Epoche. Che Avventura…


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«Per chi non è intorno agli “anta” come il sottoscritto, chiarisco che a metà degli anni 70 esisteva in Rai un programma seguitissimo dai giovanissimi di allora, che si chiamava Avventura, ed era una trasmissione dedicata ai documentari sulla natura o su particolari imprese di esplorazione in luoghi impervi o sconosciuti. La sigla di apertura era cantata da Joe Cocker, una cover di «She came in «Through the bathroom window» dei Beatles, e la sigla di chiusura era «A Salty Dog» dei Procol Harum [1]. Chi si ricorda di tutto questo, forse, come me ancora associa le prime note di archi e pianoforte del pezzo (con il rumore del mare e i versi dei gabbiani) al tramonto sul mare della sigla (in bianco e nero, purtroppo, ma bastava sognare i colori…), e forse, come me, si emoziona come allora…».

Così scriveva su un blog un certo Andy66, qualche anno fa, in una sua bella recensione del meraviglioso pezzo dei Procol Harum, che iniziava per l’appunto con il rumore del mare ed i versi dei gabbiani (anche se la canzone del gruppo inglese s’era ispirata agli albatros di The Rime of the Ancient MarinerAt length did cross an Albatross, Thorough the fog it came…», la ballata di Samuel Taylor Coleridge, che tanto aveva suggestionato anche il grande Charles Baudelaire).

Ebbene, senza dubbio, Andy66 diceva il vero.

L’attacco di Joe Cocker e quel verso di gabbiani sono scolpiti nella mente di tutti coloro i quali hanno vissuto quell’epoca, bambini o ragazzini, trascorrendo il tardo pomeriggio del venerdì (magari nei giorni grigi d’autunno o nel freddo inverno) davanti alle gigantesche televisioni a tubo catodico. Ognuno di noi  trovava in quelle musiche e in quelle immagini, l’occasione per sognare e per volare via lontano, magari in cieli limpidi e luminosi o in mari caldi e misteriosi.

Così qualche tempo fa, poiché in Rete è quasi impossibile trovare materiale su quella «fascinosa» trasmissione, mi misi di buona lena per recuperare il recuperabile e chi meglio dell’ideatore di Avventura poteva aiutarmi in questo compito?

Riuscii così, nell’estate del 2009, a rintracciare Bruno Modugno, giornalista, scrittore, regista, ed appunto autore di Avventura di cui fu anche il conduttore.

Contattato via email e resosi deliziosamente disponibile, andai a trovarlo a Roma un giorno di luglio e insieme provammo a rievocare quella trasmissione e quel tempo.

Modugno, ancora oggi attivissimo, ha avuto il grande merito di coniugare le sue passioni con la professione, riuscendo in tal modo a trasferire con tecnica sublime le emozioni che egli stesso provava a quanti, con stupore, lo seguivano nelle sue straordinarie avventure in giro per il mondo.

In quel piacevolissimo incontro di ormai tre anni fa, riuscì a recuperare una puntata intera di Avventura in cassetta (poi da me trasferita su CD) – Una leonessa per Joy [2] – qualche ritaglio di giornale e una intervista a Modugno che val la pena riportare integralmente.

 

Buongiorno Modugno. Lei ha condotto Avventura, una trasmissione che andava in onda nell’ambito della TV dei ragazzi. In che anno venne trasmessa la prima puntata e per quanti anni proseguirono le trasmissioni?

La prima puntata andò in onda nel 1965. Le trasmissioni proseguirono per ben dieci anni. Continuò ad andare in onda anche quando io passai al Tg1 [3]. Complessivamente vennero realizzate 80-90 puntate. Replicate infinite volte. Poi, tutta la programmazione fu ceduta a Gbr, un’emittente privata. Un po’ mi dispiacque, ma anche se io ero l’autore e il conduttore, il materiale apparteneva alla Rai e la Rai poteva farne l’uso che voleva.

Quanto durava una puntata?

La durata di una puntata era di mezz’ora. [La Tv dei Ragazzi andava in onda per un’ora normalmente dalle 17.45 alle 18.45 tutti i giorni della settimana domenica compresa, ndr].

 

Mi sono accorto che molti navigatori internet nostalgici di quel programma straordinario associano Avventura a Mino Damato [4], che comunque a quei tempi era un grande divulgatore scientifico per ragazzi. Come stanno le cose?

Mino Damato non era un conduttore. Faceva parte della redazione e di tanto in tanto
appariva in video. Il titolo completo della trasmissione infatti era: «
Avventura a cura di Bruno Modugno con la collaborazione di Sergio Dionisi. In redazione: William Azzella e Mino Damato. Conduce: Bruno Modugno».

