Storie di vita. In Tunisia: le rovine di Cartagine e il deserto


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TUNISIAMi recai la prima volta a Tunisi nel 1980, dovevo trattare con l’Ente Porto la vendita di una gru semovente per containers, essendo una cifra notevole, la trattativa veniva portata avanti dal Ministro della Marina.

Trovai nel Ministro una persona molto abile e intelligente, ma anche cortese; nel secondo incontro cercò di farmi pressioni sul prezzo, ma gli dissi che non potevo accettare le sue condizioni, lo salutai e mi diressi verso la porta, il nostro agente era allibito, ma gli dissi di stare tranquillo, prima che toccassi la maniglia della porta mi avrebbe richiamato perché avevano bisogno di quelle macchine, così fu.

Dopo aver firmato il contratto, m’invitò a pranzo in un bel ristorante, “Le Pêcheur”, nella “Baie des Singes”, non lontana dalle rovine di Cartagine. Mi spiegò che era una sua iniziativa: aveva fatto costruire un pontile per l’attracco dei pescherecci e tutto il pescato veniva fornito al ristorante che così aveva pesce fresco. Tutto era gestito da una cooperativa composta da diverse famiglie. Veramente un’ottima idea, gli feci le mie congratulazioni.

Più tardi, dopo un paio di mesi, il Ministro venne a Genova e lo accompagnai in macchina a Nizza, in casa di una famiglia di armatori, amici suoi, che mi fecero una cordialissima accoglienza.

Tornando alla Tunisia, la prima volta fui ospite a Tunisi in un albergo molto originale, costruito vicino alla laguna a forma di triangolo rovesciato, con la cuspide in basso e la base in alto. Era panoramico, ma quando spirava il libeccio, che con le sue onde impediva il ricambio delle acque della laguna, l’aria s’impregnava di un odore pestilenziale perché tutti gli scarichi delle fogne della città finivano in laguna, che si alzava di livello e tutta l’acqua maleodorante si gettava in città arrivando sino ai gradini dell’albergo!

Giunsi a Tunisi dopo aver visitato tutti i Paesi arabi per anni e notai subito le differenze nelle persone: per la prima e unica volta fui invitato a una cena in casa di un cliente e le donne di famiglia furono ammesse a tavola con noi, anche se si servivano dopo gli uomini! Poi la città era piena di pederasti che non celavano nemmeno le loro tendenze e i bar, come tutti i Paesi arabi, erano affollati di uomini nullafacenti. La cucina era ottima: il “couscous” con il pesce era fantastico e gli spiedini anche e si poteva bere pure il vino: erano i risultati delle occupazioni francesi e della vicinanza italiana.

A venti chilometri a nord di Tunisi, vicino alle rovine di Cartagine, c’è il lindo villaggio di Sidi Bou Said, una splendida bicromia di bianco e azzurro che si affaccia sul Mediterraneo, meta di tutti i turisti.

Sono sempre stato attirato dalle rovine delle antiche città, a Troia e a Masada ho passato delle ore a cercare d’immaginare la vita prima che la città venisse distrutta.

A Cartagine, città cosmopolita fondata dai Fenici, il commercio era la principale occupazione e anche per questo disturbava il commercio di Roma. Era anche una città di cultura, il nostro Sant’Agostino, che poi divenne Padre e Dottore della Chiesa, a 16 anni studiava a Cartagine con un retore, ma era un poco vivace, tanto che conviveva con una ragazza che gli diede anche un figlio. Poi cambiò strada…

Cartagine soccombette alla potenza di Roma, pur avendo dei grandi generali: Annibale e Asdrubale. Annibale invase l’Italia valicando le Alpi con gli elefanti, un’impresa che ancora oggi è degna di rispetto dal punto di vista militare.

Il nome di Cartagine si è tramandato nella storia a causa della famosa frase pronunciata da Cicerone di fronte al Senato romano: “Carthago delenda est!” (Cartagine dev’essere distrutta!).

Avendo un cliente molto a Sud, a Zarzis, quasi al confine con la Libia, decisi di recarmi in laggiù in macchina, fermandomi sulla strada per visitare altri clienti. Per una volta decisi di viaggiare solo, era il periodo del Ramadan e l’agente era andato con la famiglia in pellegrinaggio alla Mecca. Pur non parlando l’arabo, ero in grado di farmi capire, inoltre con tutti i turisti che visitavano il Paese, c’era sempre qualcuno in grado di esprimersi in francese, inglese, spagnolo o italiano.

Prima tappa Hammamet, il nostro politico Bettino Craxi non si era ancora esiliato in quella cittadina, linda e accogliente. Trovai posto in un albergo in riva al mare, essendo il mese del Ramadan mancavano tutti i turisti arabi, per cui era facile trovare una stanza per dormire. Qui successe un fatto divertente: ero l’unico cliente in sala da pranzo e c’era anche un pianista, tutto vestito di bianco che suonava. Appena fui seduto il pianista suonò la canzone genovese “Ma se ghe pensu”, girando la testa e sorridendo guardandomi. Quando terminai il rapido pasto, il pianista si alzò e venne al mio tavolo, chiedendomi il permesso di sedersi. Annuii e lui mi disse di essere italiano come me, viveva con un “compagno” tunisino da un paio d’anni e che era giù di morale perché era il suo compleanno ma aveva litigato con il “compagno” e così era solo. Si mise a piangere! Vedere un uomo giovane singhiozzare, anche se vestito in modo quasi femminile e che aveva dei movimenti decisamente da donna, mi fece molta pena, cercai di tirarlo su.

