali e per il settimanale «Il Futurista».

Lo abbiamo avvicinato per approfondire le delicate tematiche del libro

 

Maria De Filippi ti odio. Perché?

Sarebbe troppo facile ed errato “odiare” Maria De Filippi per una soggettiva, più o meno condivisibile antipatia verso il modo in cui presenta, perché magari ha un aspetto e una voce androgini, veste e si atteggia in maniera poco femminile, perché è goffa sui tacchi a spillo e in abito da sera, o per un qualche retroscena di vita privata che ne svaluterebbe la reputazione pubblica. Tutto questo non mi interessa, non appartiene a me e al mio libro “Maria De Filippi ti odio. Per un’ecologia dell’immaginario televisivo”. Ed è stato già oggetto nel tempo di brillantissime scenette in trasmissioni comiche di successo.

Maria De Filippi, per me, è l’epicentro, lo snodo nevralgico, il sole nero di un più generale assetto delle immagini e delle parole spettacolarizzate, che è come una ragnatela, la propagazione di un’eco da un orizzonte di potere più o meno centralizzato, che ha trasformato tutti in valvole e pistoni di una macchina che gira a vuoto. Senza più linee guida, finalità, sequenze logiche, storia e sviluppo reale delle emozioni. E l’odio è proprio il recupero di sentimenti forti, di punti di riferimento stabili e netti contro la vischiosità di tanti format – reality soprattutto – che entrano silenziosamente ma in maniera rovinosa nella nostra anima. L’odio è il “no” a una subcultura della tolleranza che non è più rispetto delle diversità, ma acquiescenza verso qualsiasi cosa i media ci propalino, soggezione a ogni messaggio, regime di equivalenza, equipollenza fra informazione e spettacolo, senza più quello scarto necessario che ci permette di conoscere, capire, selezionare. Per questo l’odio è collegato a un discorso di “ecologia dell’immaginario” perché sa di contrattacco, di liberazione, disinfezione, disintossicazione da quella televisione non più solo “spazzatura” ma “nucleare” che ci investe quotidianamente col suo nulla”.

 

La De Filippi fonda il suo impero mediatico sul ‘people show’, quale accezione, oggigiorno, assume questa locuzione all’interno del panorama televisivo nostrano.

Le “persone” hanno perso quel significato comunitario, solidaristico, sociale che la televisione fino a un paio di decenni fa ancora rappresentava. Con la televisione del self-help, dei primi talk show, delle primissime Samarcanda. Oggi siamo in una “post-televisione” che crea mostri, abbatte il significato delle parole, corrode la dignità di chi la fa e di chi la vede perché tutti servono come “risorsa”, merce, bene sfruttabile. E si assiste ad un grottesco e miserabile meccanismo di auto-mercificazione degli individui che per un briciolo di popolarità sarebbero capaci di qualsiasi bassezza. Già anni fa, in un mio precedente libro, avevo suggerito l’immagine del crash, come attrito fra due mondi mimetici, quello del televisivo e quello del reale. Adesso, con ogni probabilità, siamo vicinissimi allo splash, all’immersione delle esistenze e dei loro desideri nell’acquario autoreferente e propellente dell’apparato tecno-spettacolare, in quella sorta di Auschwitz pubblicitaria come dico in “Maria de Filippi ti odio” dove il consumo vorace delle merci va di pari passo con la consunzione delle identità, delle relazioni, dei luoghi e delle temporalità. Oggi le identità sono perturbate e scisse; le relazioni mercificate e de-simbolizzate; i luoghi vaporizzati e iconici; il tempo ellittico ed ellissoidale, ovvero sempre mancante di una storia e strozzato fra due “fuochi”, quello della materialità con le sue dolorose contingenze e l’altro, ossessivo e antropofago, della aleatorietà spuria dell’immagine e del darsi nella distanza da sé. La Grande Bolla, la Tele-Incubatrice svelle il sé dal mondo esterno e lo condanna a una, voluta e forzata, estroflessione che è già ipertesto, sceneggiatura, ricerca di un paradiso perduto che solo il piccolo schermo sembra offrire”.

 

 

La televisione fautrice di un “processo intimo di falsificazione”? Italia’s got talent o l’Italia ha solo la necessità di ‘evadere’ da un presente tetro, per dirla con Lowen?

“Citi Alexander Lowen e ti rispondo proprio con una lunga profetica citazione che ho messo come incipit del mio gruppo Tele-Indignati su Facebook. Dice Lowen: “Credo che una delle ragioni principali del successo della Tv dipenda dal fatto che permetta di fuggire da se stessi. Guardare la televisione è per alcuni aspetti un fenomeno regressivo. Si è in una condizione passiva simile a quella di un neonato: non ci si aspetta da noi una risposta né ci si richiede un grande sforzo di immaginazione. Se la regressione, che non porta approfondimento interiore né progresso, è una forma di evasione dalla realtà, lo è altrettanto l’essere così assorbiti dalle immagini o dalle storie dello schermo da perdere il contatto con i bisogni e le responsabilità della propria vita. Il mondo irreale dello schermo sostituisce per un certo tempo quello dei sentimenti e dei rapporti personali”.