 

Qual era la finalità ufficiale di quella trasmissione che tanto ha suggestionato noi bambini e ragazzi?

Scopo dichiarato della trasmissione era ispirare nei ragazzi il senso dell’avventura, farli sognare, stimolare la loro creatività, sottrarli all’appiattimento culturale e alla omologazione di Carosello e Mago Zurlì. La tecnica narrativa: raccontare un’avventura nel momento in cui accadeva.

 

Come procedeva a grandi linee il vostro lavoro? I documentari erano prodotti anche dalla Rai o erano acquistati dopo ricerca da altri enti?

Il mio lavoro era individuare, dalla cronaca o dalle notizie che mi venivano dal mondo universitario (esplorazioni, spedizioni archeologiche), dal mondo degli sport estremi (traversate atlantiche, spedizioni alpinistiche, discese di sci lungo pareti di ghiaccio) la situazione dove anche noi potevamo essere presenti (uno di noi, solitamente, e un operatore). Tranne Dionisi, che faceva un lavoro di “line”, a partire eravamo Damato e Azzella, ma soprattutto io. A volte, amici alpinisti, crocieristi in solitario, o naufraghi volontari, tornavano dai loro viaggi con del materiale girato che noi organizzavamo in un racconto televisivo completandolo con riprese avventurose delle quali eravamo noi stessi testimoni e protagonisti. Al contrario di Quark, Avventura era il racconto vero di una vicenda vissuta. La produzione era esclusivamente Rai. Mai acquistato un solo fotogramma dal National Geographic o da altri documentaristi (come si fa oggi).

 

Ci può ricordare qualche aneddoto specifico?

Ogni puntata rappresentava una storia avventurosa, ma anche di rischio. Fra i tanti episodi, come faccio a sceglierne solo qualcuno? Ci provo. Nella puntata dedicata alla caccia di balene delle Azzorre (operatore Mario Barsotti) Mino Damato si vide entrare in barca un capodoglio a bocca spalancata. L’operatore Mario Barsotti mantenne il sangue freddo e continuò a “girare” fin dentro la bocca del mammifero.

O quando in Tanzania fui caricato da un vecchio elefante incazzatissimo per via di un terribile maldidenti. Saltato sulla Range-Rover non riuscii ad avviare il motore finché non fui sfiorato dalla proboscide.

Un’altra volta mi avvicinai fino a quattro metri da un “pride” di leoni. Sempre a passo lento (cento metri in dieci minuti) e commentando l’azione con lo stesso tono di voce, finché non finirono insieme la pellicola, il suo ronzio e ovviamente il mio commento. Ci fu un attimo di panico, poi lentamente senza girarci tornammo indenni alla Range-Rover (sul cui tetto era appostato con un’altra cinepresa Mino Damato).

O quando documentammo la discesa con gli sci di Silvan Sodan dall’Eigger lungo una parete di ghiaccio di quarto grado. Ovviamente noi eravamo con le cineprese lungo tutto il percorso. E per essere lì avevamo fatto con lui tutto il percorso in salita.

O di quando cercammo con le squadre di soccorso i nostri amici speleologi travolti da una valanga sotto Monte Canin. Trovammo i loro corpi solo a primavera, insieme al materiale da loro girato. Potrei continuare per giorni.

 

Mi faccia se vuole le sue libere considerazioni su quell’esperienza.

Avventura è stata una esperienza che ha influenzato la mia vita. Ma è stata la mia particolare formazione (alpinista, boy scout, cacciatore di montagna e africano, divoratore di Salgari, Verne, Cooper) a farmi venire l’idea della serie, e la sensibilità dei miei capi (Emmanuele Milano e Beppe Lisi) a permettermi di realizzarla. Da Avventura è nata la serie di telefilm, Racconti dal vero (sempre da me diretta) che riproponeva con attori presi dalla strada o con gli stessi veri protagonisti, il racconto sceneggiato di una vicenda avventurosa (tra la verità e la fiction, come si direbbe oggi). Avventura ha anche ispirato il programma in sette ore L’Alba dell’Uomo realizzato con Folco Quilici e Carlo Alberto Pinelli che ci ha portati per tre anni in tutto il mondo. Anche l’altro programma per ragazzi Enciclopedia della Natura (sempre con Dionisi, Damato e Azzella) viene da quell’esperienza. Poi feci una breve parentesi di tre anni (dal ’76 al ’79, durante gli anni di piombo) al TG1 dove curavo e conducevo l’edizione delle 13,30. Tornai finalmente alle reti per  riprendere i miei documentari e le mie trasmissioni avventurose in giro per il mondo (finendo a volte nei guai, come quando fui catturato in Nigeria durante la guerra del Biafra, o preso in  ostaggio dalle Farc colombiane).

