Jeff Koons


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La Fondazione Beleyer di Basilea presenta la retrospettiva di Jeff Koons, uno dei più importanti artisti contemporanei.

Dal 13 Maggio al 2 Settembre 2012, per la prima volta in Svizzera, l’evento ospiterà un massiccio corpo di 50 lavori ripercorrendo i passaggi salienti del trentennale percorso  artistico di Koons.

Personalità eccentrica, controversa e al limite del kitsch, Jeff Koons nasce in Pennsylvania nel 1955 ed esordisce nei primi anni ottanta ereditando l’insegnamento di Marcel Duchamp che  sa combinare sapientemente, al clima pop di Andy Warhol in voga in quegli anni.

Ripropone allora, i ready made duchampiani: oggetti di uso comune, di produzione in serie, che dislocati dal loro contesto usuale, vengono manipolati per creare arte acquisendo una nuova dignità artistico – culturale.

Nei primi anni novanta, la corsa di Jeff Koons verso l’olimpo dell’arte contemporanea subisce una forte accelerazione non solo per la poderosa produzione che esplora il linguaggio della pittura e della scultura, ma anche per la forte attrattiva che suscitano gli scandali della sua vita privata, tanto da rimbalzare sulle pagine dei giornali alimentando il gossip e incrementando le quotazioni delle sue opere in circolazione.

L’artista americano, infatti, sposa Ilona Staller, la pornostar ‘Cicciolina’ e da questa unione nascerà una serie di lavori in cui Koons si auto ritrae con la moglie in scene erotiche casalinghe in pieno stile porno soft, che sconvolgeranno il pubblico della Biennale di Venezia.

Ma l’intreccio tra vita e arte dell’artista, non si limita all’esibizionismo dei suoi amplessi amorosi con la pornostar; dal chiacchierato matrimonio nasce un figlio che, ben presto, sarà oggetto di una lunga e famosa contesa legale a seguito del divorzio.

Si potrà dire che l’arte di Jeff Koons sia solo strategia di marketing, puro esibizionismo, esagerazione, kitsch o semplicemente arte populista. Ma l’immediatezza del suo linguaggio e la banalità delle sue immagini altro non fanno che mostrare la superficialità della realtà materiale che ci circonda, riproducendo un mondo fatto di mero consumismo e di mediocrità, che deride l’arte cosiddetta istituzionale, che esalta tutto quanto possa essere considerato alla moda e che preferisce il gioco al sacrificio, lo sfoggio alla riservatezza, l’apparire all’essere. Non è questo forse il nostro mondo? La società contemporanea?

Poco conta allora se per i critici Jeff Koons sia o non sia un artista che merita quotazioni da capogiro; le sue opere sono l’espressione del nostro tempo e non è un caso se riesce a raggiungere e a rapire il grande pubblico, così come non è un caso, se la fondazione Beyeler ha organizzato un grande evento trasformando le sue sale d’esposizione in una sorta di luna park firmato Koons.

Palloncini colorati, cuori giganti sospesi, animali cromati e oggetti ludici fanno parte dell’universo pop di Jeff Koons in mostra a Basilea. L’esposizione concentra tre gruppi fondamentali di opere che ripercorrono la produzione dell’artista che va dagli anni ’80 fino ai giorni nostri. La serie di opere realizzata tra il 1980 e 1986 è intitolata ‘The New’ e si caratterizza per l’utilizzo dell’aspirapolvere Hoover esposto in un contenitore di plexiglass ed esplicito riferimento a Duchamp. Le opere appartenenti alla seconda seria, ‘Banality’, sono composizioni scultoree in legno o ceramica che rappresentano personaggi del cinema o idoli della musica come ‘Michael Jackson and Bubbles’, ormai diventato icona postmoderna per eccellenza. Nella terza serie di lavori, ‘Celebration’, che ha inizio nel 1994 e alla quale Koons sta tuttora lavorando, l’artista esalta il mondo dell’infanzia e i ricordi di famiglia. La produzione vede un salto evolutivo in cui nascono i famosi ‘palloncini’ colorati, sculture in formato gigante dalle forme morbide e arrotondate; i quadri multicolori e il grande cuore pendente color magenta dall’ingannevole aspetto tenero e soffice ma che in realtà è composta da acciaio inossidabile. Tutto questo è Jeff Koons. Colori, party, giochi, sesso e fantasia, un mondo che ci appartiene, una realtà che inseguiamo.

Michela Cella



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