SplashTv. Il cubo dei miracoli: lo SchermoLavatrice


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Può sembrare strano, inverosimile, una provocazione surrealista, eppure, a pensarci bene, è proprio così. Mai come in quest’epoca lo schermo e la lavatrice rappresentano due tecnologie del tutto simili, perfino sovrapponibili per modalità d’uso, design industriale, finalità operative. E dire che, parlando di televisione e televisori, siamo abituati ad associarli ad altri insopprimibili sussidi domestici presi dal mondo elettronico: internet, pc, lettori dvd, i-phone in testa a tutti quei supporti che, senza fatica muscolare, ci mettono in rapporto con persone in tutto il mondo, ci danno la suggestione della contemporaneità ad ogni evento, della convivenza con ogni abitante, ci inondano di informazioni “utili”, velocizzano relazioni e richieste che avanziamo verso l’ambiente circostante. Così, con un guizzo del telecomando, non molti euro di spesa, un comodo divano e un po’ di pulsanti schiacciati, il nostro universo del visibile e del pensabile si allarga a dismisura, ci offre tentacoli immaginari, sembra garantirci il controllo su ogni tipo di messaggio. Ma a soffermarsi bene, non è proprio così. Nel senso che piattaforme digitali e parabole c’entrano poco (o solo in un secondo momento) con la semplice, magica operazione  del “lanciare un segnale” ad uno schermo ultrapiatto che troneggia nel salotto di casa nostra con i suoi pixel più reali del reale.

Quale sarebbe, invece, il vero meccanismo che “accende” la tivù? Lo stesso adottato dalla lavatrice  con camicie, maglioni e pedalini. Lavare. Pulire. Riprendere candore. Cancellare lo sporco, ogni negatività. Ridare profumo a ciò che insolentiva le nostre narici. Ridare una indossabilità a ciò che, nel gioco delle apparenze, poteva cambiare il giudizio degli altri su di noi. Portare lo splendore dell’igiene laddove c’erano solo macchie maleodoranti e le tracce di un passaggio di vita che suda, respira, palpita, freme. Ripristinare un’essenza, un’innocenza incontaminata laddove la pelle, la persona, il fisiologico rischiavano di prendere un po’ troppo il sopravvento. Esattamente lo stesso di quello che con la nostra vita, la nostra anima fa la televisione come sistema dell’immagine e della parola “parlata” senza di noi attraverso un apparecchio, una consolle, un “cubo dei miracoli” che ci aspetta ogni giorno fra gli arredi di casa.

Sfibrare i tessuti. Candeggiare. Usurare con la chimica dei detergenti. Scolorire. Sbiancare. Stingere. Anche questo può fare la lavatrice con i capi che andiamo a trattare. E anche questo fa la televisione con le nostre individualità, con i nostri modelli di pensiero, con le nostre abitudini, i nostri valori. Sprofondandoli verso un indistinto nitore che brilla di una luce accecante.

Sì, è proprio così, l’elettronica c’entra poco. Se “accendo” la televisione mi scatta immediatamente l’immagine di un cestello che comincia a prendere movimento, vibrando sempre più forte, sempre più forte, che centrifuga, agita, rimescola biancheria e polveri azzurrognole, mutande ed enzimi, pantaloni e perborati vari in una schiuma tensioattiva che alla fine del “frullato” ci ridà tutto in perfetto ordine, scrostato, asciugato, pronto per l’uso. Senza rischi per l’olfatto e per la mente. E se lo spettatore medio è come l’”uomo in ammollo” degli anni ’70, l’oblìo dell’essere si è finalmente conquistato il suo oblò da dove immettere i composti che hanno, forse definitivamente, emulsionato le nostre coscienze…

Da molti anni, in effetti, la televisione gode (o, forse, sarebbe meglio dire soffre) di una sorta di “extraterritorialità” rispetto ad un approccio critico e filosofico. Se ne parla solo in termini di intrattenimento, gossip, retroscena politico-affaristici, divismi di cartapesta, informazione quotidiana, vengono recensiti i programmi nelle rubriche dei giornali e si commentano look e carriere di chi la fa. Null’altro. Senza mai metterla su un banco degli imputati, senza mai volerne capire fino in fondo gli effetti profondi e inautentici che esercita dentro ognuno di noi (non solo nei comportamenti di talune “fasce a rischio”), senza che appaia mai come materia di dibattito politico, di campagna elettorale, di interrogazione parlamentare (se non in casi gravi ed eccezionali), come bersaglio di un manifesto intellettuale, di una qualsivoglia forma di autodifesa collettiva da quello che propina e da chi, dietro le quinte o davanti alle telecamere, plasma e sincronizza il nostro consenso.

E non è una sciocca demonizzazione, nostalgica e retrospettiva. Stiamo dimenticando troppo spesso che la tv è il “regno delle immagini”, una fiaba soave e sviante che intrappola costantemente, quotidianamente la nostra struttura antropica più generale, una macchina che “produce” la nostra realtà ogni giorno, facendo penetrare nelle nostre menti valori, incantesimi, abitudini, modelli di riferimento e di giudizio, ideologie striscianti, spinte al consumo, finanche un nuovo modo di “sentire” e percepire le cose col nostro corpo. Ma forse è ancora di più. Come hanno preconizzato anche tanti illustri pensatori, è l’intero Apparato delle tecnologie a presentarsi oggi come un’immane opera di de-soggettivazione dove è quasi impossibile rintracciare cause, responsabilità, scenari normativi, prospettive etiche, finanche forme identitarie.

L’antidoto a tutto ciò? Ci servono autopsie dell’immaginario, per dare ancora un senso alla nostra corporeità agitata e fremente ma anche passiva e cadaverizzata, a quel quid materico e sensibile che ancora siamo, ma in perdita e in fibrillazione di fronte alle fascinazioni televisive che ci magnetizzano quasi liberandoci dalle angosce di ogni giorno, come se fossimo in una favola o in un progetto di salvezza. Serve ritrovare come su un tavolo settorio, come in una “scena del crimine” televisivo, il biologico che è in noi, il biologico che è in “loro”, gli dei dell’Olimpo della Comunicazione e dell’Intrattenimento; un andar-pensando, un percorrere la linea sempre più trascinante e suggestiva di quell’inquietudine che ci appartiene metafisicamente e che, mai come oggi, ha l’onere e il dovere di cambiare “frequenze” e “sintonia” al nostro corpo e alla nostra anima.

Carmine Castoro



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