Un famoso violinista che convive con un’artista di pari fama comincia a essere disattento, scontroso, assente dal menage della coppia. La donna si insospettisce per tutta una serie di appuntamenti del partner che sembrano fatti apposta per schivare i suoi obblighi verso la compagna. Finché non decide di affidarsi ad un team di investigatori che cominciano a seguire l’uomo ovunque. Quelli che erano improcrastinabili impegni di lavoro e di carriera musicale cominciano a rivelarsi incontri galanti con una splendida bionda dell’Europa dell’est con la quale va a cene romantiche, si immerge nelle acque rilassanti di saune vip, partecipa a concerti e prime teatrali. Altro che prove, firme di contratti e breafing col manager. Siamo nel pieno di una vera e propria tresca, di una vita parallela perfettamente travestita da integrità professionale. Quando i detective riportano la scottante verità alla donna tradita, scatta l’operazione finale dell’abbordaggio al fedifrago che viene smascherato in flagrante sotto un fuoco di fila di obbiettivi fotografici e troupe d’assalto, con la convivente che chiede spiegazioni fra rabbia e disperazione.
Quello che sembra a tutta prima un classico caso di infedeltà coniugale da tenere al riparo da pettegolezzi e indiscrezioni, è invece il set naturale di Cheaters, un format trasmesso in Italia su Sky Uno che negli Stati Uniti è un’autentica garanzia anti-corna, una sorta di Striscia dei cuori infranti passati al setaccio di zoom a infrarossi, pedinamenti e apparecchiature di intercettazione. E tutto questo, con malizia da 007, viene registrato nelle settimane precedenti, prima dell’exploit finale, dove l’occasionale portatore di corna ha la possibilità, in diretta tv, di dare libero sfogo, o quasi, al livore represso o alle lacrime più sconsolate di fronte al marito, alla moglie, alla fidanzata che ha cercato altri “lidi” per divertirsi, a braccetto con l’amante. Ma la cosa che colpisce di un format scaccia crisi come questo non è tanto il dispendio tecnologico e le indagini su commissione che riportano alla luce ciò che covava nell’ombra del dissapore matrimoniale e delle paranoie personali, quanto la lucida fermezza con la quale il conduttore Joey Greco capeggia il blitz decisivo per inchiodare alle sue oggettive responsabilità colui o colei che ha umiliato il patto d’amore. Quando Greco, espressione impenetrabile e imperturbabile, abito nero, leggermente a lutto, da guru della perfidia umana svelata, fronteggia il “cheater” (che in inglese significa più che altro “imbroglione”, chi usa trucchi per alterare le regole del gioco), va dritto alla morale ferita senza giri di parole: perché hai tradito tizio? Perché non glielo hai mai detto? Perché non sei stato sincero? Che ci fai qui con questa? Da quanto tempo va avanti la vostra storia? Lo sai che quello che hai fatto è una cosa vergognosa? Lo sai che lei (o lui a seconda dei casi) ti voleva bene davvero e ti ha sempre rispettato? Hai mai pensato alla sorte dei vostri figli? E così via, senza quel vortice di camuffamenti, infingimenti, torsioni linguistiche e protagonismi cinici e beffardi da reality sub-popolare che scambiano lo spettatore di un programma televisivo per una discarica di elementi, visivi e comportamentali, inquinati alla fonte, pilotati per colpire l’attenzione, aggrovigliati in logiche che spesso ci sfuggono. No, qui si assiste ad una gradevole riconciliazione col principio di realtà, ad una morale che diventa, una volta tanto, evidenza fattuale, messaggio ordinario, solidarietà istantanea col malcapitato. Ci saranno pure manifestazioni di dolore e tribolazione, scenette volgarotte e violente contro il legittimo consorte o i cameramen che riprendono impietosamente, si assisterà senz’altro agli scatti d’ira di chi si vede all’improvviso imputato sotto i riflettori, in una tranquilla “seratina” di menzogne e piaceri, ci sarà pure un gusto voyeuristico per le disgrazie altrui, per i sogni sporcati, le sicurezze familiari violate, ma la traccia che lasciano le “missioni” dello staff di Greco è penetrante, non scivola, ti resta dentro perché si fonda sul valore negato e riconquistato in pochi attimi televisivi, anche se lo sfascio di un sentimento è irrecuperabile. E allora tutto è come se ritrovasse un senso: le inquadrature più sfacciate, la richiesta di aiuto di chi teme il danno, l’operatività da servizi segreti, l’accensione finale delle luci dello spettacolo “socializzato” su qualcosa che non si doveva fare, su una vittima innocente che non doveva soffrire. Punto. Fatto e detto. Nessun calcolo, disinformazione, promozione commerciale, comunicazione politica, pròtesi di felicità: le nècrosi tipiche del nostro normale tele-Impero che della confusione e del sovvertimento razionale fa le sue armi assassine. Solo una verità che tutti, intersoggettivamente, percepiamo come tale.
Carmine Castoro