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I bambini che vengono dal freddo, la crioconservazione degli ovociti per una maternità futura.

I bambini che vengono dal freddo, la crioconservazione degli ovociti per una maternità futura.
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La società post moderna ha modificato profondamente anche le relazioni e la genitorialità. Dalla pillola in poi si sono moltiplicati i margini di libertà di scelta delle donne e delle coppie. Oggi si può scegliere in maniera consapevole se e quando avere un bambino e la tecnologia medica ha messo a punto raffinate tecniche per permettere di superare anche problemi di fertilità. Tra le opzioni più moderne c’è sicuramente la possibilità di congelare i propri ovociti in previsione di un utilizzo futuro. Va detto infatti che la donna nasce con un patrimonio predefinito di ovociti che possono dare luogo ad una gravidanza e quindi gli importanti gameti femminili invecchiano con la donna. Nell’ultimo decennio, il momento in cui viene concepito il primo figlio è sempre più posticipato e, con l’avanzare dell’età, portare a termine una gravidanza e’ diventato molto più difficile. Tra il 1991 e il 2001 il numero di donne che hanno avuto il primo figlio tra i 35 e i 39 anni è aumentato del 36%, ma l’Italia possiede anche il primato Europeo delle mamme over 40, infatti 1 bambino su 5 nasce da una donna che ha più di 40 anni (i dati del 2005 stimano in 26mila i parti di quella fascia di età): un vero boom giacché nella fascia tra 40 e 44 anni l’aumento delle gravidanze è aumentato del 70%. E il tasso di natalità generale è crollato drammaticamente negli ultimi 20 anni, per motivi  correlati a fattori  sociali ed economici: instabilità economica, necessità di studiare e consolidare la carriera ma anche l’assenza di una relazione stabile o di un  partner  “giusto” con cui nasce il desiderio di mettere su famiglia. Il risultato è che dopo i 35 anni la possibilità di portare a termine con successo una gravidanza e avere un bambino sano diventa esponenzialmente più difficile. Con l’aumentare dell’età diventa più difficoltoso concepire: a 23 anni ogni ovulazione si trasforma in una gravidanza nel 28% dei casi, a 39 anni nel 14%, a 40 nel 12%, a 42 anni nel 10% e a 43 anni solo nell’8% dei casi.

Se una donna presenta il picco della capacità di procreare a 23 anni, e l’età giusta rimane quella della fascia tra i 25 e i 35 anni, è comprensibile come tentare di fare un figlio quindici o vent’anni dopo implica una lunga serie di complicazioni. Una donna sana produce un ovocita ogni 28 giorni, ma la possibilità di congelarlo e utilizzarlo con successo in una fecondazione assistita è estremamente basso. Oggi però il “SOCIAL FREEZING” degli ovociti consente di pianificare e assicurare il desiderio della riproduzione futura e aumentare la possibilità di una gravidanza che si desidera posticipare, non solo nelle donne che presentano fattori di rischio per infertilità, patologie croniche e familiarità per alcuni tipi di tumore. Molte coppie con problemi di infertilità sono costrette a intraprendere il percorso della fecondazione eterologa, procedura che consente di ottenere una gravidanza utilizzando ovociti donati da donne estranee alla coppia.  L’ovodonazione, procedura vietata in Italia ma possibile in altri Paesi,  è fortemente contrastata sia dalla Chiesa Cattolica sia dalla comunità mussulmana, per le quali la creazione di una vita umana deve rimanere all’interno della coppia (come recentemente ribadito anche dal Cardinale Philippe Barnabin, arcivescovo di Lione, e da Dalil Boubaker, rettore della Grande Moschea di Parigi, nel corso del Meeting della Società Mediterranea per la Medicina Riproduttiva dello scorso 31 marzo). Il “SOCIAL FREEZING” consentirebbe di evitare il ricorso alla fecondazione eterologa, ponendo fine all’acceso dibattito sulle implicazioni etiche e legali dell’ovodonazione. Molto ampia è anche l’incidenza dei problemi di fertilità nelle donne colpite da un tumore al seno: in Italia oscilla tra il 40 e il 70% a causa delle terapie e dopo la malattia solo il 3-7% delle pazienti riescono ad avere una gravidanza.

