Storie di vita. Le triglie di Algeri


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ALGERINegli anni ’70, per tre anni passai molto tempo in Algeria, l’Azienda dov’ero impiegato aveva un ufficio ad Algeri e in altre capitali dell’Africa mediterranea.

La sanguinosa guerra con la Francia si era conclusa nel 1962 e l’Algeria si leccava le ferite ed era intensamente impegnata nella ricostruzione.

La città di Algeri assomigliava, a quel tempo, molto alla mia Genova, la strada principale lungo il mare, chiamata “moutonnière”, perché ci transitavano greggi di montoni, era una copia di Corso Italia.

Si trovava ancora le cucina francese, un ottimo vino locale, rosso e rosato, e la vendita, come a Napoli, di spiedini di pesce per strada.

Un collega algerino, sposato con una signora francese, m’invitava spesso al capanno che avevano alla spiaggia. Andavamo a pescare con la barca: con la lenza alla traina, l’amo d’acciaio senza esca, illuminato dal sole, lampeggiava e ci faceva pescare delle triglie di tre/quattro etti, buonissime se grigliate; oppure facevamo pesca subacquea, qualche polpo per antipasto lo prendevamo sempre.

Dormivo in ufficio, dove c’era una stanza per gli ospiti e una sera, mentre rientravo, mi successe un fattaccio. Nel pomeriggio, ero stato a discutere al Ministero dell’Aeronautica per una fornitura e terminai piuttosto tardi. Non c’era nessun taxi in giro per cui, con la borsa abbastanza pesante, decisi di prendere la strada più corta che attraversava la “casbah”. Sapevo che poteva essere pericoloso, ma ci andavo spesso di giorno con un collega e non era mai successo niente.

In un vicolo stretto, apparve un arabo più basso di me, con il mantello dal cappuccio alzato, che sfilò un pugnale ricurvo dalla cintola e mi punzecchiò il collo, sotto il mento, chiedendo borsa, portafoglio, orologio e catenina.

Ero sorpreso, impaurito, ma il mio carattere, che mi dà lucidità nel pericolo, mi fece venire in mente l’addestramento militare: con le due mani gli presi il polso della mano armata, gli girai il braccio verso l’alto, lo disarmai, gli sfilai il fodero del pugnale dalla fascia e, poggiando il gomito dietro la sua spalla, diedi uno strattone verso l’alto, rompendogli l’articolazione del gomito.

Mollò un forte urlo e fuggì, con il braccio penzoloni; raccolsi e rinfoderai il pugnale e mi affrettai per tornare a casa. Il giorno dopo, mostrai il pugnale al collega algerino, che mi disse che ero pazzo incosciente. Avrei dovuto telefonare a lui che sarebbe venuto a prendermi in macchina.

Ho ancora il pugnale con il fodero, è un bel trofeo, ma a volte la notte mi sveglio risentendo l’urlo del disgraziato….

Mi piaceva l’Algeria e viaggiavo molto nel Paese, incontrai gli “uomini blu”, i Tuareg, armati fino ai denti, quasi m’innamorai della foto di una loro regina, che vidi al museo del Bardo.

Ci furono nel 1975 i “Giochi del Mediterraneo” : andai da solo allo stadio, con la 500 targata Genova, con la vecchia targa nera che poteva essere confusa con una targa francese, per assistere alla finale tra Francia e l’Algeria, vinse l’Algeria 2 a 0. Figurarsi, scoppio l’odio accantonato dagli algerini contro gli europei. Incominciarono a rovesciare le macchine straniere, ebbi paura, ma la risolsi: caricai in macchina due facinorosi algerini con bandiera e apersi il tettuccio della 500, poi, con la mano sul clacson, mi defilai dalla folla urlante.

Questa storia dei Giochi ha un seguito: la mia azienda aveva fornito le medaglie e coppe per i Giochi, ma ne avevamo fatto una copia da esporre alla Fiera Campionaria che si era aperta in quei giorni.

Passavo molto tempo alla Fiera, un giorno venni avvertito che nel pomeriggio sarebbe passato il Presidente Boumedienne in visita al Padiglione Italiano. Arrivò per tempo il nostro Ambasciatore, arrivò la Guardia del Presidente che fece uscire tutti gli algerini e arrivò il Presidente. Si fermò al nostro “stand”, forse attratto dalle medaglie in mostra e mi chiese se le avevamo fornite noi. Gli risposi affermativamente e aggiunsi che le riportavamo a casa, visto che l’Italia aveva vinto molte gare. Mi arrivò un calcio in uno stinco dall’Ambasciatore. Il Presidente mi guardò con quegli occhi che facevano paura, poi scoppiò a ridere, mi diede due pacche sulle spalle e disse: “Ah! Les italiens, toujours de bonne humeur!” Più tardi, a cena, l’Ambasciatore mi disse che il Presidente Boumedienne era considerato un fanatico pazzoide; l’anno precedente aveva parlato all’ONU e aveva predetto l’invasione d’Europa da parte dell’Islam non con i soldati, ma “con il ventre delle donne”! Ad Algeri, nel quartiere di El Harrach, c’era un carcere di massima sicurezza, dicevano che ci mandavano i nemici del Presidente e che mai nessuno era uscito vivo. Ho visto con i miei occhi la gente attraversare la strada per non passare sul marciapiedi davanti alla porta.

L’Algeria era per me una continua sorpresa, tutte le mattine leggevo il giornale “Al Mougjahid” in francese, un giorno lessi della morte di quattro bagnini “che dormivano sulla spiaggia” in un quartiere signorile alla periferia della città.

Uno dei miei colleghi abitava in quel quartiere, investigai e venne fuori la storia. Il quartiere era invaso da “mosquitos”, allora alcuni abitanti di alto livello protestarono con l’Autorità chiedendo di fare una disinfestazione. Attivissimo il Governo, che l’indomani inviò due aerei piccoli che a bassa quota spruzzarono il DDT. Gli abitanti europei furono veloci a infilarsi in casa e a chiudere le finestre, ma quattro bagnini, che dormicchiavano sulla spiaggia, furono ben irrorati….Ma i “mosquitos” scomparvero….

Andavo spesso a Orano, i primi tempi in aereo, poi decisi che andare in macchina mi divertiva di più ed era meno rischioso, ma dopo il primo viaggio cambiai albergo. In quello lussuoso, consigliatomi, trovai che nel bagno le piastrelle e i sanitari erano di colore marrone scuro striato, l’odore si accordava al colore.

Per fortuna nella stanza c’erano le seggiole con la parte centrale impagliata, sfilai la parte centrale ed ebbi il supporto per la doccia e il gabinetto!

Avrei da scrivere ancora molte cose sull’Algeria, i fanatici islamici non erano ancora venuti fuori e sembrava di vivere in Francia, sulla Costa Azzurra. Si sentiva però una comunistizzazione dei giovani, soprattutto quelli che studiavano.

Per me era anche interessante parlare con quelli che avevano combattuto, odiavano l’OAS del Generale Salan che capeggiava i favorevoli a un’Algeria francese e basava la sua politica su assassinii e attentati, mi raccontarono dettagli che non oso riportare. Ma sentii anche l’altra campana, quelli favorevoli alla Francia.

L’Algeria fu il primo Paese arabo che conobbi abbastanza a fondo, poi nel corso di 35 anni li visitai quasi tutti, ma l’Algeria mi è restata un poco nel cuore, forse perché assomiglia tanto alla mia Genova.

Sandro Emanuelli



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