Epoche. Caro diario…


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Un grezzo elastico a raccogliere un paio di libri, qualche quaderno, un astuccio. Così generalmente uscivamo di casa ogni mattina, sul finire degli anni sessanta ─ primi anni settanta, per andare a scuola. Niente a che vedere con gli zainetti tecnologici dei nostri figli, che, come un giocattolo giapponese, possono trasformarsi in un attimo in comodi trolley e trascinare decine di chili di carta nel tentativo, forse vano, di scongiurare inevitabili scoliosi.

Però, nel nostro pur frugale ed essenziale “contenitore a fibbia” non mancava mai lui: il Diario. Compagno inseparabile di ogni anno scolastico. L’acquisto del Diario, verso la fine dell’estate, quando finalmente arrivava in cartoleria, era un vero e proprio rito. L’offerta non era certo molto ampia allora, ma la scelta per nulla scontata. In qualche misura quell’oggetto avrebbe condizionato ogni nostro giorno per nove mesi. Un personaggio, le sue storie, un testo, un argomento, una battuta ce li saremmo trovati davanti ogni mattina e ogni pomeriggio fino all’estate successiva. Era fondamentale quindi scegliere il compagno di strada giusto.

Il Diario scolastico così come lo conosciamo oggi fu inventato nel 1949 dall’AVE (Anonima Veritas Editrice), la casa editrice romana espressione dell’Azione Cattolica, che pubblicava il leggendario periodico a fumetti Il Vittorioso (1937-1967). È questa la ragione del nome Diario Vitt, mentre quasi tutti abbiamo sempre creduto che Vitt fosse il diminutivo dell’autore che ne disegnò tutte le edizioni (tranne una), e cioè Franco Benito Jacovitti (1923-1997), che talvolta si firmava anche Jac o Lisca di Pesce. Ma è nei decenni sessanta e settanta che il Diario scolastico diventò uno strumento “indispensabile” malgrado nella realtà non lo fosse per nulla, basta sfogliare quelli che eventualmente ci sono rimasti da qualche parte in cantina e rilevare quante poche informazioni funzionali allo studio vi riportammo. Il Diario scolastico così divenne un vero e proprio business. Il catalogo storico dell’AVE riporta che nel 1968 «Nel settore parascolastico il Diario Vitt arriva a tirature di un milione e mezzo di copie per anno» e dunque sulla scia di questo successo si buttarono un po’ tutti, dalla Mondadori (coi Diari Disney: Topolino, Paperino, Paperone, etc…) alla Milano Libri (che sfruttò la meritata fama della sua fortunata rivista Linus).

«Prima: erano scolasticamente anni grigi, cupi, tristi, caratterizzati da quaderni con una lugubre copertina nera, magari metafora di una tetra scolarità… Poi: venne una “cosa” disinibita, allegra, il Diario Vitt. Che, dopo aver sdoganato l’allegria, finì un po’ alla volta per scatenare una moda» (Gianni Brunoro, “Storia di un diario, quasi un romanzo”, postfazione al libro Gli anni d’oro del diario vitt raccontati da Goffredo Fofi, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, settembre 2006).

Io del Diario Vitt ho sicuramente avuto almeno l’edizione 1973-74, durante il mio primo anno di Liceo. Forse ne ho posseduta anche qualche altra negli anni precedenti. Rivedendone le copertine le trovo infatti familiari, ma non potrei giurarci. Forse le avevano i miei compagni di banco. Invece dopo il 1974 mi orientai senza indugio verso altri diari più solari e consoni alla mia sensibilità.

Il grottesco e il surreale, hanno sempre suscitato in me sentimenti contrastanti e forti: disagio e interesse, inquietudine e curiosità. Ero attratto e nel contempo spaventato. Era con terrore morboso che guardavo da bambino le tele di Hieronymus Bosch (1453-1516) o i quadri di Pieter Bruegel (1525 ca. – 1569). Quel turbamento col tempo si è trasformato in delizia, non c’è dubbio, ma nonostante ciò devo ammettere che non manca mai in me una vena di sottile sgomento ogni qual volta ammiro La nave dei folli o Il trionfo della morte.

