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Lo scrittore morto a 84 anni. Se ne va un Grande tra due Millenni.

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Ricordare Umberto Eco è un’impresa da far tremare le vene e i polsi. Ci ha lasciati, nonostante fosse malato,  senza che ce l’aspettassimo, come fosse già immortale. E la sua “eco” non si spegnerà, fino alla fine. Perché la sua morte non solo lascia noi italiani più soli e provinciali, ma è una grande perdita per la cultura universale. Il suo romanzo, che esplose improvviso e inaspettato anch’esso nel lontano 1980, In nome della rosa, è stato tradotto in 47 lingue e venduto in oltre trenta milioni di copie. E’ la sua summa, la sua Divina Commedia.

Che non a caso ci parla del mondo di oggi visto da un’ottica medioevale. Medio Evo cui Eco si accostò quando era ancora responsabile nazionale dell’Azione Cattolica, negli anni Cinquanta. Vi si accostò attraverso un’interprete fondamentale, che lui, secondo la sua stessa espressione, ha spolpato come il maiale, senza sprecarne un solo pezzo: San Tommaso d’Aquino. L’espressione è contenuta su un libro al quale devo la mia tesi di laurea, e sul quale mi sono formato: Come si fa una tesi di laurea. Le materie umanistiche (1976). Poi su tutto calarono l’abbandono della fede e il laicismo.

Umberto Eco non è stato solo un grande e famoso filosofo, semiologo, scrittore, enciclopedista, giornalista, ma uno straordinario e instancabile divulgatore culturale.

Come tutti i Grandi, non temeva di perdere le proprie chances diffondendo i segreti e i metodi  del proprio studio, del proprio scrivere. E così, a cavallo dei due Millenni, è stato la coscienza critica del proprio Tempo. Come lo fu, nel diverso ambito di talenti e in un tempo molto più ristretto a causa del suo assassinio atroce, Pier Paolo Pasolini.

Nel 1956 pubblicò il suo primo libro,  appunto un’estensione della sua tesi di laurea, dal titolo Il problema estetico in San Tommaso.

Ne  Il nome della rosa Eco mette al centro il tema del riso. L’opera  si presenta come un manoscritto ritrovato.  È la fine di novembre del 1327. Guglielmo da Baskerville, un frate francescano inglese, e Adso da Melk, suo allievo, si recano in un monastero benedettino di regola cluniacense nei monti dell’Italia settentrionale. La vertenza coinvolge i francescani e i delegati della curia papale, insediata ad Avignone. Guglielmo sostiene le tesi pauperistiche francescane. L’inspiegabile morte del giovane confratello Adelmo durante una bufera di neve rischia di travolgere i lavori del convegno e di far ricadere la colpa su Adso.Guglielmo deve perciò trovare le cause dell’omicidio.Nonostante la quasi totale libertà di movimento concessa all’ex inquisitore, altre morti violente si susseguono: quella di Venanzio, giovane monaco traduttore dal greco e amico di Adelmo, e quella di Berengario, aiutante bibliotecario alle cui invereconde profferte aveva ceduto il giovane Adelmo. Guglielmo scopre che le morti sono riconnesse a un manoscritto greco custodito gelosamente nella biblioteca del monastero., il quale ospita anche due ex appartenenti alla setta dei dolciniani: il cellario Remigio da Varagine e il suo amico Salvatore, che parla una strana lingua. Remigio intrattiene un commercio illecito con una povera fanciulla del luogo, che in cambio di favori sessuali riceve cibo dal cellario. Anche il giovane Adso fa la conoscenza della ragazza e scopre così i piaceri della carne. In un’atmosfera inquietante, alternando lunghe digressioni storico-filosofiche, ragionamenti investigatori e scene d’azione, Guglielmo e Adso si avvicinano alla verità penetrando nel labirinto della biblioteca e scoprendo il luogo dove è custodito il manoscritto fatale (l’ultima copia rimasta del secondo libro della Poetica di Aristotele), che tratta della commedia e del riso.

Impareggiabile e affabile Professore universitario, Umberto Eco ha avuto prestigiose cattedre in tutto il mondo, ma il suo centro è stato sempre la fortunata Università di Bologna, dove fondò il famoso DAMS, e dove era attualmente professore emerito e presidente della Scuola Superiore di Studi Umanistici. Nel 1988 fondò il Dipartimento della Comunicazione dell’Università di San Marino.

Dal 12 novembre 2010 era socio dell’Accademia dei Lincei per la classe di Scienze Morali, Storiche e Filosofiche. Faceva parte dell’associazione Aspen Institute Italia. Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, dal 2003 era Ufficiale e dal 2012 Commendatore della Legion d’Onore. E’ stato anche membro onorario della James Joyce Association.

Nel 1954 aveva cominciato brillantemente la sua parabola massmediatica vincendo un concorso in RAI, insieme a Gianni Vattimo e Furio Colombo. Doveva svecchiarla dallo stantìo sapore di Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche (EIAR), di fascista memoria. Nel 1963, con Opera aperta, divenne fondatore del “Gruppo 63”, con  lo stesso Furio Colombo, Renato Barilli, Achille Bonito Oliva, Oreste Del Buono, Alfredo Giuliani, Angelo Guglielmi, Giorgio Manganelli e Sebastiano Vassalli.

Celebri le sue Bustine di Minerva che chiudevano la lettura de L’Espresso. Ora resta solo Eugenio Scalfari. Con il suo Vetro soffiato.

Giancarlo De Palo

giancarlodepalo@gmail.com

6 Responses to L’Eco che ci lascia



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