La classe non è acqua (ma nemmeno champagne)
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I tempi e lo stile
Tutti tendono a darsi un certo tono. L’impiegata fa la distinta, il salumiere l’affettato, spesso l’uomo di finanza è ricercatissimo. Lo stesso operaio tenta ancora una lotta di una certa classe. L’unico veramente out è il piccolo borghese anni cinquanta-sessanta – abito Facis, calzini corti, nuca rasata per la sfumatura alta, cravatta grigioperla, scarpe lucide a punta: moralismo gretto, dignità tiratissima, salvata in extremis dai centrini del salotto buono. Di lui purtroppo non c’è più traccia, forse l’Unesco non l’ha incluso in tempo tra i beni da tutelare.
Ma la materia è tale da richiedere un approccio meno frivolo e più storico. Nel Novecento, i massimi teorici della classe sono stati Karl Marx e Audrey Hepburn. Il primo ha nobilitato il concetto dando alla classe una funzione socialmente molto dinamica e glamour. Che tuttora, nonostante un Muro crollato e qualche (rarissima) crisi di coscienza, si può definire molto affermata e trendy: ricordiamo che a Milano Pisapia non l’ha votato l’ impacciato Brambilla, ma la crème de la crème radical-chic.
L’immortale Audrey ha fatto di più: da un lato elevando a prototipo supremo la sua squisita eleganza; dall’altro democratizzandola come accessibile a (quasi) tutti, dimostrando cioè che la si può mantenere in perfetta scioltezza anche in jeans e maglietta, magari sgranocchiando uno spuntino per strada. Non tutti, certo, si rivelano all’altezza del modello: giorni fa Adalgisa Porcacci, colf e badante d’indiscussa mole, addentava avidamente la sua bisunta focaccia davanti ai gioiellieri di via della Spiga: ma è stata prontamente allontanata da un’équipe di commessi zelanti e allibiti, tra la perplessa costernazione dei presenti.
Insomma: chi è persona di classe, e chi no? Per stabilirlo con certezza c’è un esperimento sicuro, chiamato «le parole che salgono e scendono». Mi spiego meglio. Prendiamo un leggiadro verso pre-stilnovistico, di rarissima eleganza: Rosa fresca aulentissima (Cielo d’Alcamo), e mettiamolo in bocca a Bossi. Malamente masticato ed emesso con padano alito greve, certamente avrà conservato poco o nulla della sua vaga essenza. Le parole sono scese, è rimasto – appunto – un verso. Operazione opposta: scomodiamo ancora l’ineffabile Audrey, pregandola di recitarci in slang il più greve repertorio di imprecazioni di un portuale newyorkese. Ed ecco che per sublimazione la parola si fa leggera, aerea: verba volant, esperimento riuscito. Volgari o eleganti sono le persone, più dei vocaboli. Un metodo che lascia pochi margini d’incertezza. Qualcuno – non io – sosteneva che un caso dubbio era dato da Loredana Berté. Per fortuna dall’interessata è giunto un chiarimento risolutivo: “non sono una signora.”
La crisi economica, inoltre, sta pesantemente ridimensionando il ceto medio. Il Borghese Superstite – l’unico, in fondo, un po’ sobrio e moderato nello stile – si sente assediato, stretto com’è tra opposte barbarie (gli Unni e gli altri). Da un lato i Suv dei neo ricchi – blindati, funebri: “per stasera mi spingo fino al bar, per il safari si vedrà”; dall’altro la vociante massa folk delle felpe e dei jeans sdruciti:”da scemi più che di sinistra”, avrebbe detto Gaber.
Insidiato da queste nuove oscenità stilistiche – dove il cattivo gusto è molto più doloso e militante di un tempo – il Borghese Sobrio è di fatto un superstite. Come tale è intenzionato a difendere eroicamente il suo repertorio di loden, giacche blu-dignità e congiuntivi, ultima spiaggia o residuato bellico di lontani fasti. Si tratterà ora di rielaborare strategie duttili, capaci di conciliare decoro e ridotto potere d’acquisto. La classe, si dice, non è acqua: ma nemmeno champagne a fiumi. Mi trovo a cena con una bella milanese tardo-yuppy, ipertecnologica (jPad prezioso con pagine gialle di Hong Kong). Dorata, firmatissima, un po’ pacchiana. Mi sento le spalle al muro quando mi chiede di ordinare un Veuve-Cliquot. Vorrei tergiversare, magari azzardando che non è poi appurato che monsieur Cliquot sia davvero deceduto prima della signora: impraticabile. Le chiedo allora se per caso non sia uscita da un film dei fratelli Vanzina. A questo punto è chiarissimo che non me la darà, ma bontà sua incassa e addirittura gratifica di un sorriso hollywoodiano il mio stanco humour inglese. Andrò in bianco, ma con un tocco di classe.
Gian Luca Caffarena
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