 

Avrà sicuramente avuto in questi quarant’anni altre persone che le hanno chiesto di parlare di Avventura. Si è reso conto di come è stata importante e formativa quella trasmissione?

I ragazzi che oggi hanno 40/50 anni (compresi alcuni personaggi poi diventati televisivi come Licia Colò)  ricordano con nostalgia la mia Avventura e continuano a fermarmi per ricordare insieme alcune vicende che sono stato oggetto delle diverse puntate.

 

Le due sigle sono veramente straordinarie e probabilmente sono servite a conservare nelle nostre menti, nei cassetti più gelosamente riposti, il ricordo comunque vivo di Avventura. Ricorda chi le scelse?

Le sigle musicali mi furono proposte, prima ancora che uscissero per il mondo, dal mio consulente musicale Massimo Catalano (ricorda Quelli della notte? Catalano era l’autore dei più strampalati e iperbolici aforismi. Catalano è un grande jazzista. Ricorda i Flipper? C’erano lui, Fabrizio Zampa, il gigantesco pianista di Maurizio Costanzo del quale in questo momento mi sfugge il nome).

 

Modugno, la ringrazio, anche a nome dei lettori che hanno amato Avventura, della disponibilità e della precisione con cui ha rievocato per noi quella straordinaria trasmissione.

Spero di averla soddisfatta.

 

Direi proprio che Bruno Modugno ci ha soddisfatto dandoci un grandissimo piacere.

È bello scoprire che lo spirito che animava gli autori ha colto nel segno, lasciando in tante persone un ricordo indimenticabile. Missione compiuta, caro Modugno.

Credo che per concludere al meglio questo pezzo non ci sia altro da fare che… mandare in onda le sigle…

Gabriele Paradisi

 

 

Note

[1] I Procol Harum sono un gruppo inglese ancora attivo. La formazione base originaria operò nel periodo 1967-1977. Il loro successo più conosciuto rimane A Whiter Shade of Pale (pubblicato il 12 maggio 1967), interpretato in Italia dai Dik Dik col titolo di Senza luce su testo di Mogol. Caratteristica peculiare della band di rock progressivo l’uso dell’organo Hammond. La canzone A salty dog (espressione inglese equivalente al nostro lupo di mare), è contenuta nell’album omonimo pubblicato nel 1969.

[2] Joy Adamson (1910-1980), naturalista e scrittrice austriaca (il suo vero nome era Friederike Victoria Gessner), divenne famosa in tutto il mondo col libro Nata libera: la straordinaria avventura della leonessa Elsa  (Born Free: A lioness of two worlds – 1960), in cui si narra la vera storia del cucciolo di leonessa adottato dai coniugi Adamson.

[3] Bruno Modugno è stato conduttore del Tg1 delle 13.30 dal 1976 al 1979, durante il periodo più caldo dei cosiddetti anni di piombo e fu proprio lui alle 12.50 circa del 18 marzo 1978, due giorni cioè dopo la strage di via Fani e il sequestro di Aldo Moro, a ritrovare nell’elenco Sip della cabina telefonica di via Teulada angolo piazzale Clodio, una copia del comunicato n. 1 delle Brigate rosse.

[4] Mino Damato, scomparso nel 2010, dedicò ampia parte della sua attività giornalistica alla divulgazione scientifica. Resta indimenticabile il programma che ideò e condusse nel 1973: In viaggio tra le stelle. Fu così che anche l’astronomia e lo spazio siderale, dopo le jungle e i deserti di Avventura, divenne luogo per i sogni di noi ragazzi. È anche grazie a Mino Damato e alla simpatia di studiosi come l’astrofisico Franco Pacini (morto nel gennaio 2012), se la sera, quando per caso ci troviamo in campagna e il chiarore delle città è meno invasivo, buttiamo immancabilmente uno sguardo al cielo stellato per individuare le “vaghe stelle” di Orione, per vedere se ci danno ancora la stessa emozione di allora. Pacini, a cui è stato dedicato dalla comunità scientifica internazionale un asteroide, negli anni sessanta concepì l’esistenza di stelle rotanti di neutroni, previsione che fu poi confermata con la scoperta delle pulsar.

 



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