Conoscere il mondo. Luoghi, libri, vini, ricette…è tempo di Langhe


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Ci sono libri che narrano di vini e cibi, e ti invitano a viaggiare in terre che mai avresti scoperto di amare o a scoprire sapori nuovi. Ma può capitare anche il contrario: e a parlarti di luoghi e gusti sono i vini, direttamente. E questo gioco, che si inverte a seconda che prevalga il piacere della letteratura su quello del mangiar bene, o appunto il suo esatto contrario, riserva sempre sorprese.
Qualunque sia il punto di inizio.
 
“Chi fa figli, – disse fissando il bicchiere – accetta la vita”.

Questa frase è impressa sull’etichetta della bottiglia di bianco, che mi è capitato di sorseggiare in un’enoteca al centro di Roma, e dà un senso al nome del vino: Tra donne sole, un bianco deciso, di quelli che non dimentichi.

Le parole sull’etichetta, come il nome del vino, sono di un racconto di Cesare Pavese (Tra donne sole, appunto) e rimandano in modo diretto alla terra d’origine di questo bianco, frutto dell’incontro di due vitigni di carattere deciso, Sauvignon (al 60 – 70 per cento) e Chardonnay (30 – 40 per cento). Due varietà di vigneti che le colline del Monferrato hanno saputo armonizzare, arricchendo la complessità e miscelando al punto giusto il gusto al palato. Brillante, giallo oro è il colore di questo vino, la cui fermentazione avviene in tini di acciaio a temperatura controllata, mantenendo sempre i due mosti rigorosamente separati. Dopo la fermentazione il Sauvignon riposa e decanta a bassa temperatura, mentre l’altro, lo Chardonnay, è sottoposto a fermentazione malolattica e riposa alcuni mesi sui lieviti. A primavera, gli enologi assemblano il tutto, in percentuali che variano di anno in anno.

Tra donne sole è prodotto e imbottigliato da Terre da Vino, e negli ultimi cinque anni ha inanellato ben  quattro riconoscimenti, dai due bicchieri del Gambero Rosso e Slow Food (per miglior rapporto qualità/prezzo), al riconoscimento Veronelli, a quelli dei vini d’Italia L’Espresso.

Nizza Monferrato, Ricaldone e Castelnuovo Don Bosco sono i comuni in cui si concentrano i vitigni. Siamo nelle Langhe di Pavese, ovviamente, a pochi chilometri da Santo Stefano Belbo che vide nascere lo scrittore piemontese, premio Strega nel 1950 per il romanzo La bella estate. La collina di Gaminella, quella di Moncucco, la piazza del Mercato del mercoledì con
l’Albergo dell’Angelo e poi la Mora, il Salto, il Nido, rappresentano gli scenari dei suoi romanzi, impressi per sempre nella natura di questi luoghi.

Sono zone di vini frizzanti, e decisi. Come il freddo che qui, dopo la vendemmia, arriva puntuale insieme alla nebbia.

Vale la pena ricordarli i nomi dei vini di Terre da Vino: La luna e i falò, La bella estate, Paesi tuoi, La casa in collina, Il diavolo sulle colline. Sono ottimi bianchi, o rossi vellutati, d’annata, affinati in legno e superiori. Gli stessi titoli si troverebbero scorrendo lungo lo scaffale di una libreria alla lettera P, come Pavese.
Dall’azienda qualche concessione viene fatta anche al fenogliano La Malora, nome di un vino e sempre di un romanzo, di Fenoglio però.
Se vi appassionate a questi luoghi dopo aver letto i libri, si può costeggiare il torrente Belbo e arrivare a Cossano, con la frazione di Castino che conserva la cascina descritta nel romanzo di Fenoglio.
Ma se avete già nel vostro bagaglio culturale i romanzi di Pavese e Fenoglio, potete allora approfondire in prima istanza il tema del vino. Senza ignorare che queste colline sono anche terre del Moscato. A Mango, centro partigiano durante la Resistenza, si può ammirare il massiccio Castello dei Busca, dove sorge l’Enoteca Regionale del Moscato (http://www.enotecamoscato.com).
Per il Moscato un nome prevale su tutti gli altri comuni, che vale la pena visitare: Canelli, candidata all’Unesco per le sue cattedrali sotterranee, una rete di gallerie che dal XVIII secolo sono scavate nel tufo e che oggi sono usate per affinare vini e spumanti (http://www.comune.canelli.at.it/servizi/Menu/dinamica.aspx?idArea=2188&idCat=518&ID=518&TipoElemento=categoria).

Se con la mente siete ormai nelle Langhe piemontesi, la ricetta che lasciamo su queste pagina per non rompere l’incantesimo, e anzi trascinarlo fin sulla tavola, è quello della Ratatuia di verdure, piatto estivo e influenzato dalla tradizione culinaria della vicina Francia.

Questi gli ingredienti:

2 peperoni (di colori diversi)
2 carote
2 melanzane
3 zucchine
3 pomodori
3 patate (bianche)
Sedano, cipolla, un pugno di fagiolini, basilico e prezzemolo
mezzo bicchiere di aceto
3 foglie di salvia
un cucchiaino di zucchero
olio extravergine di oliva
sale q.b.

Come procedere
Lavare e tagliare a pezzettini tutte le verdure tenendole separate, per essere cotte con tempi diversi. Tritare le cipolle e dorarle nell’olio. Aggiungere le verdure seguendo quest’ordine: carote e fagiolini, dopo 5 minuti peperoni e il sedano, quindi le patate, e infine le zucchine, le melanzane e in ultimo i pomodori.
Mentre le verdure stanno cuocendo, girarle delicatamente ogni tanto, evitando di farne una purea. Aggiungere, se occorre, un mestolo di brodo caldo.
Tritare a parte il basilico, le foglioline di prezzemolo e la salvia, e tenerli da parte.
A fine cottura (circa un’ora) bagnare con il bicchiere di aceto nel quale avrete sciolto il cucchiaino di zucchero. Alzare il fuoco qualche minuto per far asciugare l’aceto e insaporire le verdure con gli aromi tritati.

Maria Grazia Pecchioli



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