La donna dell’Uomo Nero


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L’incognito fascino di particolari ordinari e nascosti può arricchire un bel libro, come le attrazioni che si “sentono” e non si vedono; rimangono latenti per molte pagine in attesa che la nostra mente faccia la propria parte collegando i dettagli dentro la storia.

La costruzione narrativa in cui il relativo è trasformato in valore assoluto, ha una sua insita attrattiva. E’ un puzzle composto d’idee coordinate e accattivanti quello che rianima gli oggetti, i luoghi e le situazioni, trasformandoli in soggetti attivi nello sviluppo di un romanzo che avrà tutti i crismi dell’imprevedibilità e della tensione viva.

Quella che viene svolta non può che essere un’opera di mutazione certosina che alcuni autori compiono con un’ammirevole crescente professionalità e grazie a un talento innato manifestatosi già in giovane età.

Le riflessioni appena esposte, non hanno pretese accademiche; sono solo una parte delle ispirazioni più curiose e inconsuete derivatemi dal romanzo d’esordio dell’autore tedesco Wulf Dorn, dal titolo “La psichiatra” – edito da Corbaccio (euro 18,60) – e uscito nel settembre 2010.

Dorn ha iniziato a scrivere, dedicandosi ai racconti horror, già all’età di dodici anni. Ha studiato lingue e lavorato come logopedista occupandosi del linguaggio in pazienti psichiatrici.

Con questo primo romanzo, esplora aspetti della mente umana rendendola sia spaventosa nella sua complessità, sia drammaticamente semplice nella sua vulnerabilità.

Il frutto di questa combinazione che, a prima vista, per il lettore sa di analisi dell’ignoto più buio, non è una storia criptica.

Quello che l’autore ci racconta attraverso le gesta di Ellen Roth, una brava psichiatra della clinica “Waldklinik”, è comprensibile, efficace e con sorprese dietro ogni pagina; con tratti di giallo, di horror e di thriller.

Proprio quando il suo compagno, anch’esso psichiatra, parte per una vacanza in Australia, Ellen si “sente” sospinta, suo malgrado, nella ricerca della paziente scomparsa dalla stanza numero 7 e dell’“Uomo Nero” che la terrorizzava; è questo il filo rosso che “cuce” il romanzo.

Attraverso le proprie paranoie e angosce, sarà Ellen a guidarci nelle sofferte tenebre della sua personale inchiesta; lì dove l’oscurità sembrerà incorruttibile.

Saremo indotti in errore; consigliati e sviati, ora per la via più ambigua e ora per quella in apparenza a senso unico.

Sarà ancora Ellen, grazie all’aiuto del suo collega Mark Behrendt, a farci strada fino all’incrocio decisivo dove la mente delle allucinazioni si scontrerà con la realtà e con quella spiegazione scientifica per porta il nome di fuga dissociativa.

Una lampadina fulminata, un trolley, i ruderi di una fattoria, una ghiacciaia: sono alcuni degli elementi che diverranno la “chiave” per svelare i misteri della storia.

Chi è l’“Uomo Nero”? Dov’è finita la paziente della stanza numero 7? Cosa si nasconde nel percorso umano di Ellen Roth?

Se è vero, come dice l’autore, che “scrivere è un lavoro faticoso, ma anche la professione più bella del mondo”, e poiché leggere è tra le nostre passioni più dilettevoli, che Wulf  Dorn possa sempre orientare così bene le sue fatiche.

Trovare le risposte alle trame e alle forme, come a quelle dell’“Uomo Nero”, sarà sempre un manifestare la nostra scelta per una fuga dissociativa dalla realtà: perché il proscenio del mondo reale non comprende nel suo status convenzionale i labirinti della follia.

Possiamo dunque camminare in simbiosi con l’autore, che ci terrà per mano fino ai confini del baratro; ma, come diceva il filosofo Friedrich Nietzsche, “non guardare il baratro, altrimenti il baratro guarda te”. Vietato sporgersi troppo.

 

Danilo Stefani



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