Ecco allora che vedere spuntare dal suolo matite o salami (rappresentati a volte anche con tanto di gambe e piedi o seduti su vasi da notte); scorgere ai lati di una vignetta, dunque ai margini della battuta vera e propria, un lombrico col cappello che si succhia la coda o un ragnetto nero penzoloni, se oggi mi fanno gridare al genio, quando avevo nove-dieci anni mi creavano un qualche imbarazzo. E rifuggivo con gioia e sollievo nell’ordinaria normalità della mia cucina e dei miei affetti. Semplici e sinceri. Reali. Debbo dunque ammettere che ho amato ma nello stesso tempo guardato con un certo interrogativo sospetto il mondo di Jacovitti non riuscendo ad immedesimarmi del tutto in quella rutilante e straordinaria follia.

Il Diario Vitt, oltre ad essere stato il primo e il più attento a captare gli snodi del tempo, non perse mai il suo intento didascalico moraleggiante, il suo fine didattico, il suo compito: trasmettere ai giovani che lo utilizzavano i veri valori su cui costruire la loro vita futura. In fondo era pur sempre l’espressione di un movimento cattolico. E affidare questo immane progetto alla matita straordinaria e irriverente di un artista eclettico ed originale come Jacovitti fu senza dubbio un ulteriore colpo di genio.

Se in ogni edizione del Diario Vitt veniva battezzato un tema conduttore, se in ogni pagina c’era una vignetta, un testo, magari affidato a personaggi come Corrado Biggi (1960-65) o Indro Montanelli (1966-67), fu ancora il Diario Vitt per primo a introdurre una storia autoconclusiva: Pipipi a Parlachiaro (1971-72) dove Pipipi stava per Pippo, Pertica e Palla, tre inseparabili amiconi. Per i concorrenti della AVE fu quindi tutto sommato facile seguire la stessa strada. Bastava, senza troppo impegno e fantasia, riprodurre le strisce o le storie dei loro personaggi già pubblicate negli appostiti albi ed il gioco era fatto.

Nacquero così il Diario di B.C. basato sulle vignette di Johnny Hart, quello dell’inarrivabile Corto Maltese di Hugo Pratt (1976-77) e poi, probabilmente il più gettonato di tutti: il Diario Linus. È proprio su quelle pagine, dove i più diligenti annotavano anche il titolo della versione di latino da tradurre o il numero degli esercizi di matematica da svolgere, che molti di noi scoprirono i Peanuts.

 

A Sergio Zavoli, incaricato di curare i testi dell’edizione del Diario Vitt 1967-68, fu assegnato il tema del tempo libero. Oltre ai giochi, al cinema, alla televisione, allo sport, alla musica leggera, al quotidiano inteso come giornale, alla letteratura…  ecco fare capolino anche i fumetti. All’incombente rivale Linus venne dedicato un box. La vignetta di Jacovitti ritraeva un perplesso signore col cappello che squadrava un librone dei Peanuts. Il punto interrogativo tra nuvolette sbuffanti ai lati del volto del signore introducevano un ritratto minimalista dell’opera di Schulz:

«Charlie lo zuccone. Se invece che disegnare, Charles Schulz fosse stato uno scrittore, avremmo letto i racconti di Charlie Brown e dei suoi amici cercando di immaginare come potevano essere fatti. Schulz li ha disegnati, e così conosciamo i volti di questo gruppo di bimbi americani dai sette ai dieci anni i quali litigano, giocano e comunque stanno sempre insieme tra la scuola, il base-ball, i compiti e la televisione. Charlie, Linus, sua sorella Lucy: c’è persino un cane di nome Snoopy che si comporta come uno della brigata. La morale? Nell’infanzia, se si hanno dei veri amici, è tutto più bello» (Il Diario Vitt, 1967-68).

