Un ristretto entourage di intellettuali colti, ironici e molto critici su tutto. Questo fu Il Borghese che Leo Longanesi fondò nel 1950, un settimanale raffinato anche graficamente, che riuniva firme come Indro Montanelli, Giuseppe Prezzolini, Ennio Flaiano, Goffredo Parise e Mario Missiroli. Figure di un forte anticonformismo laico e smagato, irripetibili per statura intellettuale e libertà di giudizio. Longanesi, forse il più inquieto e creativo, inventando riviste come L’Italiano e Omnibus aveva già anticipato la moderna formula del cosiddetto rotocalco, che tanta fortuna avrebbe incontrato nei successivi decenni. Si pensi all’Europeo di Arrigo Benedetti, all’Espresso dello stesso Benedetti e poi di Eugenio Scalfari, al Mondo di Mario Pannunzio. Nonché a quel prezioso settimanale patinato che fu Epoca, ricco di testi intelligenti e smaglianti reportage fotografici su tutto ciò che avveniva nel pianeta e nella natura. Proprio Longanesi aveva detto: “Diamo tante immagini accanto a testi ben fatti: ecco un nuovo genere di giornalismo.”
Altra cultura, altro giornalismo: altra Epoca. La sede di Mondadori era ancora in via Bianca di Savoia, e ogni appartamento ospitava un settimanale. La redazione di Epoca si trovava al pianoterra, e contava una quindicina di giornalisti. Augusto Guerriero, il mitico Ricciardetto, grande commentatore di politica estera che la stampa americana definì “il Walter Lippmann italiano” (previde tra l’altro la crisi dei missili a Cuba, la sconfitta americana in Vietnam e la caduta di Kruscev), non ne faceva fisicamente parte: preferiva inviare le sue esemplari Conversazioni con i lettori da Roma, dove viveva un po’ dannunzianamente, attorniato da bianchi levrieri.
Ambiente severo, stile sobrio, massima vivacità di intelletti e personaggi. Così Ariberto Segàla, giornalista, scrittore e fotoreporter, oggi figura di maturo borghese perbene, ricorda quello straordinario mondo culturale e umano: “Il nostro – ricorda Segàla – era l’unico settimanale con un suo staff fotografico, che si muoveva dall’Europa all’America, dall’Asia alle Falkland.” Dove Segàla stesso realizzò un completo reportage fotografico di guerra. E poi tanti servizi nel verde dei grandi parchi, tra ampie distese o scenari orridi, con rare faune di orsi, stambecchi, marmotte, e perfino un esemplare unico di camoscio bianco albino. Escursioni audaci con l’amico Walter Bonatti, che richiesero pazienti appostamenti con la Nikon, ma valsero al giornale forti incrementi di tiratura, e a Segàla un bel premio Saint Vincent. Immagini accanto ai testi, secondo la precisa formula di Longanesi, che Segàla conobbe personalmente. Quando si raggiungevano le 500 mila copie, Arnoldo Mondadori in persona scendeva in redazione per estrarre da una borsa in cuoio premi preziosi, come orologi di gran marca e accendini d’oro massiccio. Tutt’intorno, un incessante viavai di scrittori, poeti e uomini di cultura, da Ungaretti a Vittorio G. Rossi, da Marino Moretti a Piovene. Di quest’ultimo si diceva fosse un grandissimo pigro, e che in quel suo geniale “Viaggio in Italia” facesse guidare l’auto alla moglie. Si infervora Segàla in questa piccola aneddotica d’ antan. “Buzzati, intimo amico di famiglia, era di casa da noi.” Ancora oggi, tra tanti cimeli, documenti e foto, Segàla conserva un’antica specchiera veneziana stile Impero, regalo del grande Dino al padre Renzo, che aveva diretto il periodico.
“Buzzati era un uomo schivo, timido, silenzioso. Parlava pochissimo. Indossava abiti neri, camicie bianche dal colletto arrotondato e cravatte viola. Suonava bene il piano e il violino, e si esibiva volentieri anche da noi. Qualche volta ci riceveva nel suo studio con giardino di via Borghetto 5: stanza elegante, scrivania sempre ingombra di carte.” Ben nota la sua scrittura surreale, densa di mistero e fuori dal tempo, estranea a ogni dimensione cronologica e di luogo. Meno noto che persino le sue corrispondenze di guerra fossero così, cronache di battaglie terrestri o navali avulse da ogni contesto storico e geografico. Ancor più strano che il Corriere gliele pubblicasse tali e quali.
Arnoldo Mondadori detestava la poesia. Ma il figlio Alberto, amico di Giuseppe Ungaretti, aveva promesso al poeta un incontro personale col padre. Tutti temevano il peggio. Il giorno dell’appuntamento la tensione è massima: la visita si protrae per mezz’ora. Poi un’ora, poi due. Che staranno mai confabulando il poeta e l’editore? Dopo due ore e mezza Ungaretti esce felice, in lacrime, e per la gioia abbraccia tutti. Nasce così la collana dello Specchio.
Ma Segàla non si limita a rievocare. Scrive e fotografa sempre – “immagini e testi ben fatti”. “I muri del Duce” (Arca editore, 2001) è una curiosa raccolta di motti mussoliniani, grandi scritte murali stinte ma ancora leggibili, più malinconiche che bellicose, riprese su diroccati intonaci di campagna e accompagnate da annotazioni essenziali e scarne. “Il ritorno del Basilisco” è invece un’assortita galleria di (falsi) ex voto, recuperati con scrupolo filologico e dotta ironia, dove la tecnica del fotoshop realizza un’estrosa fusione di realtà e fantasia: foto, pittura e testo. I grotteschi mostri che turbano viandanti e coltivatori diretti, prima che qualche tempestiva Madonnina rurale risolva per il meglio ogni cosa, si devono al minuzioso e inventivo pennello di Marina Viazzi (Arca Editore, 2008).
Segàla ama i percorsi solitari, il dialogo diretto con la natura, i grandi silenzi e la fuga dalla civiltà. Lì è la sua pace. Come Dino Buzzati, predilige la montagna ed è grande amico di guide alpine e guardiani di parchi, da cui raccoglie testimonianze confidenziali e circostanziate. Le foto, tiene a precisarlo, sono ancora scattate con il rullino e senza ritocchi al computer. Ed ecco “L’arte della foresta”, edito dal Ministero dell’Ambiente: “Devo ringraziare la Prestigiacomo“. Una quieta peripezia per i boschi, documentata da tante tavole policrome. Colori violenti o sfumati, forme geometriche o bizzarre: quadri di Pollock o Kandinskij? No: cortecce di larici, betulle, salici, pini. La natura fa tutto da sé, poeticamente e silenziosamente. Lui ha solo fotografato. Accanto, con amorosa minuzia, i soliti appunti essenziali, malinconici e precisi. Ancora una volta, immagini accanto a testi ben fatti: come in quell’Epoca lontana.
Gian Luca Caffarena








