Le trote di Scozia


Add to Flipboard Magazine.

scozia-2Mi trovavo a Birmingham, in Inghilterra, insieme con un collega e gli Agenti inglesi per una fiera.

La fiera terminava il venerdì e gli agenti ci riservarono due stanze in un albergo fuori Manchester, con l’impegno che ci sarebbero venuti a prendere il lunedì pomeriggio per visitare un cliente nella zona.

Il posto era gradevole, in mezzo alla campagna, puro stile britannico, ma non c’era nulla con cui distrarsi per due giorni e mezzo! Con il collega, fedele compagno di viaggio per molti anni, ci guardammo in faccia per decidere cosa fare.

Lui non era mai stato in Scozia, io avevo desiderio di tornarci, per me, come genovese, con la Scozia esistono affinità elettive, non per niente la vecchia e gloriosa squadra di calcio “Genoa Cricket & Football Club 1893” è stata fondata da inglesi e il primo campo su cui giocare è stato donato da due scozzesi benemeriti; quindi, alla fine, prendemmo la decisione, saremmo andati in Scozia. Un viaggio che avrei ricordato con grande piacere nel corso degli anni.

Noleggiammo una vettura che ci venne consegnata in albergo, il mio amico si rifiutò subito di guidare perché, secondo lui, in Inghilterra guidavano dalla parte sbagliata! Forte dell’esperienza di guida in Sud Africa, Nuova Zelanda e Australia, mi misi al volante.

Ai primi incroci con svincoli a rotatoria il mio amico si mise un braccio sugli occhi perché li affrontai in velocità, avevo la precedenza. In autostrada mantenni sempre una bella velocità, ma ogni volta che effettuavo un sorpasso! Bisognava vedere l’espressione del viso del mio amico.

Fummo felici di constatare che la polizia del traffico si parcheggiasse sopra i cavalcavia, si poteva avvistare da lontano e diminuire la velocità per tempo.

La meravigliosa campagna inglese scorreva davanti ai nostri occhi e la vista era molto rilassante, la prima tappa fu il paese di “Gretna Green”; dissi al mio compagno di viaggio che era famoso perché il fabbro, per tradizione celebrava i matrimoni, c’era gente che veniva da tutto il mondo a sposarsi.

Il mio amico, solito spiritoso, mi disse: “Perché mi hai portato qui? Mi vuoi sposare?” Gli spiegai che volevo inviare qualche cartolina agli amici in Italia.

Trovai un negozietto gestito da una simpatica vecchietta che, mentre sceglievo le cartoline, mi riempì di domande sulla mia provenienza, quanto mi sarei fermato e così via. In un bar vicino scrissi le cartoline mentre sorseggiavo un fetido caffè.

Ripartimmo alla ventura, senza una meta precisa, ero sempre al volante io, uscii dalla superstrada in direzione di Dumfries, sulla A75, pensando di prendere poi la strada costiera A76. Ci fermammo a Dumfries per un leggero pasto a base di panini e proseguimmo il nostro viaggio. Il paesaggio stava cambiando, alla nostra destra si vedevano già le foreste che si ergevano nel “Galloway Forest Park”.

Il mio collega di viaggio prese a lamentarsi, a chiedermi se avevo intenzione di andare avanti senza riposarmi; decisi di andare alla ventura, sulla destra c’era una strada asfaltata, la imboccai.

Dopo pochi chilometri, la strada ci portò lungo il letto di un fiume non troppo grande che entrava in una bella valle ariosa. Ci fermammo a dare un’occhiata in giro: il posto era bello e il mio amico osservò che se la strada era asfaltata, sicuramente portava in qualche posto importante. Decidemmo di proseguire e dopo qualche chilometro la valle si allargò mentre il fiume entrava in un lago non troppo grande con alcune abitazioni sullo sfondo.

Ci fermammo davanti a un piccolo castello che esibiva di fuori l’insegna di albergo e bar. Le altre piccole case erano abitazioni private.

Scendemmo dalla macchina per andare a bere qualcosa, al bar si accedeva salendo alcuni gradini e sulla porta ci accolse un simpatico uomo sulla settantina in “kilt” che ci chiese cosa volevamo bere.

Considerato il caffè che facevano, optammo per una

tradizionale tazza di thè. Mentre lo gustavamo seduti davanti a una vetrata, l’uomo si avvicinò a chiacchierare, mentre parlava lo osservavo, adoro l’abito tradizionale scozzese, il “kilt” e l’uomo era vestito in stile, notai anche che dalla calza destra gli spuntava il manico dello “Sgian Dubh”, il piccolo pugnale che gli scozzesi portano nella calza.

L’uomo ci spiegò che era un nobile, il castello apparteneva da generazioni alla sua famiglia e che per poter pagare la manutenzione e le tasse l’aveva trasformato in albergo. Ci disse anche che in teoria era chiuso, ma se volevamo ci potevamo fermare, si faceva presto a preparare due stanze e poi la sera, la moglie avrebbe preparato cena. Anzi, se ci piaceva, sarebbe stato onorato di averci a cena con la sua famiglia. La persona era simpatica, allegra, bastò scambiare uno sguardo con il mio collega per decidere che avevamo trovato la nostra meta.