Un indirizzo editoriale dettato da ragioni di mercato? O Zavoli non aveva colto la profondità di quelle “personcine”? In ogni modo niente a che vedere con le lodi, senz’altro condivise, sperticate e semiotiche di Umberto Eco: «Non beve, non fuma, non bestemmia. È nato nel 1922 nel Minnesota. Vive modestamente ed è “lay preacher” in una setta detta la Chiesa di Dio; è sposato e ha, credo, quattro bambini. Gioca a golf e a bridge e ascolta musica classica. Lavora da solo. Non ha nevrosi di alcun genere. Quest’uomo dalla vita cosi sciaguratamente normale si chiama Charles M. Schulz. È un Poeta. Quando dico “Poeta” lo dico per fare arrabbiare qualcuno. Gli umanisti di professione, che non leggono i fumetti; e coloro che accusano di snobismo gli intellettuali che fingerebbero di amare i fumetti. Ma sia bene inteso: se “poesia” vuole dire capacità di portare tenerezza, pietà, cattiveria a momenti di estrema trasparenza, come se vi passasse attraverso una luce e non si sapesse più di che pasta sian fatte le cose, allora Schulz è un poeta. Se poesia è individuare caratteri tipici in circostanze tipiche, Schulz è un poeta. Se poesia è far scaturire da eventi di ogni giorno, che siamo abituati a identificare con la superficie delle cose, una rivelazione che delle cose ci faccia toccare il fondo, allora, una volta ogni tanto, Schulz è poeta. E se poesia fosse soltanto trovare un ritmo privilegiato e su di quello improvvisare in una avventura ininterrotta di variazioni infinitesime, così che dall’incontro altrimenti meccanico di due o tre elementi possa scaturire un universo sempre nuovo, cantato senza pause, ebbene anche in questo caso Schulz è poeta. Più di tanti altri […]» (“A proposito di Schulz e della sua poesia”, prefazione al libro Arriva Charlie Brown!, Milano Libri, 1963).

 

Il ciclone dei Peanuts (di cui tornerò a parlare perché non c’è vero reduce degli anni settanta, che non abbia avuto modo di visitare la stanzetta di una compagna di classe e trovarvi appeso al muro un poster di Snoopy, magari in compagnia del suo simpatico amichetto Woodstock), suscitava del resto invidie un po’ ovunque. Carlo Fruttero (1926-2012) & Franco Lucentini (1920-2002) nell’“Introduzione alfabetica” al volumetto degli Oscar Mondadori datato 1973 intitolato L’alfabeto preistorico di B.C., così scrivevano: «Linus, il grande rivale di B.C., sta oggi perdendo terreno in America, dove gli intellettuali “hip” lo hanno decretato “out”, mentre B.C. (e il mago Wiz) restano più “in” che mai. In Francia invece, dove i gusti sono sempre un po’ arretrati, tutti giurano ancora per Peanuts mentre B.C. nessuno lo conosce. Vero è che in Francia non ci sono stati F.&L. a lanciarlo, il preistorico omino, sulla rivista Urania e in quattro celebri antologie che hanno superato complessivamente le 300.000 copie».

La profezia di Fruttero & Lucentini si rivelò sbagliata. I Peanuts non solo hanno divertito schiere di ragazzini e adulti per tutto il decennio settanta, ma hanno continuato a farlo anche durante tutti gli anni ottanta e novanta. L’avventura di Schulz e dei suoi magici bambini, cinquant’anni tondi tondi, s’è interrotta con la leggerezza e la dolcezza di una poesia. Non poteva essere altrimenti. Stanco, malato, sul finire del millennio scorso, Schulz annunciò al mondo che avrebbe cessato la pubblicazione delle sue noccioline. L’ultima struggente vignetta (Charlie Brown al telefono che dice: «No, penso stia scrivendo», e Snoopy come sempre sul tetto della sua casetta che batte a macchina la lettera d’addio e di ringraziamento [1]), venne pubblicata sui giornali il 13 febbraio 2000, com’era in programma. Schulz era morto solo il giorno prima a Santa Rosa in California, quasi che la sua vita fosse stata un tutt’uno con la sua opera. Uno degli uomini più fortunati che sia mai esistito al mondo…