 

Tuttavia, alcune produzioni della conduttrice offrono opportunità concrete, Amici ad esempio. Non salvi nemmeno questo risvolto dell’attività della De Filippi?

“L’aspetto concreto e realmente finalizzato di trasmissioni come Amici è sempre disattivato dalla logica dello spettacolo che chiede polemiche, discordie, pettegolezzi, retoriche dell’osceno e dell’attenzione morbosa. Se davvero Uomini e Donne funzionasse come l’agenzia matrimoniale di Marta Flavi di un tempo o se Amici davvero funzionasse come una sorta di meccanismo di collocamento di artisti in erba o incompresi o sconosciuti, la percentuale di riuscita sarebbe molto più alta di quella decina scarsa di nomi che in dieci anni di Amici, per esempio, hanno ottenuto un reale successo. Perdendolo, magari, poco dopo. Senza dimenticare le centinaia e centinaia di ragazzi tritati vivi da un sistema che non gli ha portato proprio nulla. Invece si preferisce una sorta di “mattanza” in nome dell’audience e della tele-simpatia che ha fatto diventare dall’oggi al domani delle star personaggi come Marco Carta e svariati altri, semplicemente grazie ai regolamenti interni al programma e alle classifiche di gradimento di folle di baby-fan pronti a votare il loro beneamino”.

 

Cestinato l’intrattenimento targato Fascino, chi e cosa salvi dell’attuale panorama televisivo?

“Salvo tutte le trasmissioni che sanno ancora coniugare l’intrattenimento con la sobrietà e l’eleganza, e in questa categoria praticamente non ne trovo nessuna, ora come ora. Da questo punto di vista davvero penso che la lezione dei Corrado, dei Mondaini e Vianello, dei Bramieri, dei Walter Chiari sia un’icona ormai irraggiungibile. Ma salvo comunque tutti i programmi di approfondimento e verità come Striscia, Le Iene, Servizio Pubblico, Report, che si battono realmente per i diritti della gente, e con un uso sapiente e ironico delle immagini, o esplicito e senza tabù, sanno affrontare battaglie civili, inchieste, sanno far affiorare delle verità scomode, senza cadere nel caos acustico e visivo o nella retorica d’occasione. Purtroppo siamo nel paradosso per cui per essere bene informati dobbiamo vedere pupazzi rossi e inviati con lo sturalavandino in testa, mentre i giornalisti impettiti e strapagati sanno solo imbrogliare e copiare. E questo è assurdo”.

 

Su Facebook promuove il movimento dei “Tele indignati”. Anche lei ricerca nella rete il germe di un cambiamento?

“La Rete è una grandissima occasione di sviluppo di connessioni, di avvicinamento fra persone e idee, di istantaneità costruttiva dei messaggi, ma è ancora, purtroppo e nella stragrande maggioranza dei casi, voragine di contenuti improvvisati, inventati, pericolosi, senza autorevolezza e legati a un disarmante “opinionismo” che ci invade senza pietà. E’ “prossimità virtuale” come sostiene Bauman, e per questo rischia di darci una falsa idea di familiarità e di libertà, mentre continuiamo a essere soli e senza possibilità di arricchire i nostri valori umani, crocifissi a una tastiera di un pc. Bisogna sempre considerare Internet come un medium stupefacente, ma preliminare all’incontro fisico e alla convivialità, grembo vero delle comunicazioni democratiche e seducenti fra individui. Il mio gruppo mira, infatti, in una prossima fase, ad una grande manifestazione di piazza contro la tv del nulla e del caos”.

 

Innumerevoli analogie con Widg (web indice di gradimento), il progetto che si propone di ricercare la qualità in tv, promuoverla, coinvolgendo gli internauti. E’ realistico pensare una tv commerciale fondata sulle misurazione del ‘Qualitel’, anziché sull’Auditel.

“Assolutamente sì, ma già succede in fin dei conti. Anche se non si dà il giusto peso a certe fenomenologie mediatiche. Santoro è stato “tollerato” in Rai perché il suo Annozero portava profitti a valanga, le miniconferenze di Saviano contro la camorra nel programma di Fazio hanno fatto ascolti da finale dei mondiali di calcio. Stesso dicasi per le apparizioni di Benigni e per altri format che, senza “gasare” le nostre menti come in un gigantesco campo di sterminio globale, hanno coniugato perfettamente qualità del linguaggio, share altissimi e guadagni più che confortanti. Il problema restano le politiche editoriali, che non vogliono essere rischiose e innovative, ma basate sul già visto e già sperimentato. Fidando che il popolo bue continui a vedere autentiche fecce come Grande Fratello, Domenica Cinque, Uomini e Donne e simili. In un paese come l’Italia questa operazione di basso acculturamento resiste. Altrove il Grande Fratello è stato interrotto per davvero perché la gente desiderava altro e cambiava canale…”.

 

Quale l’alternativa alla tv che così aspramente critichi?

“La mia alternativa è filosofica e lapidaria: riconciliare l’immagine con l’immaginazione che è un potente moto del nostro animo che ci spinge alla riflessione e alla trasformazione dell’esistente. L’immagine da sola, in breve diventa ipnosi, fosforescenza, “oniropausa” come diceva il grande Jean Baudrillard: ovvero menopausa del sogno…”.

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