Ci prepararono le stanze dove posammo le valige e poi uscimmo a far due passi.

L’aria cominciava a farsi fresca mentre il sole si abbassava, passeggiammo sulle sponde del lago e notai la grande quantità di trote che si vedevano.

Più tardi, chiesi se si poteva pescare, mi rispose che non era il momento ma, dato che era lui il proprietario della licenza di pesca in quelle acque, ci avrebbe permesso di andare fornendoci anche le canne.

Fu una bella cena, non abbondante ma buona e tanta serenità. I nostri ospiti erano persone molto simpatiche e ci affiatammo subito.

Finita la cena, dopo il caffè, il nostro ospite ci offrì un bicchiere di whisky prodotto da lui, personale, segreto perché le leggi erano come le nostre di una volta, non si poteva produrre la grappa in casa.

Buonissimo! C’invitò a visitare le cantine, con antiche botti lungo la stanza. Ci spiegò come veniva prodotto il whisky, molto interessante.

Il lettone era comodissimo e sprofondai in un sonno veramente riposante, forse coadiuvato dal whisky ingurgitato.

Al mattino, dopo una bella colazione, il nostro ospite ci consegnò due canne per la pesca con la mosca, ma fu dispiaciuto di non poterci fornire anche gli stivali, quelli che aveva erano di numeri più piccoli. Ridacchiando, mi porse una bottiglia del suo whisky dicendo che l’acqua era fredda e quindi mi sarei riscaldato con quello.

Decidemmo che forse il fiume era più pescoso del lago e risalimmo un paio di chilometri. Il mio amico tastò l’acqua con la mano e disse che era troppo fredda per lui, avrebbe pescato dalla riva.

Mi tolsi le scarpe e mi arrotolai i calzoni fino a sopra il ginocchio, entrai in acqua e incominciai a frustare l’aria con la lenza per lanciare la mosca. Velocemente nelle gambe calò la temperatura, sentivo freddo, il mio amico mi porse la bottiglia di whisky e bevvi una bella sorsata. I primi lanci furono vani, stavo quasi perdendo la speranza quando agganciai una trota, bellissima, combattiva, la posai sulla riva ancora con l’amo agganciato al labbro. Naturalmente provvidi a non farla soffrire subito. Era circa mezzo chilo.

Nell’arco di un’ora ne catturai altre quattro di cui una veramente grande; ne ributtai nel fiume anche di piccole. Ormai le gambe si erano congelate fino al ginocchio, avevo quasi difficoltà nel camminare e il mio amico mi aiutò a uscire dall’acqua.

Ritornammo trionfanti al castello, la padrona fu felice e disse che le avrebbe cucinate per la sera, se avevamo ancora piacere di cenare con loro.

Fu un’altra simpatica cena, tra grandi risate e bevute; dopocena, ci sedemmo in un angola della sala, con il camino acceso e ci fu servito del grandioso “Irish whisky” fatto con panna proveniente dal bestiame di loro proprietà. Come sorpresa il padrone di casa ci deliziò con alcune musiche suonate con la cornamusa.

Purtroppo non saprei tornare in quel posto, non c’erano cartelli stradali e non eravamo interessati a ricordarci il luogo. Così finì la nostra vacanza in Scozia.

Mi ricordo un altro viaggio, nelle Highlands, il sabato decisi di andare a fare una camminata sui magnifici monti, imboccai una strada in terra battuta che s’inerpicava tra i monti, protetta da muretti in pietra, come quelli che vediamo a volte nei nostri posti in campagna.

Camminai per un’oretta, il tempo era abbastanza buono, a parte qualche nuvola lontana, il posto era incantevole. A un tratto arrivò un banco di nebbia che rese ovattati i pochi rumori, decisi di proseguire, con i muretti in pietra era impossibile smarrirsi.

A un tratto, dalla nebbia, uscì un suono di cornamusa, sempre più forte. Riconobbi il motivo, era l’inno scozzese, “Scotland the Brave”. Da una curva davanti a me sbucò un soldato in “kilt” che suonava la cornamusa, era seguito da un altro che portava la bandiera con la “Croce di S.Andrea”, poi c’era l’ufficiale e dopo la truppa, in formazione. Erano le “Black Guards” della Regina, un battaglione che tornava da qualche esercitazione. Mi feci di lato, la strada era stretta e quando la bandiera era quasi alla mia altezza mi tolsi il cappello. Salutai il comandante con le poche parole in gaelico che conoscevo “Slan na Gael”. L’ufficiale sorrise, mi salutò militarmente, la bandiera s’abbassò nel saluto e la truppa mi presentò le armi marciando.

Era una scena irreale, con il suono della cornamusa che invitava alla marcia e si allontanava man mano.

Tornai indietro, era quasi un sogno….ecco perché amo la Scozia, è un posto fiabesco, dove la storia viene respirata con l’aria o bevuta con “l’acqua di vita”, il whisky.

Sandro Emanuelli

 



Devi essere registrato per inviare un commento Entra o registrati