Chiamai il cameriere e ordinai una bottiglia di spumante per brindare al suo compleanno, il bel tomo si alzò, mi abbracciò e m’invitò ad andarla a bere in casa sua. Naturalmente non accettai, ne bevvi un bicchiere e me ne andai a dormire……

Il giorno dopo andai a visitare un cliente e, con la scusa del digiuno, ripresi il viaggio velocemente.

La strada era bella e si poteva andare veloci, mi mossi in direzione di Sousse dove arrivai nel pomeriggio, ormai era una prassi programmata, il mio modo di viaggiare, riuscivo quasi a non stancarmi. Il clima era ottimo, non era ancora arrivato il calore estivo.

Anche a Sousse visitai un cliente e poi di nuovo sulla strada, in direzione di Sfax. Non mi è mai dispiaciuto viaggiare nel deserto, lo sguardo corre lontano e ogni tanto si vede un palmizio o dei dromedari spostarsi in piccoli gruppi. C’è anche pochissimo traffico, soprattutto durante il Ramadan, ciò non toglie che un camion cisterna che procedeva verso di me ad alta velocità, occupando tutta la sede stradale, mi obbligò a uscire di strada a 100 Km/h e finire nella sabbia che fortunatamente era compatta e, innestando le 4 ruote motrici, potei uscirne fuori. Il disgraziato non si fermò nemmeno.

Finalmente arrivai a Sfax, una città portuale come altre, non mi riuscì andare a fare un tuffo in mare, ma l’albergo aveva una bella piscina. Mi fermai tre giorni a lavorare, c’era una trattativa importante e volevo portarla avanti. Il clima era ottimo e le persone con cui trattavo veramente gentili, non si stava male, sempre considerando che eravamo nel Ramadan. Venne il momento di partire; erano giorni che viaggiavo e lavoravo e decisi di riposarmi un paio di giorni, Invece di continuare il viaggio verso sud lungo la costa, mi diressi nel deserto per raggiungere Nephtah o anche Naftah, un’oasi ai margini del Sahara, al confine con l’Algeria, la seconda città religiosa più importante dopo Kairouan, una delle culle del Sufismo. Una zona molto interessante che si chiama “Bled el Djerid” (terra delle palme), una macroregione che comprende i territori di tre Stati: Algeria, Libia e Tunisia.

Passai un paio di giorni tranquilli, vagando tra le case costruite a cubo, tetto piatto, molte avevano delle colonne che formavano arcate sul tetto, su cui camminavano rampicanti. Un imam, con cui chiacchierai e mi fece visitare la moschea, mi disse che c’erano 24 moschee, ma, intorno all’anno mille, ne esistevano più di cento.

L’albergo in cui mi trovavo, aveva del personale molto gentile, erano disposti a far lavorare il cuoco per prepararmi il pasto di mezzogiorno, ma io li feci felici dicendo che avrei onorato il Ramadan anch’io, con la sola deroga che, non essendo abituato, avrei bevuto, ma solo acqua.

Alla sera m’invitarono a cena con loro, piatti tradizionali e molto gustosi e una compagnia molto simpatica.

Ripartii il giorno dopo, sempre attraversando il deserto, che in quell’area era il Grand’Erg, diretto al

“Jebil National Park”, un’area controllata e protetta in cui esistevano dei graffiti antichissimi e anche ricordi della Guerra Mondiale.

Un “ranger” mi portò in giro cercando di mostrarmi gli animali che esistevano: vidi il “fenech” la volpe del deserto, delle gazzelle e vari dromedari e una vipera cornuta, vidi anche molte “rose del deserto” che erano in vendita anche alla Direzione.

Lasciai il parco e mi diressi nel deserto verso est, dopo qualche ora di guida, raggiunsi la città di Tataoune, una città nel deserto e da lì mi diressi verso la destinazione finale, verso il mare, a Zarzis.

Il cliente mi aspettava impaziente, una persona molto simpatica che mi sistemò subito in un albergo in riva al mare. Era una zona balneare ma non ancora toccato dal turismo di massa, trovai interessanti i “souk”, i mercati arabi.

Un giorno bastò per esaurire le discussioni di lavoro, poi il cliente, molto gentilmente, mi portò a visitare l’isola di Djerba, poco distante, nel Golfo di Gabes, non immaginando che l’avevo preventivata come prima tappa al ritorno.

Ero molto interessato a visitarla perché è un’isola con tanta storia, è stata anche posseduta dal Regno delle Due Sicilie, dagli Aragonesi, è stata meta di un assalto da parte di Andrea Doria per distruggere i pirati, vi è un’antica sinagoga ed è anche la sede di una setta islamica, la “kharigita ibadita” e inoltre nell’isola si parla il berbero. Esiste anche un ponte romano.

Il turismo è molto diffuso, le spiagge sono splendide e attrezzate. La visita purtroppo fu breve, ma soddisfacente, avevo un buon cicerone.

L’indomani dovetti ripartire, avevo già speso troppo tempo in Tunisia, che era per la maggior parte deserto. Sostai due volte ma questa volta presi la strada litoranea, senza addentrarmi di nuovo nel deserto, che mi ha sempre attirato per il suo clima secco e questa mia passione mi ha portato a visitare quasi tutti i deserti del mondo.

Avevo concluso un ordine, per cui mi sentivo soddisfatto, riuscii a vedere da lontano, quasi al confine con l’Algeria, vicino alla città di Annaba, l’isola di Tabarka, dove avevano lavorato i pescatori pegliesi che avrebbero poi fondato Carloforte, la cittadina dove abito nell’isola di S.Pietro, nel sud-ovest della Sardegna.

Partendo col traghetto da Tunisi, di tutto il viaggio mi tornava in mente una cosa: gli occhi spaventati della volpe del deserto che si sentiva scoperta…

Sandro Emanuelli



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