L’ebreo errante che cerca la luce


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Ebreo polacco, anzi israeliano. O meglio, canadese. Attualmente italiano. Definitivamente? Di certo da noi ha trovato la bellezza e l’amore, dopo aver esposto un po’ ovunque le sue tele, con grande mobilitazione di critici e collezionisti: da Toronto a Tel Aviv fino a Berlino. Infine – last not least – nell’incantevole borgo di Fosdinovo, in Lunigiana, alla spettacolare Torre del Castello.

Harry Jeheskiel Kuperhouse, gran cultore di Velasquez, dell’Italia ama specialmente la qualità della luce: chiarore delle albe e fulgore dei tramonti. Molti i paesaggi rurali, tra impressionismo ed espressionismo naif, si direbbe: se il tratto della pennellata non fosse così inedito e personale. Suo. Da qualche tempo è tutto preso dai “tunnelli”, come li chiama lui, ovvero dalle gallerie stradali: dove è affascinato dal contasto tra la luce naturale del fondo e quella giallina e fredda dell’illuminazione artificiale.

Questo ebreo errante e giramondo è un gigante buono di due metri di statura e cento chili di peso. Parla fluentemente inglese, ebraico, yiddish, polacco, francese e tedesco. Si fa capire in italiano. Fuggito bambino dalla Polonia per il diffuso antisemitismo, dopo lo sterminio dei suoi ascendenti, approda con la madre alla Terra Promessa. Poi il Canada, dove trova moglie. Ma presto, tra esodi e migrazioni, prende a girare per i continenti, ovunque seminando la sua diaspora di schizzi, tele, donne mai del tutto dimenticate. Oltre a pentole, bici e altri misteriosi arnesi con cui ama armeggiare di continuo.La sua prossima mostra sarà il 27 maggio a Sarzana, al Torrione di Porta Parma. Ma già medita un itinerario artistico in varie città italiane.

Le varie fasi di questa vita erratica si riflettono nei diversi soggetti dei quadri. C’è il periodo israeliano, che esalta l’ingegno ebraico e la tenace lotta del popolo di David per strappare al deserto uno spazio vivibile. C’è il periodo canadese: muschi, licheni e acque dell’Ontario. Nonché quello germanico, denso di fabbriche e ciminiere, simbolo di quella civiltà tecnologica che lo ha sempre affascinato. Ma in Italia, oltre ai paesaggi del Bel Paese, è specialmente attratto dai bruschi bagliori delle gallerie.

GLC



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