Fari di Sicilia. Storie e leggende di Marettimo, Punta Libeccio


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1A 7 km dalla costa occidentale della Sicilia, tra Marsala e Trapani, nel blu intenso del mediterraneo, affiora l’arcipelago delle Egadi che comprende Favignana, Levanzo e Marettimo. Storie e leggende avvolgono la vita di queste isole, degli abitanti e di quei meravigliosi fabbricati che per più di un secolo e mezzo sono stati i guardiani del mare.

Il faro di Punta Libeccio, costruito nel 1860.  è posizionato sulla costa sud dell’isola di Marettimo, la più selvaggia delle tre Isole Egadi, su un promontorio a 24 metri sul livello del mare. Iscritto al registro dei fari al n. 3112 è alto 50 metri, realizzato completamente in pietra ha una torre ottagonale. Dal 1955 la sua lanterna è dotata di Lenti di Fresnel di prima classe, di fabbricazione svedese, rendendolo di fatto il secondo faro d’Italia per importanza dopo la Lanterna di Genova. nozze-c-grandinettiIl Faro ha una portata luminosa di 36 miglia, la sua luce arriva ad intrecciarsi con quella del faro di Capo Bono in Tunisia.  Preziose testimonianze ci riportano avvenimenti straordinari come quella di Enrico Mario Aristogitone Palumbo Grandinetti, che prestava servizio in Marina col grado di nostromo alla Capitaneria di Porto di Trapani e poi, intorno al 1942, fu destinato al segnalamento marittimo di Punta Libeccio sull’isola di Marettimo, dove si innamorò di una bellissima isolana e si sposò.

Vita non facile per chi come lui aveva a che fare con il periodo della seconda guerra mondiale, quando si avvicinava lo sbarco degli americani, ed essendo questi allora dichiarati nemici, i tedeschi fecero di tutto per ostacolarli.

A quel punto della guerra, Enrico  ebbe l’ordine di eliminare anche il faro, facendolo saltare con l’esplosivo, essendo un riferimento fondamentale per il nemico. Così arrivarono da Trapani 250 kg di tritolo che fu scaricato sotto le impervie coste sottostanti al faro e collocato nelle adiacenze, proprio perché con la deflagrazione nulla sopravvivesse. 2Mentre i militari si allontanavano per scongiurare il peggio per i propri uomini,  rimasero a fronteggiare la situazione il nostro eroe e l’artificiere che constatò l’impossibilità di mettersi in salvo perché la miccia era troppo corta. Così Enrico entrò nel faro, prese una tronchesina e tranciò una parte della miccia per fermare la combustione. Però gli ordini non potevano essere trasgrediti, altrimenti si sarebbe trattato di tradimento da corte marziale, così lanciò una bomba a mano verso la zona minata lungo la scogliera che causò una forte esplosione . I due eroi furono accolti in paese con grande esultanza, accertato lo scampato pericolo. Il faro di Punta Libeccio, tanto conteso oggi dai marettimari, esiste per merito suo.

4Nel 1968 arrivò un certo Ventura al Faro di Punta Libeccio, a Marettimo proprio dove nacque.  Dopo svariate avventure e malanni che determinarono il congedo dalla Marina, Ventura diventò il nuovo guardiano. Qualcuno affermò “Trovata Marettimo, ritrovi te stesso” proprio perché già l’isola in sé è particolare, quieta, silenziosa e gli unici rumori sono dati dall’infrangersi delle onde sugli scogli, il sibilo del vento e gli strilli rauchi dei gabbiani. Ventura capì subito che quella era la sua vita e amò il faro tanto da entrarne in simbiosi.  Si sposò e visse nel faro con la moglie,  un altro farista, suo sottoposto, anch’egli con la famiglia.

Al calar del sole accendeva la lanterna e poi andava a dormire tranquillo dopo aver messo a punto gli allarmi in caso di mal funzionamento.   Di giorno  puliva, lucidava, riparava, non c’èra lavoro che Ventura non sapesse fare. Quella era la sua casa e Ventura ci viveva felice, immerso nella natura, tra la montagna e l’infinito blu del mare. Tutto questo durò 18 anni, poi il Faro venne automatizzato e la presenza costante di un Farista non era più necessaria, così lui e la moglie si trasferirono in paese, a Marettimo, a 9 chilometri dal Faro, e ogni due giorni, su una campagnola, Ventura affrontava la strada dissestata e le strette curve che  portavano alla magica lanterna.

f03415e4-6753-4987-b010-0ca26d6e7a253112_7Pare che Ventura avesse avuto molte manifestazioni di  “presenze”misteriose. Durante la Seconda Guerra Mondiale nello stretto di Sicilia ci furono cruenti  battaglie navali, così che sugli scogli di Marettimo non c’era giorno che non si trovasse il corpo di qualche marinaio morto negli scontri. La gente di mare sa che  chi in mare muore non ha pace finché la famiglia non fa dire una messa per placare la sua anima, ma spesso quei poveri corpi non avevano un nome e di conseguenza nemmeno una famiglia da avvisare.  Da allora in paese cominciarono a verificarsi strani casi.  Si dice che quelle povere anime non  trovando pace,  si rifugiarono nel Faro. Ventura li sentiva, ne percepiva la presenza, fenomeni si manifestavano continuamente come le finestre che si spalancavano quando non c’era una alito di vento, porte che sbattevano, rumori per le scale.  Ventura aveva imparato che quando apparecchiava la tavola aggiungeva  un piatto ed una sedia in più e i fenomeni si placavano immediatamente. Se non rispettava questo rituale, per tutta la notte si sentiva il rumore di sassi lanciati contro le finestre, ma Ventura non ha mai avuto paura, per lui erano “presenze” amichevoli con le quali ha convissuto tranquillamente.

Nel 1999 Ventura lasciò Punta Libeccio, abbandonò per sempre il suo amico. Lui dice che andandosene portò  con se l’anima del Faro. Infatti ora il vecchio guardiano del mare  è in stato di abbandono e di degrado.

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Ringraziamo la Marina Militare per la preziosa collaborazione, la signora Lilla Mariotti esperta internazionale di “perle” ricche di fascino e le persone che con il loro supporto ci hanno permesso di raccontare una storia meravigliosa.



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