In un recente passato la crioconservazione degli ovociti era una procedura riservata proprio alle giovani donne colpite da tumore prima di sottoporsi ad un trattamento chemio o radio terapico. La crioconservazione degli ovociti rappresenta la loro assicurazione sul futuro dopo cure mediche che solitamente interferiscono e danneggiano la fertilità. Ma sono anche altri i problemi che possono portare ad una riduzione della capacità riproduttiva: processi infiammatori sulle tube, problematiche autoimmuni, endometriosi severa, tumori, trattamenti chemioterapici, interventi alle ovaie, menopausa precoce. Attualmente sono due le tecniche di crioconservazione degli ovociti: il “congelamento lento” e la “vitrificazione”. Ambedue le procedure hanno come obiettivo quello di tutelare l’integrità degli ovociti durante il processo di  crioconservazione. L’ovocita infatti è una cellula ricca di acqua che durante il raffreddamento tende a formare dannosi cristalli di ghiaccio al suo interno che la rendono poi inutilizzabile, inoltre viene prelevata nel momento in cui si sta dividendo ed è presente una struttura molto delicata, il fuso mitotico. Più recente e innovativa è la tecnica della “vitrificazione” che utilizza il congelamento rapido: la cellula uovo prelevata, privata dell’acqua contenuta attraverso sostanze crioprotettive, è portata rapidamente a –196°C (temperatura dell’azoto liquido). In questo modo l’ovocita si “vitrifica” ossia si solidifica assumendo un aspetto vitreo, trasparente e privo dei cristalli di ghiaccio che possono danneggiare la cellula. La percentuale di sopravvivenza delle cellule dopo lo scongelamento è del 70-75% con il metodo tradizionale e dell’80-85% per la “vitrificazione”   Per consentire un’alta percentuale di recupero, gli ovociti devono essere conservati in “biobanche” che operano secondo criteri di sicurezza rigidissimi e standard di qualità elevati. Il “biobancaggio” è uno strumento prezioso, sia in ambito di ricerca sia in quello clinico, che permette di crioconservare cellule sane da riutilizzare anche dopo molti anni per la riparazione e la rigenerazione di organi e tessuti oppure per decidere in serenità di programmare una gravidanza nelle condizioni migliori per madre e bambino. Si tratta di una filosofia di prevenzione che il Bioscience Institute di San Marino offre garantendo il più alto livello tecnologico con standard di sicurezza rigidissimi.  La crioconservazione biologica è un’intuizione antica resa affidabile dalla nascita delle “biobanche” che, seguendo rigorosi protocolli, conservano in azoto liquido vari tipi di  cellule garantendo nel tempo l’integrità e la vitalità in previsione di un utilizzo futuro. Si esegue un ciclo di stimolazione ovarica con una autosomministrazione quotidiana di ormoni che inducono il follicolo a produrre diversi ovociti che arrivano a maturazione. La terapia, che dura circa 2 settimane, deve essere prescritta e monitorata dal medico e prevede una iniezione giornaliera di ormoni (farmaci a base di gonadotropine). La maturazione viene attentamente controllata con dosaggi ormonali ed ecografie. Gli ovociti maturi vengono prelevati, trattati con sostanze crioprotettive e messe  in banca a bassa temperatura in azoto liquido. Il processo di recupero delle cellule uovo prevede il riscaldamento delle provette e l’inversione del processo di congelamento immergendo gli ovociti in soluzioni che eliminano i criocoservanti e ne ripristinano il contenuto d’acqua e possono essere usati per la fertilizzazione in vitro e il trasferimento nel corpo della donna. Una assicurazione sul futuro procreativo.

Johann Rossi Mason

 

 

 

redazioneBonVivre

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