Ecco allora che, a parte l’anno scolastico 1976-77 quando non potei tradire “il marinaio dall’orecchio forato”, fu proprio il Diario Linus e quelle variazioni infinitesime di poesia, ad accompagnarmi nei lunghi mesi dell’autunno (illuminati dai decadenti fin de siècle), nelle giornate fredde e corte dell’inverno e anche nei pomeriggi di nuovo tiepidi e luminosi delle nostre primavere, quando la stagione era perfettamente in sintonia coi pensieri leggeri e con la prorompente vitalità del nostro corpo adolescente.

E il Diario fu così il luogo ospitale dove le compagne di classe lasciavano traccia delle loro furtive sbirciatine. Del resto «ditemi… chi non s’è mai innamorato di quella del primo banco, la più carina la più cretina» [2]? Un fiorellino, una stellina, un cuoricino. Una frase ovvia e banale nella sua tenera dolcezza: «La vera felicità sta nell’Amore… Anna Maria» (scritta che ho ritrovato nella sezione Messaggi scuola/casa e viceversa del mio ancora profumatissimo Diario Linus 1977-78 – quinta Liceo!).

 

Alla fine dell’anno scolastico, quando coi compagni ci si salutava ed emergeva tutta la gioia e la nostalgia dei giorni trascorsi insieme sui banchi, il Diario era almeno raddoppiato di dimensioni. Incollati definitivamente alle pagine, a coprire rari promemoria di compiti a casa ed orari, decine e decine di fogliettini. I post-it infatti, inventati nel 1968 ma diffusi nel mondo solo nel 1980, ancora non sapevamo cosa fossero e comunque sarebbero stati troppo labili per il nostro bisogno di certezze.  Così, ad ogni pagina, era un tripudio di poesie (quei maledetti francesi…), di bigliettini di amici ed amiche, di foto ritagliate dai giornali (Ciao 2001, la bibbia…). Frammenti di vita. Briciole di spensierata serenità che il Diario raccoglieva diligentemente, silente testimone del tempo. E dire che alcuni di noi, certo i più fortunati, hanno percepito appieno quella debordante gioventù, quella intima e semplice felicità, proprio negli istanti esatti, nei precisi momenti in cui, annotando un pensiero sul Diario, quella gioia la si stava vivendo.

Gabriele Paradisi

 

Note

[1] Dear Friends, I have been fortunate to draw Charlie Brown and his friends for almost 50 years. It has been the fulfillment of my childhood ambition. Unfortunately, I am no longer able to maintain the schedule demanded by a daily comic strip. My family does not wish Peanuts to be continued by anyone else, therefore I am announcing my retirement. I have been grateful for the loyalty of our editors and the wonderful support and love expressed to me by fans of the comic strip. Charlie Brown, Snoopy, Linus, Lucy…how can I ever forget them… Charles Schulz.

[Cari amici, ho avuto la fortuna di disegnare Charlie Brown e i suoi amici per quasi cinquant’anni. È stata la realizzazione del sogno che avevo fin da bambino. Purtroppo, però, ora non sono più in grado di mantenere il ritmo di lavoro richiesto da una striscia quotidiana. La mia famiglia non desidera che i Peanuts siano disegnati da qualcun altro, quindi annuncio il mio ritiro dall’attività. Sono grato per la lealtà dei miei collaboratori e per la meravigliosa amicizia e l’affetto espressi dai lettori della mia “striscia” in tutti questi anni. Charlie Brown, Snoopy, Linus, Lucy… non potrò mai dimenticarli… Charles Schulz].

 [2] Antonello Venditti,Compagno di scuola, 1975.



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